la parola della domenica
Anno
liturgico A
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Bar
1, 15a; 2, 9-15a So di ripetermi, ma è più forte di me. Ogni volta che mi trovo a commentare questa pagina, mi prende come desiderio di custodirla, se possibile di proteggerla. Perché è una pagina che ha fatto fatica nel tempo a trovare ospitalità nei vangeli e ancora oggi ci sono esegeti a discutere se sia canonica o no, riconducibile alle pagine ispirate o no. Alla fine è risultata vana la proposta di strapparla ai vangeli. Forse anche perché a nessuno di noi sfugge che in questa pagina riluce il volto di Gesù, il suo sguardo, la sua voce, la buona notizia. Quale? Che Dio non lapida. Anzi ti salva dalla lapidazione. Si era fatto silenzio nel tempio, era mattino, pioveva la luce del mattino: “Tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro”. Un silenzio palpabile: era come se la gente le bevesse le parole di Gesù. Poi una intrusione indecorosa, a violare la folla, a violare le parole che bussavano al silenzio. Rumore, strattonata una donna. E quante volte sono strattonate le donne! A strattonarla scribi e farisei: ”Gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo”. Fa impressione il verbo “la posero in mezzo”, quasi non fosse una persona, ma una cosa. A volte si spostano persone come fossero cose, le si usano, anche per i propri biechi fini. Anche quella donna usata, per mettere alla prova Gesù, per avere motivo di accusarlo. Il gesto era duro, come di chi ha catturato. E subito parole dure, per il loro tono sprezzante: “donne come questa…”. Era già anticipo di lapidazione, un anticipo di pietre: ”Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Rispose con il silenzio, lui che stava parlando. Un silenzio da brivido. Come non meritassero risposta coloro che osavano parole senza scampo, e meritasse invece risposta la donna a un passo dalla lapidazione. Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Non meritavano attenzione: su loro non poteva scrivere, erano inscalfibili come dura pietra, loro pietra, loro che presumevano di abitare i piani alti della religione, in realtà abitavano il potere, gli ammiccamenti del potere, duro ll cuore, come pietra. Loro in alto, lui chino. Chino: e non sarà il posto da cui vedere? Lui chino, a scrivere sulla terra. Poteva scrivere sulla terra, bastava un dito e la terra riceveva scrittura, scrittura di Dio. Se sono terra, lui può scrivere. E sarebbe finito tutto così, con la voce del silenzio. Ruppero il silenzio gli uomini delle lapidazioni, lo ruppero con il rumore della loro insistenza a interrogarlo. Il messaggio del silenzio non era pervenuto. “Si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra”. Pensate, queste parole, sgusciate tra un silenzio e un altro silenzio, tra uno scrivere per terra e un altro scrivere per terra, queste parole custodite in un minimo di sillabe, a segnalare il pericolo delle troppe parole – «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra» – sono rimaste intatte lungo tutto il migrare dei giorni, sino ad oggi, sino ad entrare nel linguaggio comune. Intatte le parole, ma – confessiamo – ampiamente disattese, violate. Ci sfiora troppo spesso la presunzione di sentirci come senza peccato. E forse ancora non siamo giunti a dare nome di peccato – il vero peccato, quello più grave – alla durezza di cuore. E dunque, ancor più dell’adultera, bisognosi di perdono. E nel tempio, dopo le incancellabili parole, accadde di nuovo il silenzio. Che fosse un silenzio, oserei dire, di protezione, la donna lo intuiva: uno ad uno gli accusatori si erano come dileguati e lui, il Rabbi di Nazaret, ancora si era messo in basso, chino, quasi a scrivere sulla terra una sentenza di salvezza, da lapidazioni. Ciò che ancora forse le toccava scoprire era che lui non solo liberava da lapidazioni, lui liberava da condanne. Sì, perché tu puoi anche sfuggire alle pietre, ma portandoti in cuore, come macigno, una condanna. Lui non la condannava. Si alzò dal silenzio. E’ scritto: “Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più»”. Oggi il libro di Baruc ci ha regalato una suggestiva preghiera, una richiesta di perdono che il popolo avrebbe dovuto alzare a Dio per le infedeltà di cui si era macchiato, quasi una condizione previa, una precedenza, perché accadesse il perdono di Dio. Nel nostro racconto