L’Italia
non è morta. Qualcosa in lei combatte per guarire
Il
17 marzo 1961, per i festeggiamenti del centenario dell'unità,
non ci fu festa né vacanza. Per tutto l'anno ci furono
celebrazioni a Italia '61 - un intero quartiere costruito ex novo
a Torino - che, come possiamo ancora constatare, esaltava soprattutto
il lavoro (art. 1 della Costituzione) e il progresso tecnico e
sociale. Ci fu però la visita della regina Elisabetta e
le dichiarazioni di Kennedy sull'"antica Torino".
Vacanza o no, festeggeremo anche noi il 17 marzo, senza speciale
solennità né entusiasmo. Vediamo perché.
Festeggiamo quel giorno perché dall'Italia e dalla sua
storia abbiamo ricevuto molto, in bene e in male, di ciò
che siamo, e perché per il bene di questo nostro paese
siamo da sempre impegnati. Senza troppa solennità, perché
non è la più bella o la più importante delle
date storiche nazionali.
Del 17 marzo 1861 rimane la bandiera tricolore, che è anche
nella Costituzione. Non c'è più il regno, né
i Savoia, né terre "irredente", né leggi
discriminanti tra italiani, né suffragio elettorale ristretto,
né religione di stato. Grazie a Dio.
Quell'evento fu opera di qualche azione popolare, ma soprattutto
delle armi dei Savoia, dei francesi, dei prussiani e di Garibaldi
(avversari-alleati), e dei maneggi di Cavour, a spese dei soldati-contadini
costretti (2000 morti di colera in Crimea), e di borghesi idealisti
e nazionalisti. Eppure fu anche un seme, un iniziale evento di
libertà, tutta da realizzare nella vita quotidiana dei
più poveri e sprovveduti.
Le date più importanti, vergognose o gloriose, che ci fanno
cara l'Italia, sono altre. La vera unità d'Italia è
il 1° gennaio 1948, quando entrò in vigore la Costituzione,
l'opera più civile e umana della nostra storia, nel concerto
degli altri popoli. Anche questo è un evento-promessa-impegno,
è il dovere profondo del nostro popolo, sotto tutti i tradimenti,
le barbarie, le ignoranze, le trame, le cadute e le riprese di
questi 63 anni.
La festa della Repubblica e della Costituzione (questo deve essere
il nome intero di quel giorno) è tradizionalmente fissata
al 2 giugno, festa del primo voto popolare. Questa è la
festa italiana più grande e più bella. Dunque festa
disarmata, che non deve vedere parate militari, come le armi devono
stare lontane dai seggi elettorali, da quel 2 giugno 1946, elezione
della saggia, umana, civile, pacifica, progressista Assemblea
Costituente, fino ad oggi. E anche perché il simbolo più
alto dell'Italia democratica non sono le triste armi, ma la partecipazione
di ognuno alla vita del proprio popolo, cioè la politica
di tutti e il voto consapevole di tutti, che orienta le scelte,
alla luce dei valori costituzionali.
Poi, dietro l'importanza primaria, ogni anno, del 2 giugno, abbiamo
- a grandissime linee - anche altre memorie: alcune fauste, memorie
di vita, altre infauste, memorie di lutto e pentimento nazionale.
La luttuosa guerra civile (detta "del brigantaggio")
che inaugurò il Regno d'Italia, frutto di ignoranza e imposizione,
di una politica dedita a proteggere latifondi e a costruire caserme
più che scuole e ospedali.
Il 20 settembre 1870, quando, dopo la guerra del 1866 (guerra
inutile in quanto l'Austria aveva offerto all'Italia il Veneto
in cambio della neutralità) anche Roma avrebbe potuto congiungersi
all'Italia senza brecce, né spari, né morti (19
soldati papalini, che dovevano manifestare la resistenza del papa,
e 49 soldati italiani), se il papato nei secoli avesse conosciuto
Cristo più di Costantino.
Il 4 novembre 1918, quando, con l'"inutile strage" (parola
cristiana di papa Benedetto XV), un immenso spreco di sangue del
popolo (mentre col mantenere la neutralità si sarebbe ottenuto
il "parecchio" di Giolitti), furono prese non solo terre
di lingua italiana, ma anche terre austriache, nel mito balordo
della superiorità latina, come ancora proclama la stupida
scritta sull'arco della vittoria a Bolzano.
L'Italia fu mezza morta il 28 ottobre 1922, e il 3 gennaio 1925,
e fu tutta morta il 10 giugno 1940. Fu mezza rinata l'8 settembre
1943 (non "morte della patria", ma inizio di rinascita:
tradimento giusto sebbene fiacco dell'alleanza criminale col nazismo);
rinacque molto con la Resistenza popolare, la lotta dei partigiani,
la fermezza dei 600.000 militari internati (che rifiutarono una
libertà condizionata alla collaborazione col Reich); e
fu tutta rinata il 25 aprile 1945.
L'Europa fu la più grande novità del dopoguerra,
il vero superamento degli ombelichi nazionalistici, francesi e
tedeschi, la riduzione dell'onnipotenza e sovranità dello
stato (superiorem non recognoscens). L'Europa è prolungamento
ideale della nostra Costituzione (art. 11): Europa tanto negletta
ora che c'è, ma tanto importante allora che non c'era.
Dopo i giorni chiari e le notti oscure di questi decenni, oggi
l'Italia lotta contro un'infezione del sangue, molto grave: spaccio
a distesa di illusioni, parole accuratamente false per ingannare,
miti facili per abbindolare, che fiaccano e corrompono gli spiriti,
potenza che si vanta della propria impunità, impero delle
apparenze, ogni bene e valore ridotto a merce di scambio e di
consumo. Questi e altri virus hanno diffuso un individualismo
antisolidale: proprio il rovescio dell'unità celebrata.
Ma l'Italia non è morta. Qualcosa in lei combatte per guarire.
FONTE: "Il foglio", mensile di alcuni cristiani di Torino (www.ilfoglio.info)
sul 17 marzo 2011
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