la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella Domenica prima del martirio del Precursore
secondo il rito ambrosiano


28 agosto 2022



 

 

2Mac 6,1-2.18-28
Sal 140
2Cor 4,17 - 5,10
Mt 18,1-10

Venivano dalla strada ed erano appena entrati in casa, una casa di Cafarnao. Forse quella di Pietro? Erano appena entrati - infatti è scritto: "In quel momento" - e i discepoli gli si avvicinano, quasi bruciasse loro dentro la domanda: "Chi è dunque più grande nel regno dei cieli?". Facevano una questione di gradi, di cariche, più o meno importanti. Eppure, per strada, poco prima, con loro il Maestro era stato di una chiarezza che più non si può. Aveva detto loro: "Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà". Ed essi erano rimasti molto rattristati. Come si dimenticano in fretta le cose! Succede anche a noi. E si finisce a far questione di gradi.

E non di gradi di vangelo, non di gradi di umanità, di gradi di visibilità. La risposta di Gesù è innanzitutto in un gesto. Che è in netta continuità con quanto aveva detto loro per strada. Lui non era di quelli che dicono una cosa e poi ne dicono un'altra, che è il contrario: "Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro". Voi mi perdonerete, ma io oggi vorrei tornare ad un'altra versione del testo, che mi aveva molto colpito anni fa, forse una decina di anni fa. Poi finita nella smemoratezza, anche perché la versione più comune parla di un bambino, e ci è rimasto lui nell'immaginario. Ecco come ne parla Mons. Gianantonio Borgonovo, un biblista tra i più stimati: "Gesù chiama a sé un (testo greco)"ragazzo, servo, garzone": non è la figura del "bambino", ma quella del garzone o del servo che non aveva alcuna specifica mansione, se non quella di aiutare. Questo è il modello per i discepoli.

Infatti la parola del Maestro è chiara: "Se non cambierete modo di pensare e non diventerete come questi garzoni…". Così è tutto più logico, una risposta a chi cerca posti di prestigio: "Diventate come un garzone". E glielo mette davanti agli occhi. Pensate alla genialità di Gesù, alla sua sorprendente capacità di trovare nell'immediato dei segni. Come se, entrato in casa, alla domanda degli apostoli, gli occhi gli fossero scivolati d'istinto al garzone che era in quella casa. Forse anche lui si era affacciato all'arrivo del maestro, un po' nascosto come è nel costume dei garzoni, che non stanno in prima fila né sui palchi. Me lo immagino, un po' stralunato quel garzone: "Lo pose in mezzo". Non era il suo posto. Il posto dei garzoni è quello di essere, quasi di natura, defilati. Mi sono lasciato prendere dall'immagine.

Oggi vorrei parlare di garzoni, metterli in mezzo, lasciarmi istruire da loro. Come chiede Gesù. Se no, non entriamo: "Se non cambierete modo di pensare e non diventerete come questi garzoni non entrerete nel regno di Dio". Dovremmo pensarlo quando diciamo: "Venga il tuo regno!". Vengano i garzoni. I garzoni che non sono - badate bene - degli automi, degli inetti, dei porta-borsa: vedono le cose vicine; e quelle lontane, le vedono da vicino. Ci mettono occhi e cuore, fantasie e invenzioni e poi mani e braccia e brividi di voce. Pensate alla loro genialità, alla loro intraprendenza, alla loro prontezza, alla loro cura. La cura per la bellezza della vita: di una casa, di un campo, di una città, di un paese. La cura di uno spazio qualunque, a volte di tutti, magari il campo di bocce, in una striscia di giardino, in una città deserta d'estate. La passione.

Tra le mille immagini che mi hanno sfiorato quasi per dar forza ai pensieri, quella dei garzoni delle antiche botteghe degli artisti. E chi mai scovava o assemblava quei colori sorprendenti, da urlo? E chi preparava tele, tavole, intonaci, a volte fondali sino a impostare dipinti? Poi l'opera usciva con il marchio del maestro: uno solo il nome, quello oggi celebrato. I garzoni? Senza nome. Mettere in mezzo il garzone è opera di vangelo. Metterlo in mezzo. E spesso anche restituirgli una dignità che gli è stata rubata o nascosta. Non è questione di suonare fanfare. Anche a questo proposito è una questione di occhi. Che un garzone o una garzona - perdonate la parola - si senta accarezzato, accarezzata dagli occhi, come accadde al garzone nella casa di Cafarnao. Io vorrei oggi - ma è una pretesa; e che cos'è mai la mia piccola, debole, voce? - ringraziare tutti i garzoni del mondo.

