la parola della domenica

 

Anno liturgico A


omelia di don Angelo nella Domenica di Pasqua secondo il rito ambrosiano

 

9 aprile 2023



 

 

At 1,1-8a
Sal 117
1Cor 15,3-10a
Gv 20,11-18

Rileggo con voi il vangelo. Noi non ci daremo pace finché il racconto del mattino di Pasqua non verrà riproposto dalla liturgia senza lo strappo del suo primo versetto, sostituito con un generico, incolore, pallido “in quel tempo”. In quel tempo: ditemi il giorno, ditemi l’ora, come era la luce. Restituiamo al racconto il versetto: “Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro”. Il primo giorno della settimana: dunque. per grazia, era passato quel sabato che, per via del precetto, l’aveva tenuta stretta come un uccello in gabbia, frenata lei, che il Maestro un giorno aveva liberata da un peso che era come di macigni. Una eternità quel sabato.

Ora può uscire. Di mattino, che è ancora buio. Nel cielo a veglia la luna. Dettagli sul giorno e sull’ora. Che lasciano però immaginare come lei andasse in quel barlume di luce, fiato sospeso, con il cuore in gola. Poi fu pianto alla vista della tomba, all’apparenza violata. Defraudata del suo bene più prezioso. Un correre per poi stare. Ora è ferma: “Maria di Màgdala stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva”. Sta nel pianto: davanti alla morte, se non c’è brivido di risurrezione non ti rimane che stare nel pianto. E tutto per Maria accadde nello fessura di pochi minuti, una manciata, ma fu per lei come percorrere un lungo cammino. Il cammino della nostra fede. Che non e presuntuosa, ma tenera nel suo abbandono, sottile: non nasce dalla visione di un Messia che esce trionfante da una tomba. Percorrete i racconti della risurrezione e non troverete immagini di Gesù che esce da una tomba, ostentando potenza e dominio.

Nessuna ombra di ostentazioni, unica ostensione quella delle ferite: “mostrò loro le mani e i piedi”. Non fu riconoscimento immediato per Maria. Pensate se possa esserlo per noi! A frenare il singhiozzo, che inteneriva pure l’aria del giardino, non erano bastate le vesti bianche dei due angeli, chiazze di luce nell’ombra buia di una grotta. Non era bastato nemmeno che lui, Gesù, le avesse chiesto perché piangesse. Anche se è già grazia che uno ti chieda perché piangi. Ancora immaginava che il massimo che poteva augurarsi fosse di prendere con venerazione il corpo trafugato dell’amico, riporlo in una tomba più sicura. Ma non è quello che accade a volte anche noi quando spostiamo le cose come fossero inanimate, quando per abitudine spostiamo la vita come fosse inanimata? Ebbene Maria, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”. Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!” – che significa: “Maestro!”.

E fu riconoscimento da parte di Maria: accadde per il colore e il suono che il suo nome prendeva sulle labbra del Maestro e amico. A quel colore, a quel suono si voltò. Disse: “Rabbunì”. Rabbì, ma forse con una sfumatura di affetto. Era vivo, forse le erano ritornate d’un tratto le parole che Gesù aveva detto, in un giorno di anima turbata, quando aveva raccontato di sé come del chicco di grano caduto in terra che da grembo oscuro si riaffaccia e germoglia. La risurrezione come giorno del grande germoglio. Giorno che dà fiducia ai tanti chicchi di grano caduti nella terra. Portano frutto. A Maria, dopo lo scambio dei nomi, Gesù disse: “Non mi trattenere”, quasi fosse chiamato altrove. ‘Trattenere’ può avere colore di sequestro. In ogni amore; “Tienimi, ma non mi trattenere”.

Lui è il vivente e i racconti della risurrezione sono stupefacenti nel dirci che lui non può essere trattenuto in un’ora o in uno spazio, o in una sola immagine. Per questo disorientano coloro che adorano una sola ora, un solo luogo, una sola immagine. Ma conquistano quelli che onorano il ‘non trattenere’. La risurrezione è il contrario, l’esattamente contrario, del mummificare: mummificare il Signore, la chiesa, la vita. A volte usiamo verbi che odorano questo rischio e nascondono questa visione. Anche quando, per esempio, diciamo che dobbiamo portare agli altri il Signore, e nella mente è come se dovessimo portarlo noi, e come fosse una cosa. E lui è il vivente, che ci precede. E’ un rischio che ci viene spesso segnalato, per grazia, da papa Francesco.

Ecco le sue parole alla veglia di Pasqua, lo scorso anno: "Un cristianesimo che cerca il Signore tra i relitti del passato e lo rinchiude nel sepolcro dell’abitudine è un cristianesimo senza Pasqua. Ma il Signore è risorto! Non attardiamoci attorno ai sepolcri, ma andiamo a riscoprire Lui, il Vivente! E non abbiamo paura di cercarlo anche nel volto dei fratelli, nella storia di chi spera e di chi sogna, nel dolore di chi piange e soffre: Dio è lì". Quante volte l’angelo, quello di luce, dovrebbe dirci: “Non è qui, è risorto”. Voi mi capite; non voglio direi che non sia qui, oggi nelle nostre comunità, nella nostra chiesa, ma non bisogna correre il rischio di trattenerlo. Finirò con una immagine: la sua suggestione mi accompagna da anni, quella dell’inizio della veglia pasquale. Che ha il suo incipit nel buio della sera, sul sagrato di una chiesa. Viene acceso un braciere con rami di ulivo spezzati.

Lui, il Signore, reciso nella morte di croce, ulivo che si fa brace. Poi al braciere si accende il grande cero che parla del Cristo risorto, viene introdotto nell’assemblea e da fiamma a fiamma, uno sciamare di piccoli lumi per tutta la chiesa. Rara suggestione. Si canta al Risorto. Bellissimo, ma non si deve scordare che il fuoco è stato acceso sulla piazza, là dove lo possono vedere tutti, fuoco libero, libero anche da ogni eventuale sequestro clericale. Tieni accesa la brace del Risorto fuori, sulla piazza. Liberala da pesantezze e, se accade, soffia sulla brace per liberarla dalle nostre ceneri.

Soffia ovunque c’è pesantezza di ceneri, in te, nella chiesa, nel mondo. La brace arde. Il Signore è risorto.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli - At 1, 1-8a

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi».

Sal 117 (118)

Questo è il giorno che ha fatto il Signore; rallegriamoci e in esso esultiamo. Oppure: Alleluia, alleluia, alleluia. Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre. Dica Israele: «Il suo amore è per sempre». R La destra del Signore si è innalzata, la destra del Signore ha fatto prodezze. Non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore. R La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo. Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi. R

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi - 1Cor 15, 3-10a

Fratelli, a voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana.

Lettura del Vangelo secondo Giovanni - Gv 20,11-18

In quel tempo. Maria di Màgdala stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

 

 


 
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