la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella seconda Domenica dopo il martirio del precursore
secondo il rito ambrosiano


11 settembre 2022



 

 

Is 5,1-7
Sal 79
Gal 2,15-20
Mt 21,28-32

Mi prende il cuore - penso abbia preso anche il vostro - il canto della vigna nel brano di Isaia. Leggo le parole di Paolo, leggo la parabola dei due figli, ma il pensiero fa ritorno alla vigna su un fertile colle, a quelle immagini, a quella musicalità. Forse a farci tornare è anche il nostro bisogno di poeticità in ore abbuiate anche da tragedie o volgarità, che potrebbero avere l'effetto di impoverire l'orizzonte. E proprio perché vera poesia, il timore è che il mio commento, pur non volendolo, finisca per essere un attentato alla bellezza.

Sono parole innamorate sia quelle dell'amico del vignaiolo, sia quelle del vignaiolo. "Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d'amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle": così l'amico. Vorrei spendere due parole per questo amico che si incanta, avere amiche e amici che si incantano. Forse è il profeta, incantato all'amore di Dio per il suo popolo. E potrebbe essere ognuno di noi incantato a un segno di amore che sorprende nella vita: sorprendersi all'amore di due innamorati, lontani da piccinerie o censure, semplicemente per la bellezza dell'amore.

Ti verrebbe da scrivere una poesia. Come fa l'amico per il vignaiolo. Come siamo lontani da una visione che educa alla fuga e al sospetto. Ci sono segni di tragedie nella storia, ma c'è anche l'accadere dell'amore. E tu sei tra quelli che lo vedono accadere. Parole innamorate quelle dell'amico, e come eco, parole e gesti innamorati quelli del vignaiolo per la sua vigna. Fuori - e voi lo avete colto con immediatezza - da una logica di mera produzione, non è semplicemente un rapporto di lavoro quello del vignaiolo. In quei verbi c'è uno sguardo, uno sguardo amorevole, una passione e una tenerezza infinite: "Egli l'aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino".

Sino alla domanda, la domanda di chi sa che cos'è amare: "Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?". Alla "mia" vigna. Dove percepisci che "mia" non dice possesso, ma canta tenerezza, Così Dio con noi. E non poteva fare di più: lo guardo sul legno della croce, le braccia allargate e l'ultimo sangue. Vorrei ritornare ai verbi del vignaiolo in cui voi avete sorpreso uno sguardo tenero, per dirvi come dovrebbe abitarci nella vita questo sguardo. Il pensiero mi corre, per il contesto, ai rapporti di lavoro, ma li travalica: chissà se chi ha l'avventura di stare davanti a te sente uno sguardo buono, si sente "tuo", non nell'orizzonte di un possesso o di una produzione o di un ricavo, ma nell'orizzonte di un affetto, di una sollecitudine, di un bene.

E penso come avvenga una perdita quando l'unico elemento che stringe è il guadagno, la produzione. Forse sono pensieri vagabondi, ma a suscitarmeli è stato lo sguardo del vignaiolo. Lo tenerezza - e voi mi capite - non rimane certo nella terra di un vago sentimento: la sorprendevamo infatti in quel fare. E in quel non poter fare di più. Ma a proposito del fare ora vorrei alludere a un paradosso che appare nel canto della vigna, un paradosso su cui spesso non sostiamo, sul quale invece chiamano la nostra attenzione i cultori della Bibbia. Il paradosso sta nelle ultime parole del canto dove ci viene detto che la vigna è la casa d'Israele; gli abitanti di Giuda la piantagione preferita.

E si aggiunge qualcosa sul fare: che cosa attende il Dio vignaiolo dal suo popolo, da noi? Leggiamo: "Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi". Dal suo popolo amato Dio non attende qualcosa per sé, attende qualcosa per gli altri: che si metta mano alla giustizia, che si metta fine allo spargimento del sangue. "Acuendo il paradosso, per renderlo più chiaro" - scrive Luis Alonso Schökel - "l'amante non desidera di essere amato ma che venga amato un altro, il prossimo.

In termini teologici Dio con le sue fatiche d'amore desidera che l'israelita rispetti e ami il prossimo. Questo è il meraviglioso paradosso. Questo dice il testo". Fare la giustizia. E qui mi si crea un collegamento con il brano del vangelo dove Gesù mette a confronto quelli dalle parole apparentemente ossequienti che poi non vanno nella vigna, non operano per la giustizia e quelli invece che sembrano incuranti di parole devote e invece vanno nella vigna di Dio, che è il suo popolo e operano per la giustizia. "E' venuto il Battista nella via della giustizia" dice Gesù ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo "e non gli avete creduto, non lo avete seguito. Gli hanno creduto e lo hanno seguito pubblicani e prostitute".

Ritorna anche a proposito del Battista sulle labbra di Gesù la parola giustizia: venuto "nella via della giustizia". Una via che sorprendentemente scelgono di seguire quelli che disinvoltamente, troppo disinvoltamente, chiamiamo "lontani". A volte più di noi, più di quelli che altrettanto disinvoltamente, troppo disinvoltamente, si dicono "vicini". Operare la giustizia, un'altra parola da riapprendere, non basta una vaga solidarietà. Se ami la vigna. Anni fa, era il lontano 2003, il card. Dionigi Tettamanzi in un suo discorso alla città per la vigilia di Sant'Ambrogio parlava di una chiamata della città alla giustizia. Una chiamata, diceva "ad essere giusti, a dare a ciascuno il suo, ciò che gli è dovuto.

Una chiamata a essere veramente "uomini". E citava queste folgoranti parole di un grande pensatore, Romano Guardini, che scriveva: "Un uomo è degno del nome di uomo quando, sul luogo dove esiste, si adopera per la giustizia". E il cardinale aggiungeva. "Tutti noi, che operiamo nella Città, non possiamo dimenticarci dei doveri di giustizia che incombono. Il primo di questi doveri è di partecipare alla costruzione di una Città in cui le antinomie vengano ricomposte; in cui il povero non sia costretto a tendere la mano per chiedere l'elemosina; lo straniero sia accolto; i giovani possano costruirsi una famiglia; gli anziani si sentano sicuri; tutti possano lavorare, studiare, inventare, fare ricerca, amare".

E guardare, aggiungo, la città, il paese, la terra come una vigna. Amata.

 

Lettura del profeta Isaia - Is 5,1-7

Così dice il Signore Dio: "Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d'amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l'aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. E ora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa d'Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi".

Sal 79 (80)

La vigna del Signore è il suo popolo. Hai sradicato una vite dall'Egitto, hai scacciato le genti e l'hai trapiantata. Ha esteso i suoi tralci fino al mare, e arrivavano al fiume i suoi germogli. R Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato, il figlio dell'uomo che per te hai reso forte. R Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome. Signore, Dio degli eserciti, fa' che ritorniamo, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi. R

Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati - Gal 2,15-20

Fratelli, noi, che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori, sapendo tuttavia che l'uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno. Se pertanto noi che cerchiamo la giustificazione in Cristo siamo trovati peccatori come gli altri, Cristo è forse ministro del peccato? Impossibile! Infatti se torno a costruire quello che ho distrutto, mi denuncio come trasgressore. In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.

Lettura del Vangelo secondo Matteo - Mt 21,28-32

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: "Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: "Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna". Ed egli rispose: "Non ne ho voglia". Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: "Sì, signore". Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". Risposero: "Il primo". E Gesù disse loro: "In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli".

 

 


 
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