Recensione
di Enzo Bianchi su "La Stampa"
In
giorni in cui in cortili e piazze pubbliche risuonano
parole di spiritualità e filosofia, è
bene non dimenticare l'ambiguità della
"piazza": luogo di convergenza, di convivenza
e di dialogo ma anche spazio per l'esteriorità,
il chiasso, il vociare che soffoca idee e persone.
Se sedersi in piazza è gesto già
noto alle pagine bibliche e richiama la saggezza
degli anziani, la vivacità dei giovani,
il brulicare dei commerci, "scendere in piazza"
evoca il più delle volte un cambio di tono,
un montare di sentimenti, "un essere fuori
luogo... fuori dal luogo decisivo, quello dell'interiorità".
Interiorità che invece troviamo sapientemente
visitata nelle parole di "un parroco che
si racconta" e che ci ricorda una domanda
fondamentale per l'autentica spiritualità:
"a quali immagini facciamo spazio nel cuore?".
Don
Angelo Casati - presbitero ambrosiano dal 1954,
a lungo parroco prima a Lecco e poi a S. Giovanni
in Laterano a Milano - nel suo Sussulti di speranza
(Àncora, pp. 192, e 13,50) parla sottovoce,
a volte sussurra poesie sue o di altri - ma sempre
la franchezza e l'afflato evangelico ricollocano
l'interiorità nella sua dimensione più
schietta, perché "se scendi alla punta
segreta del cuore, non è per nostalgia di
vuoto intimismo, al contrario è per recuperare
il vento della libertà, vento di trascinamento
nella vita e nella storia".
È
davvero un vento di libertà quello che spira
in queste pagine, foglie staccatesi dall'Albero
- il foglio mensile che don Casati usava per ravvivare
i legami con le persone cui andava la sua cura,
dentro e fuori la parrocchia - per colorare e allietare
l'apparente non senso dei giorni grigi. È
un vento che non ha paura di sollevare domande -
perché "fede non è far tacere
le domande con tortuose e consolatorie risposte,
bensì porre le domande estreme e resistere
nonostante tutto" - ma che rende compagni di
cammino quanti a tali domande non si sottraggono,
al di là di qualunque appartenenza.
Del
resto questo cammino alla ricerca di una vita interiore,
questa quotidiana fatica di abitare il proprio cuore
non è patrimonio esclusivo dei cristiani:
"Oggi forse più di ieri uomini e donne
credenti e diversamente credenti o non credenti
sentono di dover abitare questo spazio dell'anima
per goderne".
Sì,
l'interiorità è un bene di cui godere,
è il piacere di prendere consapevolezza del
soffio vitale che ci abita e che ci permette di
resistere nella nostra dignità umana anche
quando tutto intorno sembra congiurare per la barbarie
nei rapporti interpersonali e nella convivenza civile.
È
la vita normalissima e intensa di una comunità
cristiana al cuore della metropoli lombarda quella
che scorre in queste pagine: l'alternarsi dei tempi
liturgici e delle stagioni, i semplici momenti di
gioia e di sofferenza: battesimi, matrimoni, malattie,
funerali, innamoramenti e solitudini, incontri casuali
e ricerca di una prossimità feconda, tutto
nella convinzione che fare strada insieme, anche
solo per poco, plasma ciascuno di noi in profondità,
colora la sua spiritualità.
Come
ci ricorda Primo Levi in una stupenda poesia: "Di
noi ciascuno reca l'impronta / Dell'amico incontrato
per via: / In ognuno la traccia di ognuno".
Versi che al cristiano si fanno domanda: saprà
lasciare l'impronta di quel Gesù di cui segue
le tracce.
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