Se il mondo sta in piedi ancora, ancora oggi, è merito loro. Io per primo per come vesto o consumo, per come cammino o seggo, per come leggo o ascolto o guardo, ne avrei da ringraziare a centinaia ogni giorno, solo che pensassi la provenienza delle cose e i loro passaggi. Ma perché le parole non suonino come vuota retorica, non dovrei, mai e poi mai, limitarmi a ringraziare, dovrei fare tutto quello che mi è possibile per restituire loro dignità. Anche con le leggi. Perché i diritti vanno onorati e tutelati con le leggi. O le persone… saranno come non fossero. Vorrei ora aggiungere che Gesù il garzone lo pose in mezzo, al centro dell'attenzione, ma ci chiese di diventare come lui: "Se non cambierete modo di pensare e non diventerete come questi garzoni non entrerete nel regno di Dio". Vivere da garzoni. Ovunque tu sia, servendo, aiutando e non dominando. Non importa dove si è nella società, nella chiesa, nel mondo; importa come si sta nella società, nella chiesa, nel mondo: a servire o a farti servire.

Senza ambire a titoli o medaglie o riconoscimenti, senza lasciarti scolorire dall'abitudine, con la consapevolezza che hai qualcosa ancora da inventare. Con la gioia del bene. Garzone come il tuo Signore, che è stato garzone. Ultimo suo gesto, a memoria, ha lavato i piedi dei suoi discepoli. E non era forse questo che toccava al garzone al rientro in casa di chiunque fosse stremato dalla fatica di un viaggio? Il viaggio della vita, che conosce gioie ma anche fatiche. E poter dire: "Ho lavato i piedi a qualcuno, ho sollevato di un poco la sua stanchezza di vivere". E poi ringraziare - perdutamente ringraziare - tutti quelli che mi hanno lavato, accarezzato, profumato i piedi.

E, primo fra tutti, il mio Signore e maestro, Gesù, il garzone.

 

Lettura del secondo libro dei Maccabei - 2Mac 6,1-2.18-28

In quei giorni. Il re inviò un vecchio ateniese per costringere i Giudei ad allontanarsi dalle leggi dei padri e a non governarsi più secondo le leggi di Dio, e inoltre per profanare il tempio di Gerusalemme e dedicare questo a Giove Olimpio e quello sul Garizìm a Giove Ospitale, come si confaceva agli abitanti del luogo. Un tale Eleàzaro, uno degli scribi più stimati, uomo già avanti negli anni e molto dignitoso nell'aspetto della persona, veniva costretto ad aprire la bocca e a ingoiare carne suina. Ma egli, preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa, s'incamminò volontariamente al supplizio, sputando il boccone e comportandosi come conviene a coloro che sono pronti ad allontanarsi da quanto non è lecito gustare per attaccamento alla vita. Quelli che erano incaricati dell'illecito banchetto sacrificale, in nome della familiarità di antica data che avevano con quest'uomo, lo tirarono in disparte e lo pregarono di prendere la carne di cui era lecito cibarsi, preparata da lui stesso, e fingere di mangiare le carni sacrificate imposte dal re, perché, agendo a questo modo, sarebbe sfuggito alla morte e avrebbe trovato umanità in nome dell'antica amicizia che aveva con loro. Ma egli, facendo un nobile ragionamento, degno della sua età e del prestigio della vecchiaia, della raggiunta veneranda canizie e della condotta irreprensibile tenuta fin da fanciullo, ma specialmente delle sante leggi stabilite da Dio, rispose subito dicendo che lo mandassero pure alla morte. "Poiché - egli diceva - non è affatto degno della nostra età fingere, con il pericolo che molti giovani, pensando che a novant'anni Eleàzaro sia passato alle usanze straniere, a loro volta, per colpa della mia finzione, per appena un po' più di vita si perdano per causa mia e io procuri così disonore e macchia alla mia vecchiaia. Infatti, anche se ora mi sottraessi al castigo degli uomini, non potrei sfuggire, né da vivo né da morto, alle mani dell'Onnipotente. Perciò, abbandonando ora da forte questa vita, mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani un nobile esempio, perché sappiano affrontare la morte prontamente e nobilmente per le sante e venerande leggi". Dette queste parole, si avviò prontamente al supplizio.

Sal 140 (141)

Nella tua legge, Signore, è tutta la mia gioia. Signore, a te grido, accorri in mio aiuto; porgi l'orecchio alla mia voce quando t'invoco. La mia preghiera stia davanti a te come incenso, le mie mani alzate come sacrificio della sera. R Poni, Signore, una guardia alla mia bocca, sorveglia la porta delle mie labbra. Non piegare il mio cuore al male, a compiere azioni criminose con i malfattori: che io non gusti i loro cibi deliziosi. R A te, Signore Dio, sono rivolti i miei occhi; in te mi rifugio, non lasciarmi indifeso. Proteggimi dal laccio che mi tendono, dalle trappole dei malfattori. R

Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi - 2Cor 4,17 - 5,10

Fratelli, il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne. Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un'abitazione, una dimora non costruita da mani d'uomo, eterna, nei cieli. Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito. Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo - camminiamo infatti nella fede e non nella visione -, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.

Lettura del Vangelo secondo Matteo - Mt 18,1-10

In quel tempo. I discepoli si avvicinarono al Signore Gesù dicendo: "Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?". Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: "In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me. Chi invece scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all'uomo a causa del quale viene lo scandalo! Se la tua mano o il tuo piede ti è motivo di scandalo taglialo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, anziché con due mani o due piedi essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna del fuoco. Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli".

 

 


 
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