la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella sesta Domenica dopo l'Epifania
secondo il rito ambrosiano


13 febbraio 2022



 

 

Is 56,1-8
Sal 66
Rm 7,14-25a
Lc 17,11-19

Erano dieci. Ed era bellissimo, anche biblicamente, il numero. Dieci, peccato che poi si scompongono, nove più uno! E capita. E io dove sono? In compagnia dell'uno o in compagnia dei nove? O un po' di qui e un po' di là? Erano in In dieci e staresti per dire: "Strana compagnia!". Perché quello che poi divenne uno era un samaritano. Ed era, sì, una stranezza buona, perché i nove non l'avevano tenuto distante. Come avrebbero dovuto fare secondo le sacre regole: con i samaritani non ci parli. Distanti li tenevano quelli del villaggio: infatti Gesù i lebbrosi non li trova dentro, ma alle porte del villaggio.

I dieci tra loro non tengono distanze: come se la sofferenza invocasse compagnia e si sbarazzasse d'un colpo di tutti i pregiudizi religiosi e non religiosi, quelli che creano esclusione. Li aveva resi compagni la lebbra. Certo, all'inizio, pur avendo sentito parlare di lui - lo chiamano "maestro" - stanno a distanza rispettando la regola. Come lui la pensasse non era ancora tutto così chiaro. E' scritto che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: "Gesù, maestro, abbi pietà di noi!". E sono in dieci ad alzare la voce. In dieci si dà più forza al dolore. E il dolore diventa grido. Forse è un richiamo a non giudicare affrettatamente, come esagerazione, il grido, chiedendo - che so io - maggiore compostezza. Lo facciamo spesso; soprattutto quando ad alzare la voce sono i ragazzi.

Ci sono poi persone che, se non gridano il dolore, nemmeno le vediamo. Gesù vede, ascolta. Ascolta. Anche quando, lì per lì, sembra non operare. Disse loro: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". Come se il problema fosse già risolto. Ma loro se la vedevano ancora addosso, incollata alla carne, la loro malattia. Andarono. Ecco, andare, mettersi in cammino, quando il problema non è ancora risolto. Non aspettare che tutto sia risolto. E avere dall'altra parte il dono, l'arte di mettere in cammino, quando non tutto è ancora risolto. Quando la malattia ancora ti ferisce. E quella era malattia che ti deturpava, da girar via lo sguardo: la carne così difforme, lontana da quella delle origini.

E allora lebbra è per me tutto ciò che silenziosamente mi devasta, portandomi lontano dalle origini. Sta scritto, tra le prime parole della Bibbia, che Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza". E ancora: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" (Gen 2, 26-27). Voi mi capite, chiamati ad essere copia di Dio, o - se volete - ad essere una copia meno difforme di Dio, di Gesù, lui, copia luminosa. E noi dunque dietro le sue orme. Ha lasciato le impronte sulla terra. Ritorno ai dieci. Chissà se da Gesù ai sacerdoti sarebbe stato un lungo viaggio. Luca non ce lo dice, come non ci dice che cosa possano aver provato nel sentirsi, tutto a un tratto, risvegliare il corpo e ringiovanire la pelle. Solo annota: "mentre essi andavano, furono purificati". E' nell'andare che si guarisce.

E sulla strada - in contemporanea con la guarigione - accade la scomposizione del gruppo: nove procedono, uno ritorna. Ritorna quello che, secondo i sacri canoni, era il più lontano, un samaritano: "Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano". Pensate prima aveva con gli altri cavato fuori tutta la sua voce, per chiedere soccorso, ora per ringraziare. E Gesù, con una delle sue parole imperdibili, annota la differenza, la differenza tra essere guariti ed essere salvati. E gli disse: "Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!".

Dove vede la fede? Nella gratitudine. Come a dire: puoi anche essere sano o risanato nel corpo, ma senza la gratitudine che uomo o che donna sei? Non ti salvi in umanità. Che uomo o donna è chi non si commuove a un dono e non racconta la sua gratitudine? Avere voglia di buttarsi ai piedi. E tu mi rialzi. E subito mi nasce la domanda: la stagione che viviamo è di gratitudine, di gentilezze? Un'amica prima, poi altri, parlandomi in questi giorni di accensioni al Festival di Sanremo, mi hanno ricordato un momento intenso in cui un cantante, Jovanotti, diede voce a una poesia di Mariangela Gualtieri, dove la gratitudine si accende ad ogni verso: "In quest'ora della sera / da questo punto del mondo / ringraziare desidero…". E' un succedersi di motivi, spesso trascurati per smemoratezze, per cui ringraziare.

"Hai mai ringraziato per questo?": mi chiedevo, rincorrendo quel "ringraziare desidero". Oggi leggendo che a salvarci è la gratitudine mi sono ricordato che dell'importanza del dire "grazie" parla spesso papa Francesco, con parole che, molto più delle mie, bussano alla vita. Ve le lascio, concludendo: "Certe volte viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione. Le sentiamo dire tante volte anche pubblicamente. La gentilezza e la capacità di ringraziare vengono viste come un segno di debolezza, a volte suscitano addirittura diffidenza. Questa tendenza va contrastata nel grembo stesso della famiglia.

Dobbiamo diventare intransigenti sull'educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe da qui. Se la vita famigliare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà. La gratitudine, poi, per un credente, è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio. Sentite bene: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio. Ricordiamo la domanda di Gesù, quando guarì dieci lebbrosi e solo uno di loro tornò a ringraziare. Una volta ho sentito dire da una persona anziana, molto saggia, molto buona, semplice, ma con quella saggezza della pietà, della vita: "La gratitudine è una pianta che cresce soltanto nella terra delle anime nobili".

Quella nobiltà dell'anima, quella grazia di Dio nell'anima ci spinge a dire grazie, alla gratitudine. È il fiore di un'anima nobile. È una bella cosa questa!". E' la lingua di Dio.

 

Lettura del profeta Isaia - Is 56,1-8

In quei giorni. Così dice il Signore: "Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per rivelarsi". Beato l'uomo che così agisce e il figlio dell'uomo che a questo si attiene, che osserva il sabato senza profanarlo, che preserva la sua mano da ogni male. Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: "Certo, mi escluderà il Signore dal suo popolo!". Non dica l'eunuco: "Ecco, io sono un albero secco!". Poiché così dice il Signore: "Agli eunuchi che osservano i miei sabati, preferiscono quello che a me piace e restano fermi nella mia alleanza, io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un nome più prezioso che figli e figlie; darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato. Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli". Oracolo del Signore Dio, che raduna i dispersi d'Israele: "Io ne radunerò ancora altri, oltre quelli già radunati".

Sal 66 (67)

Popoli tutti, lodate il Signore! Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti. R Gioiscano le nazioni e si rallegrino, perché tu giudichi i popoli con rettitudine, governi le nazioni sulla terra. R Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti. Ci benedica Dio, il nostro Dio, e lo temano tutti i confini della terra. R

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 7,14-25a

Fratelli, sappiamo che la Legge è spirituale, mentre io sono carnale, venduto come schiavo del peccato. Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la Legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!

Lettura del Vangelo secondo Luca - Lc 17,11-19

In quel tempo. Lungo il cammino verso Gerusalemme, il Signore Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: "Gesù, maestro, abbi pietà di noi!". Appena li vide, Gesù disse loro: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: "Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?". E gli disse: "Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!".

 

 


 
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