BEATI
I PURI DI CUORE
C'era
una volta.
Papa Giovanni, l'uomo delle beatitudini, quelle delle strade.
E dove infatti le vedi, le beatitudini, se non in basso,
per le strade? Lì e non altrove vedi i beati del
vangelo, i beati del monte o della pianura. Qualche volta
li vedi, ma raramente, nei palazzi, quando un palazzo, il
Vaticano per esempio, per grazia diventa strada e casa,
diventa monte, pianura, quando annullata è la distanza
e ad abitarlo è un piccolo. "C'era una volta
"
dice Padre David, pensando a Papa Giovanni "invece
ora
". E sembra triste, David, ma, al di là
di come suona la parola, David non è un arreso. I
puri di cuore non si arrendono. Sono della razza dei resistenti.
"Beati i puri di cuore perché vedranno Dio".
Beatitudine bistrattata, e forse non solo in passato, per
un fraintendimento sull'essere puri, beati i puri di cuore,
e sul vedere Dio, vedranno Dio. L'essere puri
troppo
spesso scorrettamente declinato come l'essere casti. E il
vedere Dio
troppo spesso scorrettamente declinato come
contemplarlo nell'aldilà, nella visione beatifica.
Eppure
c'era e c'è già, nel linguaggio comune, una
resistenza, direi resistenza popolare, alla cattiva interpretazione.
A volte ti succede di sentir dire "quello è
un puro di cuore", quell'uomo, quella donna, quel papa,
papa Giovanni per esempio. Non di tutti ti viene di dirlo.
Quell'uomo, quella donna, è un puro di cuore, è
una pura di cuore. E' dentro questa percezione che intravedi
il significato vero della beatitudine.
Puro di cuore allora prende il senso di "uno diritto,
retto, integro, lontano dalla doppiezza. Dalla doppiezza
tra il pensare e il dire: pensi una cosa e ne dici un'altra.
Lontano dalla doppiezza tra il dire e il fare: dici una
cosa e ne fai un'altra. Non corrotto dalle seduzioni del
potere o del guadagno o della carriera. Senza interessi,
senza compromessi, un resistente. Pensate ai condannati
a morte per la resistenza, pensate alle loro lettere: i
puri di cuore!
Lasciatemi dire. Saremmo rimasti lontani da fraintendimenti
della beatitudine, che sono stati letali, se solo fossimo
rimasti ancorati alla Parola di Dio e a quella Parola vivente
di Dio, che è per noi Gesù di Nazaret, lui
un puro di cuore. Lui ha denunciato una deriva pericolosa
della concezione di puro e impuro. Vado per accenni.
Contro le gerarchie religiose che parlano spesso di puro
e impuro, facendolo coincidere con le loro categorie e tradizioni,
ecco che Gesù spalanca davanti agli occhi un orizzonte
di libertà e non di tabù e paure.
Vorrei ricordarvi un brano di Marco (Mc 7, 1 e ss.): i farisei
e alcuno scribi venuti da Gerusalemme, avendo visto alcuni
suoi discepoli prendere cibo con mani immonde, cioè
non lavate fanno una questione. Gesù dà loro
dell'ipocrita, usa parole che devono essere risuonate devastanti,
sovversive all'animo di chi lo stava ascoltando. Sovvertiva
tradizioni, sovvertiva costumi plurisecolari, ampiamente
codificati. Non certo già per il gusto di sovvertire,
ma per l'urgenza di restituire un'anima a una norma che
rischiava di diventare puro legalismo senz'anima e senza
cuore. Il comandamento del Signore finiva per essere soffocato.
Moriva sotto un cumulo di prescrizioni. Noi rimaniamo sconcertati
nel leggere che cosa siano stati capaci di aggiungere gli
uomini al comandamento del Signore: lavarsi prima e lavarsi
dopo, lavare le mani e poi i bicchieri, e poi ancora gli
oggetti di rame, ecc. Ma non ergiamoci facilmente a giudici.
Siamo così sicuri di non aver aggiunto nulla alla
Parola di Dio? I nostri libri di morale, i nostro codici
umani, i nostri criteri di giudizio ne sono così
immuni?
