OMELIA
DI SALUTO DI DON ANGELO ALLA COMUNITA'
DI S. GIOVANNI IN LATERANO, MILANO
Non posso nascondervi l'emozione per questa eucaristia.
Ricordo l'emozione della prima eucaristia in una domenica
di novembre ventidue anni fa. Quella di ventidue anni fa
apriva le pagine di un diario, erano pagine bianche. Questa
di oggi viene dopo tante pagine scritte. Scritte da voi,
da me e soprattutto, io ne sono convinto, da Dio. Mi prende
emozione al pensiero delle mille e mille e mille storie
di questo diario.
Noi
viviamo come sotto una tenda. C'è un tempo per piantare
la tenda. C'è un tempo per arrotolarla e andarla
a piantare altrove. E' vero, non posso nascondervi che sento
il distacco bussare alla punta segreta del cuore. Alla mente
ti verrebbe il proverbio: "partire è un po'
morire". Ebbene lo sento vero, ma solo in parte. Mi
è cara, molto più cara un'altra parola del
Cantico dei Cantici. C'è qualcosa più forte
della morte, più forte della sensazione di sentirti
morire. Più forte, più forte della morte è
l'amore. Rimane, rimane forte, una relazione, anche quando
arrotoli la tenda e la sposti più in là. Rimane
ciò che abbiamo vissuto nell'intimità di una
tenda: parole dissepolte, luce che tremava sui volti. Rimangono
i sentimenti che ci legano. Tutto è custodito.
Vorrei avere avuto per voi la tenerezza di Francesco di
Assisi: di lui si racconta che raccoglieva da terra ogni
pezzetto di carta scritto. Diceva che in esso poteva esserci
il nome di Dio e perciò non lo si poteva distruggere.
Ma si comportava così anche con gli scritti pagani.
E quando qualcuno gli faceva notare che lì sicuramente
il nome di Dio non era scritto, dichiarava che vi erano
pur sempre presenti le lettere, con cui si poteva comporre
il nome di Dio. "Nulla" dice Piero Stefani, commentando
l'episodio "nulla deve andare perduto, tutto va custodito
se in esso è contenuto anche un barlume di significato.
Ogni pezzetto di carta può essere uno scrigno, in
cui è conservato qualche germe di senso, che non
dovrebbe andare disperso come pula al vento".
Abbiamo cercato tutti insieme in questi anni, forse non
ci siamo sempre riusciti, di avere questa delicatezza gli
uni verso gli altri, la delicatezza di chi è convinto
-è stato reso convinto dal vangelo- che ognuno è
un pezzetto di carta, in cui può essere scritto il
nome di Dio.
Ebbene mi sono chiesto che cosa avrei potuto dirvi in questa
eucaristia. E mi sono risposto che non avrei dovuto fare
altro che quello che sempre facciamo qui la domenica: cioè
commentare le Scritture sacre. Perché questa è
la cosa che nella tenda non finirà: nella tenda ci
si continua a raccontare il vangelo. Giunto all'ultima pagina,
tale è il fascino che riprendi dall'inizio. E questo
è il segno che il Signore non è morto nella
tua vita. Tu non lo hai messo tra i morti. Ma tra i viventi
che tu ascolti. Ti svela il segreto della vita: "Fa'
questo e vivrai".
Come vedete oggi mi sono troppo dilungato. Veniamo al brano
di Matteo: vorrei dirvi che, staccata dal suo contesto,
ci risulta un po' enigmatica la parabola di Gesù
sui due figli. La parabola è rivolta ai principi
dei sacerdoti e agli anziani del popolo, gli uomini dunque
dell'apparato. Gli uomini dell'apparato sono da un lato
perennemente disturbati dalla novità, dall'altro
sono per natura inquisitori. Hanno visto Gesù entrare
in città. Osannato come il benedetto di Dio, colui
che viene nel nome del Signore. L'hanno visto entrare poi
nel tempio, rovesciare i tavoli di quelli che vi facevano
mercato. Hanno udito le acclamazioni entusiaste dei bambini,
hanno tentato di farli tacere. L'indomani nel tempio lo
affrontano, a muso duro, chiedendogli chi gli ha dato l'autorità
di fare tutto questo. E Gesù racconta la piccola
parabola: loro sono come quel figlio che dice: "Sì,
Signore", ma poi nella vigna non ci va. Loro, pieni
di parole, di dichiarazioni, uomini dell'ortodossia, ma
impermeabili alla novità di Dio. Mentre quel popolo
disprezzato, i pubblicani e le prostitute sono come l'altro
figlio, forse un po' contestatore, che dice no, ma poi ci
ripensa e va.
La
differenza, ce lo siamo detti tante volte, è tra
chi è ingessato e chi sa cambiare, tra chi è
pieno di sé e chi nella vita da spazio. Se sei immobile,
se sei pieno, come puoi dare spazio a Dio o all'altro o
alla terra? Perché Dio non è immobile ma cammina,
l'altro non è immobile ma cammina, la terra non è
immobile ma cammina. Per questo pubblicani e prostitute
potevano ospitare Dio: lo potevano ospitare proprio a partire
dal vuoto, un vuoto, il loro, riconosciuto. Solo ciò
che è vuoto può diventare ospitale. Nel pieno,
anche nel pieno religioso, non c'è spazio. Né
per Dio né per nessuno.
E oggi Paolo nella lettera ai Filippesi ricordava che Gesù
-ecco l'inaudito- "svuotò se stesso", fece
il vuoto in sé. Per che cosa? Per potere ospitare
noi. Vuoto per amore. Questo è il Gesù dei
vangeli e voi fate bene a venire nella tenda della comunità
a ripulire - Dio solo sa se in parte ci siamo riusciti-
a ripulire l'affresco del vangelo. Perché è
la vera memoria di Gesù, non quella contraffatta,
che ci salva. Gesù -dice Paolo- si è svuotato,
si è abbassato. Così faccia la chiesa, così
facciano quelli che credono in lui. Svuotarsi per ospitare.
Sembra
un programma per la vita. Servire, come ha fatto lui, il
Signore. Ce lo chiede il vangelo. Ma ce lo chiede anche
questa generazione nelle sue espressioni più vive,
sì a volte ruvide, fino ad apparire qualche volta
anticlericale. Voci che in questi anni spesso ci hanno ricordato
l'attesa di una chiesa fedele al vangelo, che non sia tra
i dominatori del mondo, ma sia umile serva come il suo Signore.
Mentre
vi ringrazio a uno a uno, a partire da don Alberto, don
Paolo, don Giorgio per avermi accompagnato con il mio limite
e sorretto, chiedo a voi il dono di una preghiera, perchè,
là dove sposto la tenda, sia fedele alla memoria
di Gesù. Che si è svuotato, si è abbassato.
Sono certo che anche voi sarete fedeli a questa memoria,
lontani, come dice Paolo, da ogni forma di rivalità
o di vana gloria, con tutta umiltà considerando gli
altri superiori a se stessi. Sarete, con Don Giuseppe chè
è gia qui con noi e che già amate, una tenda
della comunione. E sentendone io parlare, renderete piena
la mia gioia.
A
conclusione di un'omelia che, perdonate, oggi si è
troppo dilungata, vorrei ripetervi le parole di Paolo: "Rendete
piena la mia gioia con l'unione dei vostri spiriti, con
la stessa carità, con i medesimi sentimenti".
E ancora "abbiate in voi gli stessi sentimenti che
furono in Cristo Gesù".
Renderete piena la mia gioia.
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