la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nell'ultima Domenica dopo l'Epifania
secondo il rito ambrosiano


27 febbraio 2022



 

 

Sir 18,11-14
Sal 102
2Cor 2,5-11
Lc 19,1-10

Leggere di Zaccheo dentro ore e giorni sferzati, sporcati, da venti di guerre, da distruzione, da abbruttimento? Sul momento ti sembra quasi un atto di mancato rispetto per una realtà che invoca attenzione. E se facessimo silenzio? Ma anche il silenzio, che in parte vorrei onorare perché odora di preghiera, potrebbe essere colpevole. Sì, a un primo impatto, la storia di Zaccheo può sembrare una storia lontana, che non ha nulla a che vedere con l'oggi che viviamo.

Ma non sarà che nelle parole, che oggi abbiamo ascoltato, ci siano pagliuzze di luce, che, in giorni di buio pesante, potrebbero essere scovate, se mi appartenesse l'arte dei minatori? I minatori, che, in gallerie che più buio non si può, rintracciano il balenare silenzioso dell'oro. E così mi ritrovo tra le mani questo racconto di grande fascino che sembra gemello del racconto della scorsa domenica: allora la chiamata di Gesù raggiunse Matteo al banco delle imposte; qui in vista non è più il banco delle imposte, perché Zaccheo - anche se quello poi era il suo mestiere - quel giorno si era concesso una pausa. Nell'uno e nell'altro caso alla fine ci si ritrova in una casa, a banchettare. Con conseguente straripare di critiche.

E questa volta ancora più impressionante, perché la critica non viene da scribi e farisei - scontato! - ma da tutti, è corale. Sta scritto: "Vedendo ciò, tutti mormoravano: "È entrato in casa di un peccatore!". Come se Gesù andasse a cozzare con una mentalità condivisa, tutti: "In casa di un esattore, di un collaborazionista dei romani, proprio non ci vai". La casa, la dimensione della casa. Tre volte se ne parla in poche righe. E a volere la casa è Gesù, con un verbo che racconta una necessità, direi una necessità del cuore. Risentite le parole: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". Avete notato la forza di questo "devo". Ma a sorprenderci è anche "fermarmi", perché secondo gli esegeti il verbo non significa semplicemente "stare", ma "pernottare", rimanere per la notte. La casa dunque.

E la parola fa capolino anche nelle ultime righe del racconto, come a suggerire che la salvezza non è riservata a uno, a Zaccheo, è una salvezza dilatata: "Oggi per questa casa è venuta la salvezza". La salvezza passa per Gesù, passa per Zaccheo, e raggiunge la casa. Forse dovremmo permetterci qualche precisazione quando parliamo di "salvezza dell'anima". Se è vera, raggiunge la casa. E la parola "casa" mi si accende, perché casa è anche la mia, la tua, le case tra cui viviamo, che facciamo vivere ogni giorno, la casa dei giorni, ma anche la casa comune, quella che si incendia di distruzioni a non finire, in questi giorni di follia.

Mi sembra di leggere nel nostro brano una connessione stretta tra la parole di Zaccheo e le parole di Gesù sulla salvezza: "Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto". Gesù gli rispose: "Oggi per questa casa è venuta la salvezza". La salvezza di una casa avviene quando accade la giustizia. Quando, al contrario, nei miei occhi, nei miei pensieri, nei miei progetti ci sono solo io, la mia ambizione, i miei interessi, il mio "io" diventato assoluto, non accade la salvezza, ma la distruzione, la guerra. Non la bellezza della creazione ma la decreazione, l'arretramento della creazione.

Con parole profetiche, quasi anticipando immagini drammatiche, ne parlò Papa Francesco in una intervista da Fabio Fazio all'inizio di febbraio, ricordando che "la guerra è un controsenso della creazione; nella Bibbia è curioso: Dio crea l'uomo e la donna, andate in tutto il mondo, lavorate, fate figli, possedete la Terra. E subito dopo, una guerra fra fratelli. Uno cattivo contro un innocente, per invidia; e poi una guerra culturale, diciamo così, con la torre di Babele… subito vengono le guerre. C'è come un anti senso della creazione, per questo la guerra è sempre distruzione. Per esempio, lavorare la terra, curare i figli, portare avanti una famiglia, far crescere la società: questo è costruire. Fare la guerra è distruggere. È una meccanica di distruzione".