"Trascurando il comandamento di Dio" dice "voi
osservate le tradizioni degli uomini". Notate, Gesù
queste parole le rivolgeva ad uomini che si dichiaravano
eminentemente religiosi, gli uomini religiosi del suo tempo
e sottolineava con forza la differenza tra tradizioni umane
e comando del Signore. Quante cose, pensate, quante, lungo
i secoli abbiamo fatto passare per assolute ed erano relative.
E
c' è una conseguenza: assolutizzando le tradizioni
umane, abbiamo introdotto, dice Gesù, la categoria
del puro e dell'impuro, quando impure non sono le cose,
le cose sono pure. È dal di dentro che può
nascere l'impuro. Anche questo insegnamento disatteso! Pensate
come, in una certa tradizione, alcune realtà siano
state poste sotto il segno del "puro e dell'impuro".
E allora il corpo impuro mentre l'anima pura, la donna impura
mentre l'uomo è puro, il laico impuro mentre il prete
è puro; le mani con cui prendere l'eucaristia impure,
mentre la lingua è pura. Il non credente o il diversamente
credente impuro mentre il credente è puro, la mia
religione pura, la tua impura. Quando, dice Gesù,
l'interrogazione dovrebbe essere invece sul cuore, sul "di
dentro".
Secondo insegnamento, luminoso nella vita di Gesù:
la purezza di cuore non è distanza, la distanza per
non essere contaminati. La purezza, declinata come distanza,
era quella rivendicata dalla deriva del fariseismo. Pensate
allo scandalo, scandalo non evitato da Gesù, che
superava i confini delle separatezze, toccava e si lasciava
toccare, giudicato severamente dagli occhi, quelli sì
impuri, gli occhi di sospetto, dei suoi avversari.
Lui a tavola con i peccatori, ancora non convertiti: mangia
con loro, che sono impuri. Si lascia ungere e profumare
dalla donna, una poco di buono. La difende: "Dovunque
sarà predicato il vangelo" dice "si parlerà
di ciò che ha fatto in ricordo di lei" (Mt 26,139.
Non sappiamo il nome della donna, ma noi questa sera parliamo
di lei, dopo duemila anni, parliamo di una cosiddetta impura
(Mt 26,7-13). "Ha molto amato" dice. Ma pensate
alle obiezioni dei nostri moralisti, se non sapessero che
a dire le parole è Gesù. "Ma come?"
direbbero "ha molto amato? Ha amato male". Gesù
denuncia questa purezza legale, intesa come separatezza,
quella degli inquisitori. E la rimprovera a Simone nella
sua casa, lui così osservante. E così freddo,
così gelido. "Vedi questa donna ? Sono entrato
nella tua casa e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi,
lei invece mi ha bagnato i piedi con le sue lacrime e li
ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio,
lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi
i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di profumo, ma lei
mi ha cosparso di profumo i piedi" (Lc 7,44-46).
Pensate alla rivoluzione operata da Gesù, pensate:
la purezza, non come distacco, non come separatezza, ma
come passione!
Ho scritto in anni molto lontani, erano gli anni del Concilio,
del vento del Concilio, questi versi, che mi erano venuti
da una domanda di una ragazza del liceo, durante un'ora
di religione, domanda sul celibato: "Non chiamare celibato":
Non
chiamare celibato
una beata solitudine
la torre
in cui ti difendi dal mondo.
Conosco
case
dove non importa
di niente e di nessuno.
Sono case verniciate
di celibato
-l'hanno scritto in ogni angolo-
ma povere d'amore.
Conosco
case dove disturba
il pianto di un bambino,
un singhiozzo di donna
o l'eco di una marcia
che protesta sulle strade.
Perché
celibato non può essere
una stanza vuota,
ma la casa che scoppia di amici,
quelli che oggi ci sono
e quelli che ieri sono partiti.
Celibato
se mai
è la tua casa
dove piangono senza pudore
tutti i bambini e le donne
di questo popolo strano
e tu con loro,
è marciare con ogni uomo
che grida l'ingiustizia.
Troppe
volte
hanno tappezzato di gigli
la libertà di non amare
veramente nessuno.
