la parola della domenica
Anno
liturgico C
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Dt
6, 4a; 26, 5-11 Io non so che cosa sia passato nel suo cuore - dico, nel cuore di Gesù - in quei due giorni, dalla notizia della malattia di Lazzaro alla decisione di andare a Betania. Ma ci è facile Immaginarlo: lui con i suoi pensieri e il suo cuore non poteva essere che là, a Betania, o anche là. E' struggente questo racconto. Il racconto - come mi sarà capitato di dire altre volte - apre spiragli su un mondo segreto, che pulsa in ognuno di noi, il mondo degli affetti. Un mondo intimo che pulsava in Gesù, il mondo dei suoi sentimenti, dei suo affetti, delle sue emozioni. Voi mi capite, a volte, insistendo - ed è giusto - sulla dimensione universale del suo amore, le braccia allargate sulla croce per tutti, nello splendore del suo amore per ogni donna e per ogni uomo, per la terra, si finisce per dimenticare, o impallidire, i sentimenti, le vibrazioni umanissime, le tonalità inimmaginabili, che l'amore prendeva nel suo cuore. Certo Gesù va per case e case, ma non tutte erano uguali: quella di Betania ci rimane nel cuore, era per lui una casa speciale, casa di amicizie ingualcibili. Già le prime righe del racconto ce lo hanno fatto percepire scopertamente. Il brano inizia dicendo che "un certo Lazzaro di Betània, era malato". "Un cero Lazzaro", quasi fosse uno dei tanti. No, le sorelle, quando vogliono informare Gesù del fratello malato, vanno oltre il nome: il loro fratello era più di quel nome; in un certo senso gli cambiano il nome. Le sorelle mandarono a dirgli: "Signore, ecco, colui che tu ami è malato". "Colui che tu ami": l'amore aggiunge nomi. Anche Betania non era un villaggio come tutti gli altri. E nemmeno la casa. La casa di Betania aveva un profumo diverso, tant'è che l'evangelista Giovanni, parlando di Maria, la sorella di Lazzaro, anticipa - quasi l'avesse già compiuto - quel gesto che accadrà in un seguito di giorni e scrive: "Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli". Come se non si potesse dire della casa di Betania senza dire del profumo e dei capelli. E Giovanni insiste nel racconto a dire la profondità della relazione: "Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro". Insiste a dire, per ben due volte, che dinanzi al pianto di Maria e poi dei convenuti, Gesù fu profondamente commosso, turbato; nemmeno lui rimase ad occhi asciutti: "Scoppiò in pianto". Qualcuno - e forse anche a ragione - potrà obiettare che la mia sosta, su questo dilagare dei sentimenti nel racconto, è decisamente in eccesso. Però - come molti di voi, immagino - anch'io mi sono chiesto della sproporzione nel brano tra l'accadere dei sentimenti e l'accadere del gesto di Gesù, che restituisce alla vita il suo amico. La sento come un invito, che mi viene rivolto, a non usare troppo disinvoltamente, con chi è provato da un distacco lacerante, la parola "risurrezione", se prima non ho condiviso tutto il peso di quella indicibile sofferenza. O forse Gesù vuole anche raccontarmi che sì, da un lato la morte sembra sovrastare l'incanto dei sentimenti, ma per poco: non avrà l'ultima vittoria, perché più forte della morte è l'amore. La casa e le strade di Betania lo raccontano. Gesù iscrive proprio in questo pulsare di sentimenti, parole, degne di fiducia, che suonano come sconfitta di una morte che sembra vincente. A Marta, a noi oggi, dice: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?". Dice "io". Bellissimo. La risurrezione non mi suona come parola astratta, mi suona come persona. Sì, io ti guardo, i tuoi occhi sono lago di risurrezione. Le tue parole non sopporterebbero mai che io rimanga in una tomba, né oggi, né alla fine dei tempi. La tua è voce che fa uscire. Non solo mi fa uscire, ma mi libera. Mi sbenda, già oggi; e in futuro mi sbenderà dall'ultima legatura: "Liberàtelo e lasciàtelo andare". Io ti guardo, tu dici: "Io sono la vita". Ti guardo. Tu soffio dell'in principio, mi fai respirare. E mi chiedi di essere vita, di far respirare. Mi insegni l'arte di far respirare. Un'arte da apprendere, in tutte le stagioni; e quanto più in questa stagione. "Far respirare" e non "togliere respiro". Sono rimasto sedotto in questi giorni da un titolo, che un mio amico, giovanissimo amico. Francesco Occhetto, ha dato a un suo contributo: "Verso una società della cura del respiro, unica risposta alla crudeltà umana". La cura del respiro: e racconta del respiro degli umani, ma anche del respiro del cosmo intero. Anche gli uccelli hanno un respiro, anche un albero, anche una casa . Sì, c'è il respiro delle case e, se le si rade al suolo, se ne soffoca il respiro. Dio - ce lo ricorda il