Ma da dove cominciare? E ritorno a Zaccheo. Alzandosi quel mattino, ma poi arrampicandosi su un sicomoro come luogo di avvistamento, peraltro poco decoroso per uno come lui, mai e poi mai avrebbe immaginato che quella pausa tra rami di albero avrebbe cambiato la sua vita e non sarebbe rientrato la sera a casa come ne era uscito il mattino. Quel giorno gli si rivoluzionarono i concetti di "alto" e di "basso". Essere in alto, sul sicomoro, dopo tutto, era una finta per lui, piccolo di statura. Ma in basso, a confronto di voce e di viso, lo portarono gli occhi e la voce di quel rabbi che lo invitava a scendere - si scende in tanti modi. Nelle parole di Gesù non un grumo di accusa.

E fu solo stupore: il suo nome sulle labbra del rabbi di Nazaret. Stupore, come quando sei riconosciuto tra mille, e da chi mai immagineresti. E poi l'intonazione di quel nome. Un nome può avere le intonazioni più diverse. Pensa quando a pronunciarlo è un oppositore o un innamorato. L'intonazione era quella della misericordia. A confermarla, le parole a seguire: "Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". Scelto lui, e la sua casa. Scese in fretta. In pochi secondi - sarebbero diventati una eternità - aveva, per grazia inciampato, nella misericordia. Una misericordia a lui sconosciuta che cancellava ogni presunzione di altezza.

Imparò da quegli occhi, da quello sguardo. Gesù non lo chiamò tra i discepoli: lo chiamò a cambiare il cuore, da quello di pietra a quello di carne, a vestire l'abito della "misericordia", parola che evoca "cuore e misera", avere cuore per le infinite miserie. Che vorremmo abbracciare nelle case dell'umanità. Vorrei chiudere oggi con alcuni versi del "Padre nostro" di Dante, mi sono stati regalati da una amica in questi giorni.

Quante volte pregati in questi giorni: "Vegna ver' noi la pace del tuo regno, ché noi ad essa non potem da noi, s'ella non vien, con tutto nostro ingegno".

 

Lettura del libro del Siracide - Sir 18, 11-14

Il Signore è paziente verso di loro ed effonde su di loro la sua misericordia. Vede e sa che la loro sorte è penosa, perciò abbonda nel perdono. La misericordia dell'uomo riguarda il suo prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente. Egli rimprovera, corregge, ammaestra e guida come un pastore il suo gregge. Ha pietà di chi si lascia istruire e di quanti sono zelanti per le sue decisioni.

Sal 102 (103)

Grande è la misericordia del Signore. Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore. Non è in lite per sempre, non rimane adirato in eterno. R Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono. R Quanto dista l'oriente dall'occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe. Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono. R

Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi - 2Cor 2,5-11

Fratelli, se qualcuno mi ha rattristato, non ha rattristato me soltanto, ma, in parte almeno, senza esagerare, tutti voi. Per quel tale però è già sufficiente il castigo che gli è venuto dalla maggior parte di voi, cosicché voi dovreste piuttosto usargli benevolenza e confortarlo, perché egli non soccomba sotto un dolore troppo forte. Vi esorto quindi a far prevalere nei suoi riguardi la carità; e anche per questo vi ho scritto, per mettere alla prova il vostro comportamento, se siete obbedienti in tutto. A chi voi perdonate, perdono anch'io; perché ciò che io ho perdonato, se pure ebbi qualcosa da perdonare, l'ho fatto per voi, davanti a Cristo, per non cadere sotto il potere di Satana, di cui non ignoriamo le intenzioni.

Lettura del Vangelo secondo Luca - Lc 19,1-10

In quel tempo. Il Signore Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand'ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: "È entrato in casa di un peccatore!". Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto". Gesù gli rispose: "Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto".

 

 


 
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