Col
tempo mi sono chiesto se non fosse troppo provocatoria questa
mia pagina, ma poi mi riveniva alla memoria una pagina di
Giacomo, l'apostolo. A proposito di religione pura. Se ci
chiedessero quando per noi una religione è pura,
che cosa penseremmo, che cosa risponderemmo? Una religione
pura! L'apostolo Giacomo, forse sconcertando tanti nostri
criteri di giudizio, scriveva: "Una religione pura
e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa:
soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni
e conservarsi puri da questo mondo" (Gc 1,27). Pensate
per un attimo a quante cose abbiamo messo prima di questo
comandamento che svela la religione "pura e senza macchia":
soccorrere coloro che non hanno nessuno che li difenda e
non arrendersi alla mentalità mondana.
L'interrogazione va dunque al cuore. Perché dal cuore
vengono gli influssi che illuminano o sporcano le cose,
quelle cose che Dio, dopo averle create, contemplò
estasiato perché erano belle, dice la Scrittura.
E non dovremmo allora, me lo chiedo, prenderci cura del
nostro cuore? Il cuore, secondo, Gesù è il
luogo della gestazione: saranno nascite luminose o saranno
nascite preoccupanti? Nascite che generano fiducia o nascite
che generano apprensione? La gestazione è nel silenzio
del cuore. Interroghiamoci sul cuore, il nostro cuore. Che
cosa dimora dentro di noi? E di conseguenza che cosa generiamo
nel mondo?
Una domanda che sento urgente. Forse perché la mia
vita va verso il compimento. Che cosa ho immesso nel mondo?
Dal mio cuore. Potrebbe essere anche la domanda di ogni
nostra giornata, giunta alla sera, al suo compimento. Oggi
che cosa è uscito dal mio cuore? Che cosa ho portato,
là dove sono passato? Che cosa ho generato?
Vorrei
fare ora un breve cenno a questa promessa legata alla beatitudine:
"vedranno Dio".
Certo nell'aldilà! E sarà, lasciatemi dire,
una bella sorpresa vedere come Dio non fosse in tante nostre
codificazioni e strategie. Ma io penso che la promessa fatta
ai puri di cuore, la promessa di veder Dio, cominci di qua.
Proprio perché i loro occhi sono puri, leggono in
profondità. Proprio perché cercano in tutti
i modi di tenerli immuni dalla seduzione della menzogna,
essi sanno vedere le cose di Dio, sanno vedere dove oggi
cresce il suo regno. E loro lo vedono o, se volete, lo intravedono,
nei piccoli, anche quando tutto sembra dire diverso, sembra
dire che la storia la fanno i grandi e non i piccoli. Hanno
occhi che intravedono Dio nel quotidiano, perché
immuni dalla malattia della grandezza mondana.
Proprio perché i loro occhi sono puri vedono Dio
là dove altri, ammaliati dalle grandezze mondane,
non sanno sostare e accorgersene.
"E' il cuore mondo" diceva Giovanni Vannucci,
parlando di sorella Maria dell'eremo di Campello "è
il cuore mondo che permette di avvicinare ogni essere, da
Dio alla fogliolina fragile, con amore e devozione completa,
che aiuta a scoprire, in tutto ciò che esiste, il
punto verginale che è la presenza di Dio nella creazione
e l'altare dove viene celebrata la comunione dell' Invisibile
con il visibile".
Scriveva sorella Maria: "In questo momento penso con
riconoscenza a quel bruchino lucente che mi rallegrava tanto
quando uscivo all'oscuro, nel chiostro. Oh, benedetta piccola
creatura, che ti fa pensare a che cosa possiamo divenire
per i nostri compagni di pellegrinaggio, se anche un solo
momento della nostra vita terrena noi giungiamo ad essere
lucenti".
E diceva ancora: "Come, io credo alla comunione dei
Santi! E' per me esperienza, non solo di fede! Credo anche
in una misteriosa possibilità di comunione con le
creature. Per esempio quelle che più amo: una stella,
un uccello, un fiore, una farfalla mi accrescono la vita
e mi fanno gentilezza, come i Santi di cui sono amica".
"Beati i puri di cuore
vedranno Dio".
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