Prefazione
di Paolo De Benedetti
Un
giorno mi son detto:
la Chiesa ove la metto,
con tutte le eminenze,
i veti, le indulgenze,
le encicliche, i decreti letti
neppur dai preti,
e gli abiti e i cappelli
che assomigliano a quelli
che indossano a Purim
gli allegri jehudim ?
E già in un sacco nero
mettevo Chiesa e clero
Per poi, con lautomobile,
portarlo in poco nobile discarica.
Ma un bisbiglio
è uscito dal groviglio
(don Angelo, pensai.
E invece era Adonài ),
che mi diceva: Attento!
Nel sacco ci son cento
Giusti, oppur, come a Sodoma
Nemmen dieci si trovano,
ma cè un piccolo prete
la cui vita fa liete
le angeliche genti
(che sono sue parenti),
e dà speranza e fede
a chi aiuto gli chiede.
Prefazione
Allor pensai: Che fare?
Non resta che portare
Il sacco in San Giovanni
A ripararne i danni.
Don Angelo, tu puoi:
fallo per tutti noi!
Quando
don Angelo Casati, parroco di San Giovanni in
Laterano a Milano, compì i cinquantanni
di messa, gli dedicai questa poesia.
Riparare i danni, che sono molti, si può
e don Angelo ce lo insegna se si
imita Dio.
Secondo la mistica ebraica Dio, per creare il
mondo e fargli posto nellesistenza, fece
tzimtum, cioè
contrazione: si contrasse, in modo che il creato
potesse diventare il suo tu.
Ogni tu, da allora, richiede contrazione dellio.
Ed è quello che troppo spesso la chiesa
non impara e non
fa. Perciò dobbiamo imparare dal ragazzo
di Tabgha, che non lascia nome né
volto, solo lincantato dei cinque pani dorzo
e due pesci condivisi fra tutti e,
sottolinea don Angelo al ragazzo
non sarebbe
rimasto più niente. Oh, se la Chiesa,
dopo aver distribuito i pani e i pesci, non avesse
più niente in mano, questo sarebe uno tzimtzum
degno di Dio. Dacci una mano don Angelo, perché
ci sia di nuovo un cane, quello di Lazzaro, a
lambire teneramente. E ci sia un seno, quello
di Abramo, ad accogliere i disperati del mondo.
Paolo
de Benedetti