segno di Lazzaro - ha cura del tuo respiro, del mio respiro. E ancora a pregare che tu senta battere e ribattere veloce questo cuore come quando la mano ode il pulsare di un passero che spaurito ha trovato nel tuo corpo estremo rifugio. La cura del respiro. "Io" dice Gesù "sono la vita", sono respiro. Io non so come avverrà l'ultimo mio passaggio, se sarà più o meno faticoso - il suo fu estremamente faticoso, da farlo morire in un grido - io non so. So che sarà lui a bussare, e avrà gli occhi di chi ama il respiro, la vita, la risurrezione. Gli leggerò negli occhi la cura della vita. Forse questo è un altro dei suoi nomi. Al cuore mi vengono versi di una poesia di un'amica, che altre volte vi ho ricordato, Chandra Livia Candiani. Li sento come un regalo, nell'aria di intimità della casa di Betania: "Quando arriverà il tuo passo, metterò una conchiglia sopra la soglia e nell'aprirla i frantumi volando reciteranno il tuo nome".
Lettura del libro del Deuteronomio - Dt 6,4a; 26, 5-11 In quei giorni. Mosè disse: "Ascolta, Israele: tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: "Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato". Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio. Gioirai, con il levita e con il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che il Signore, tuo Dio, avrà dato a te e alla tua famiglia". Sal 104 (105) Lodate il Signore, invocate il suo nome. Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome, proclamate fra i popoli le sue opere. A lui cantate, a lui inneggiate, meditate tutte le sue meraviglie. R L'ha stabilita per Giacobbe come decreto, per Israele come alleanza eterna, quando disse: "Ti darò il paese di Canaan come parte della vostra eredità". R Quando erano in piccolo numero, pochi e forestieri in quel luogo, non permise che alcuno li opprimesse e castigò i re per causa loro: "Non toccate i miei consacrati, non fate alcun male ai miei profeti". R Lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 1, 18-23a Fratelli, l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un'immagine e una figura di uomo corruttibile. Lettura del Vangelo secondo Giovanni - Gv 11, 1-53 In quel tempo. Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: "Signore, ecco, colui che tu ami è malato". All'udire questo, Gesù disse: "Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato". Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: "Andiamo di nuovo in Giudea!". I discepoli gli dissero: "Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?". Gesù rispose: "Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui". Disse queste cose e poi soggiunse loro: "Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo". Gli dissero allora i discepoli: "Signore, se si è addormentato, si salverà". Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: "Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!". Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: "Andiamo anche noi a morire con lui!". Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà". Gesù le disse: "Tuo fratello risorgerà". Gli rispose Marta: "So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno". Gesù le disse: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?". Gli rispose: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo". Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: "Il Maestro è qui e ti chiama". Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!". Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: "Dove lo avete posto?". Gli dissero: "Signore, vieni a vedere!". Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: "Guarda come lo amava!". Ma alcuni di loro dissero: "Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?". Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: "Togliete la pietra!". Gli rispose Marta, la sorella del morto: "Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni". Le disse Gesù: "Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?". Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: "Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato". Detto questo, gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!". Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: "Liberàtelo e lasciàtelo andare". Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: "Che cosa facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione". Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno, disse loro: "Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!". Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell'anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.
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