la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella dodicesima Domenica dopo Pentecoste
secondo il rito ambrosiano


20 agosto 2023



 

 

2Cr 36, 11-21
Sal 105
Rm 2, 12-29
Mt 11,16-24

Non possiamo nasconderlo. Che lo riconosciamo o no, esiste la triste possibilità che a lambire silenziosamente la vita, sino ad aggredirla ci sia un mistero di accecamento, di accecamento e di e di infedeltà. E' il motivo per cui con un certa inquietudine accostiamo i testi di questa domenica. Potremmo dire che a chiudere è la durezza. L'abbiamo incontrata nelle pagine del libro delle Cronache. Ci chiude agli appelli: "Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora.

Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l'ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio". Mi colpiscono gli avverbi: "mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri". Ebbene, a fronte della premura incessante di Dio, l'incoscienza, lo scherno, il disprezzo. Abbiamo schernito profeti e messaggeri. Spesso, risposta all'appello, fu schernire donne, giovani, piccoli: ed erano segni della premura di Dio. A salvezza da baratri. Sotto accusa dunque la durezza. Malati di durezza. Non sta forse scritto di Sedecia, re a ventuno anni: "Egli indurì la sua cervice e si ostinò in cuor suo a non far ritorno al Signore, Dio d'Israele"? Indurì. L'indurimento purtroppo può accadere in ogni stagione. Accadeva anche ai tempi di Gesù e il brano di oggi ne è un esempio lampante.

E' quello cui sta assistendo Gesù. Le cittadine del lago sono rimaste impenetrabili al suo messaggio, chiuse all'affaccio di gesti e parole nuove: "Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! E tu, Cafarnao?". "A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: "Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!". È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: "È indemoniato". È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: "Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori".

A tal punto duri di occhi e di cuore da non lasciarsi scalfire e da opporre resistenza alla voce, che più limpida non si può! Mi chiedo se il rimprovero per l'accecamento non possa venire a noi. Forse che non accade anche oggi di assistere ad arroccamenti, sino al delirio di negare nome e dignità a coloro che non rientrano in un certo pensiero, in certi parametri, nelle nostre righe? Diamo dell'eretico, come davano dell'eretico a Gesù: "Guarda con chi mangia!". Asfissia di pensieri, durezza di cuore, palpebre coriacee.

Ebbene non vorrei chiudere con questa amara visione. E per sfuggire alla tristezza, vorrei ricordare come a incorniciare il nostro racconto ci sia un "prima" e un "dopo". Un "prima si chiama Giovanni, il Battista. Aveva negli occhi una certa visione del Messia: "brucerà la pula con fuoco inestinguibile. Gli riferiscono di Gesù, qualcosa di nuovo, una immagine del Messia che non corrispondeva alla sua. Ebbene il profeta roccioso si pone una domanda: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?". La roccia del deserto ha una fessura.

Benedette le fessure. Ecco, conservare domande, custodire fessure. La coscienza grata di questo immenso non sapere che ci fa pellegrini di Dio. Prima del nostro brano, dunque,Giovanni. E dopo? C'è anche un "dopo": un dopo che - perdonate se mi esprimo così - sembra ripagare Gesù della sua delusione e tristezza. E' scritto che accadde in quel momento. Ascoltate: "In quel tempo Gesù disse: "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza". Non c'erano masse plaudenti, non gliene importava.

Erano i piccoli a intenerirlo. Li guardava, ringraziava. "Elogio della piccolezza" è il titolo di un libro, un gioiello letterario, di in prete, carissimo amico, che se ne andato anni fa, don Luigi Pozzoli. Lui tra i piccoli, sposa piccolezza a leggerezza e libertà. Ve ne stralcio poche frasi: "Leggeri, come quella lunga schiera di piccoli che attraversano la storia senza che la storia parli di essi: sono uomini e donne che hanno nel cuore le parole della leggerezza, che sono capaci di solitudine e silenzio, che sono guariti da ogni smania di apparire e da ogni pretesa di sapere. Ancora la domanda: perché Dio si è convertito al fascino della piccolezza? Perché la piccolezza è libertà.