si capovolgono le precedenze: a precedere è il perdono: accade uno sguardo che non condanna, qualcosa di inaudito, buona notizia, evangelo. La donna non ha ancora formulato una preghiera che è una con le labbra e Gesù la precede: Dio ci precede con il perdono. Non ci resta che incantarci e perdutamente ringraziare. Vorrei aggiungere che il perdono mette in cammino. La condanna ti immobilizza, ti imprigiona, ti svuota; il perdono ti fa respirare, senti pulsare cose nuove, ti ridona la leggerezza di andare . E riappare il verbo “andare”. Voi ricordate. Al funzionario regio Gesù dice: “Va’, tuo figlio vive”. ”Va’… Alla donna in vista di lapidazione dice: “Va’ e d’ora in poi non peccare più”. “Va’…”. Quasi dicesse: “Va’, sei libera da lapidazioni, non ti soffochi il ricordo del passato, inventa il futuro, va per vie nuove…”. E che cosa avrà inventato la donna dopo un’ora come quella? Un’ora che basta una vita: le aveva salvata la vita. Non sappiamo. Questo racconto è musica, l’esecuzione è in corso. Ieri l’altro un passaggio del libro del Siracide mi ha molto colpito e non finiva di risuonarmi mentre racimolavo pensieri di commento al vangelo. Erano parole rivolte a me: “Parla, o anziano, poiché ti si addice, ma con saggezza, e non disturbare la musica. Quando c’è un’esecuzione non effonderti in chiacchiere, e non fare il sapiente fuori tempo”(Sir 32, 2-4). Non era nelle intenzioni, ma ora so di aver disturbato la musica.
Lettura del profeta Baruc - Bar 1, 15a; 2, 9-15a Direte in quei giorni: «Il Signore ha vegliato su questi mali e li ha mandati sopra di noi, poiché egli è giusto in tutte le opere che ci ha comandato, mentre noi non abbiamo dato ascolto alla sua voce, camminando secondo i decreti che aveva posto davanti al nostro volto. Ora, Signore, Dio d’Israele, che hai fatto uscire il tuo popolo dall’Egitto con mano forte, con segni e prodigi, con grande potenza e braccio possente e ti sei fatto un nome, qual è oggi, noi abbiamo peccato, siamo stati empi, siamo stati ingiusti, Signore, nostro Dio, verso tutti i tuoi comandamenti. Allontana da noi la tua collera, perché siamo rimasti pochi in mezzo alle nazioni fra le quali tu ci hai dispersi. Ascolta, Signore, la nostra preghiera, la nostra supplica, liberaci per il tuo amore e facci trovare grazia davanti a coloro che ci hanno deportati, perché tutta la terra sappia che tu sei il Signore, nostro Dio». Sal 105 (106) Rendete grazie al Signore, il suo amore e per sempre. Abbiamo peccato con i nostri padri, delitti e malvagità abbiamo commesso. I nostri padri, in Egitto, non compresero le tue meraviglie. R Non si ricordarono della grandezza del tuo amore e si ribellarono presso il mare, presso il Mar Rosso. Ma Dio li salvò per il suo nome, per far conoscere la sua potenza. R Molte volte li aveva liberati, eppure si ostinarono nei loro progetti e furono abbattuti per le loro colpe; ma egli vide la loro angustia, quando udì il loro grido. R Si ricordò della sua alleanza con loro e si mosse a compassione, per il suo grande amore. Salvaci, Signore Dio nostro, radunaci dalle genti, perché ringraziamo il tuo nome santo. R Lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 7, 1-6a O forse ignorate, fratelli – parlo a gente che conosce la legge – che la legge ha potere sull’uomo solo per il tempo in cui egli vive? La donna sposata, infatti, per legge è legata al marito finché egli vive; ma se il marito muore, è liberata dalla legge che la lega al marito. Ella sarà dunque considerata adultera se passa a un altro uomo mentre il marito vive; ma se il marito muore ella è libera dalla legge, tanto che non è più adultera se passa a un altro uomo. Alla stessa maniera, fratelli miei, anche voi, mediante il corpo di Cristo, siete stati messi a morte quanto alla Legge per appartenere a un altro, cioè a colui che fu risuscitato dai morti, affinché noi portiamo frutti per Dio. Quando infatti eravamo nella debolezza della carne, le passioni peccaminose, stimolate dalla Legge, si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte. Ora invece, morti a ciò che ci teneva prigionieri, siamo stati liberati dalla Legge per servire secondo lo Spirito, che è nuovo. Lettura del Vangelo secondo Giovanni - Gv 8, 1-11 In quel tempo. Il Signore Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
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