la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella terza Domenica dopo Pentecoste
secondo il rito ambrosiano


18 giugno 2023



 

 

Gen 2,4b-17
Sal 103
Rm 5,12-17
Gv 3,16-21

Un po' ci incantiamo quando leggiamo i racconti della creazione. Come se ascoltassimo rapiti pagine di miti antichi. Anche la pagina del libro della Genesi, che oggi abbiamo letta, prende eco da miti antichi, poi li riplasma, e a sua volta rimanda eco. Due sono nella Bibbia i racconti della creazione. Nella memoria per lo più ci rimane quello del primo capitolo della Genesi, con quel suo ritmo incancellabile: "Dio disse: "Sia la luce". E la luce fu. E fu sera e fu mattina: giorno primo". Così per sei giorni. Poi Dio si riposò. Oggi il racconto è dal secondo capitolo. E la sequenza è diversa. Cielo e terra creati da Dio, niente alberi, nessun cespuglio. Ma ecco apparire nel racconto una polla d'acqua, acqua sorgiva, come se Dio avesse bisogno di quell'acqua: "Sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato". Sosto ad immagini.

La polla d'acqua. Una vena, d'acqua sorgiva, che poi nel racconto diventa fiumi; e il testo indugia sul ramificarsi dei fiumi, in ogni direzione. Quasi un invito a irrigare: irrigare è portare vita. Penso ai paesi della siccità: troppe vene d'acqua attendono di essere portate alla luce. E poi c'è la siccità del cuore e altre polle d'acqua che attendono di essere portate alla luce. Irrigare è continuare l'opera del Dio del giardino. Sosto al Dio vasaio che plasma la polvere del suolo. E non è che abbia fatto il vasaio all'inizio e poi abbia smesso l'arte. La Bibbia lo dice vasaio sempre, sempre a ricomporre le argille in frantumi, a volte sconnesse, che siamo noi. Al soffio di un alito di vita, il suo, diventiamo viventi. A volte basta un soffio, di Dio e non solo. E ti sentivi vivo: "divenne un essere vivente".

E sosto al giardino: nel secondo racconto è tutto giardino. Vorrei evocare questo legame profondo tra noi e il giardino, tra noi e la terra. Un legame che viene dunque dall'in principio, già alluso nell'etimo delle parole in lingua ebraica, che suona: "Dio plasmò ha-'adam, con la polvere dell''adamah (terra)". Il legame umanità e terra si sposa a due verbi bellissimi e preziosi, affidati all'umanità: "Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse". Coltivare: non è un Dio che "faccio tutto io". Chiede a noi di coltivare il giardino, di irrigare, di vangare il terreno, di farlo custode di semi per futuri germogli. Ci è consegnato il coltivare; e il pensiero mi corre - ma è solo una parentesi, apro e chiudo - alla cultura, che fa parte del coltivare il giardino: cultura è da un verbo che dice coltivare. E custodire. Custodire la terra, non occuparla, non cementificarla, non derubarla della sua bellezza o trascurarla. La parola "custodia" ha un sotteso di tenerezza: "Io ti custodisco…".

E poi l'albero della conoscenza del bene e del male, che chiede rispetto per la parola "bene" e la parola "male", perché vi è custodito un disegno di bellezza che va onorato: siamo messi in guardia dalla deriva della ambiguità, dallo scolorimento del bene e del male. Quanto amore c'è in questo divieto di non scolorire. Il divieto di non mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male non viene da un Dio concorrente, ma da un Dio che non si rassegna a vederci nudi, denudati in umanità. Viene da un Dio che ci ama. Il racconto della Genesi vede protagonista un Dio che ci ama. E così oso un passaggio al brano di Giovanni che oggi abbiamo ascoltato. Lo apre una frase imperdibile, da custodire nel cuore - custodire, verbo di tenerezza -: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui". "Ha tanto amato il mondo".

Il "mondo", capite, un amore che arriva a tutti, a tutto, all'angolino più sconosciuto. Una missione, quella del Figlio, che nasce non da una passione di condanna, ma da una passione di salvezza: "perché il mondo sia salvato". Per dare sempre nuove possibilità di vita, di rinascere. A cominciare da noi che siamo sì terrosi, lo riconosciamo, fragili come le sabbie, ma non per questo perduti. il Figlio è disceso - dirà di lì a poco Gesù - "perché nessuno vada perduto". E vedilo per le strade e le case, per le strade e le case del suo tempo e del nostro tempo: è la riprova che è venuto perché nessuno vada perduto. Gli interessa che nessuno si senta perduto.

Ebbene perdonate se oggi insisto, sino alla noia forse, su questa parola "nessuno vada perduto" e la ripeta quasi come un mantra: è perché i nostri occhi e il cuore a fatica si staccano da un naufragio nel mar Ionio che è diventato come un simbolo, non solo di chi va perduto, ma di smarrimento di umanità. Non sarà che come umanità dobbiamo nascere dall'alto, come diceva Gesù nella notte a Nicodemo. "Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall'alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito". Per Gesù c'è la possibilità di rinascere, di scrivere una pagina nuova, se si fa un atto di fede, se ci si affida, se si esce dall'egoismo che trattiene. Gesù mette in guardia: "La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie" Persistere su certe vie è come condannarsi alla morte, è come cancellare i tempi delle nascite, è come chiudere la creazione. Senza luce i fiori intristiscono, i germogli rattrappiscono, il giardino diventa un deserto. E' quello che non vogliamo, né per noi né per nessuno.

Discepoli di un Maestro che è venuto perché nessuno, perché nulla, vada perduto.

 

Lettura del libro della Genesi - Gen 2,4b-17

Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c'era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d'acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre attorno a tutta la regione di Avìla, dove si trova l'oro e l'oro di quella regione è fino; vi si trova pure la resina odorosa e la pietra d'ònice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre attorno a tutta la regione d'Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a oriente di Assur. Il quarto fiume è l'Eufrate. Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire".

Sal 103 (104)

Benedetto il Signore che dona la vita. Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature. R Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo a tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono; apri la tua mano, si saziano di beni. R Nascondi il tuo volto: li assale il terrore; togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra. R

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 5,12-17

Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato… Fino alla Legge infatti c'era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.

Lettura del Vangelo secondo Giovanni - Gv 3,16-21

In quel tempo. Il Signore Gesù disse a Nicodèmo: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio".

 

 


 
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