Chi è evangelicamente piccolo, non solo è leggero, ma anche libero. È il bambino che può dire tutto quello che vuole, non l'adulto. Potremmo dire: i bambini sono "pericolosi" perché non hanno il buon senso di tenersi per sé la verità. Allo stesso modo i piccoli del vangelo sono le persone più libere. E si potrebbe facilmente dimostrare che le persone grandi e "pesanti", attaccate al potere e alle cose, non sono libere. Nessuno è più libero di Gesù, perché nessuno è più povero di lui. È povero di beni, è povero di legami familiari, è povero di successi umani. Per questo, non avendo nulla da difendere è libero anche di fronte alla morte". Piccolezza, leggerezza, libertà.

Forse a questo miracolo alludevano due miei cari amici che l'altra sera mi raccontavano di rondini. E mi dicevano: "Ora non stanno volando per portare cibo, ma semplicemente per regalare la bellezza del loro volo".

Piccolezza, leggerezza, libertà.

 

Lettura del secondo libro delle Cronache - 2Cr 36,11-21

In quei giorni. Quando divenne re, Sedecìa aveva ventun anni; regnò undici anni a Gerusalemme. Fece ciò che è male agli occhi del Signore, suo Dio. Non si umiliò davanti al profeta Geremia, che gli parlava in nome del Signore. Si ribellò anche al re Nabucodònosor, che gli aveva fatto giurare fedeltà in nome di Dio. Egli indurì la sua cervice e si ostinò in cuor suo a non far ritorno al Signore, Dio d'Israele. Anche tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme. Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l'ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Allora il Signore fece salire contro di loro il re dei Caldei, che uccise di spada i loro uomini migliori nel santuario, senza pietà per i giovani, per le fanciulle, per i vecchi e i decrepiti. Il Signore consegnò ogni cosa nelle sue mani. Portò a Babilonia tutti gli oggetti del tempio di Dio, grandi e piccoli, i tesori del tempio del Signore e i tesori del re e dei suoi ufficiali. Quindi incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi. Il re deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all'avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremia: "Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni".

Sal 105 (106)

Salvaci, Signore, nostro Dio. Si mescolarono con le genti e impararono ad agire come loro. Servirono i loro idoli e questi furono per loro un tranello. R Immolarono i loro figli e le loro figlie a falsi dèi. L'ira del Signore si accese contro il suo popolo ed egli ebbe in orrore la sua eredità. R Molte volte li aveva liberati, eppure si ostinarono nei loro progetti e furono abbattuti per le loro colpe. Salvaci, Signore Dio nostro. Benedetto il Signore, Dio d'Israele, da sempre e per sempre. R

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 2, 12-29

Fratelli, tutti quelli che hanno peccato senza la Legge, senza la Legge periranno; quelli invece che hanno peccato sotto la Legge, con la Legge saranno giudicati. Infatti, non quelli che ascoltano la Legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la Legge saranno giustificati. Quando i pagani, che non hanno la Legge, per natura agiscono secondo la Legge, essi, pur non avendo Legge, sono legge a se stessi. Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini, secondo il mio Vangelo, per mezzo di Cristo Gesù. Ma se tu ti chiami Giudeo e ti riposi sicuro sulla Legge e metti il tuo vanto in Dio, ne conosci la volontà e, istruito dalla Legge, sai discernere ciò che è meglio, e sei convinto di essere guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre, educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché nella Legge possiedi l'espressione della conoscenza e della verità… Ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi? Tu che dici di non commettere adulterio, commetti adulterio? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi? Tu che ti vanti della Legge, offendi Dio trasgredendo la Legge! Infatti sta scritto: "Il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra le genti". Certo, la circoncisione è utile se osservi la Legge; ma, se trasgredisci la Legge, con la tua circoncisione sei un non circonciso. Se dunque chi non è circonciso osserva le prescrizioni della Legge, la sua incirconcisione non sarà forse considerata come circoncisione? E così, chi non è circonciso fisicamente, ma osserva la Legge, giudicherà te che, nonostante la lettera della Legge e la circoncisione, sei trasgressore della Legge. Giudeo, infatti, non è chi appare tale all'esterno, e la circoncisione non è quella visibile nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera; la sua lode non viene dagli uomini, ma da Dio.

Lettura del Vangelo secondo Matteo - Mt 11, 16-24

In quel tempo. Il Signore Gesù diceva alle folle: "A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: "Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!". È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: "È indemoniato". È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: "Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori". Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie". Allora si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: "Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sòdoma sarà trattata meno duramente di te!".

 

 


 
stampa il testo
salva in  formato rtf
Segnala questa pagina ad un amico
scrivi il suo indirizzo e-mail:
 
         
     

 
torna alla home