intervento


don Angelo Casati, Gruppi di rinascita cristiana, 18 marzo 2017



UN ORIENTAMENTO SPIRITUALE PER L'OGGI NEL SEGNO DELL'ALLEANZA

 

Questo il titolo che mi è stato affidato. Faccio una premessa. Sono lontano dai vostri gruppi da trent'anni e quindi registrerete purtroppo nelle mie parole una distanza, che per fortuna sarà colmata dagli interventi di oggi che entreranno sempre nel tema, penso a quello ora ascoltato di Serena Grechi e quelli che seguiranno nella mattinata e nel pomeriggio...

Mi sento più sereno: colmeranno i miei vuoti e colmeranno anche questa mia modalità di procedere non tanto per concatenazioni logiche ma più per storie e sussulti, in uno stile quasi rapsodico. La mia non sarà una lectio sul capitolo 7 del Deuteronomio da cui è stato estrapolato un versetto, il nono, che dice: . "Riconosci dunque il Signore, tuo Dio: egli è Dio, il Dio fedele, che mantiene l'alleanza e la bontà per mille generazioni con coloro che lo amano e osservano i suoi comandamenti".

Vi devo subito dire che il testo è un piccolo tesoro - e anche questo fa pensare - dentro un contesto da brivido, sia perché i versetti continuano dicendo che "Dio ripaga direttamente coloro che lo odiano facendoli perire; non concede una dilazione a chi lo odia, ma li ripaga direttamente". Un Dio che non concede dilazioni cozza contro tante immagini di Dio che tutti noi custodiamo nel cuore. Ma poi, aggravando, il testo continua con l'invito allo sterminio, uno sterminio totale, brutale dei nemici.

Potremmo dunque dire che sulla genuina immagine di Dio si sono stratificate opinioni di uomini, preoccupazioni e strategie del tempo in cui il libro è stato scritto: ci si illudeva di preservare la purezza della religione eliminando il diverso. L'affresco va ripulito. Ma già questo porta a una considerazione sul modo corretto di leggere le Scritture e sull'intelligenza del vostro metodo che vi porta puntualmente a riflettere su pagine dell'Antico e Nuovo testamento.

Anche a proposito di Scritture sacre viene chiamato in causa un sano discernimento. Vi hanno aiutato nei gruppi di Rinascita biblisti di grande riferimento, penso solo agli ultimi, il gesuita padre Ska, a Rosanna Virgili, mia amica... Una distorta immagine di Dio, ricavata ingenuamente dai testi sacri, non solo allontana dal Dio dell'alleanza, dal fare alleanza, ma può indurre alla deriva dei più brutali e biechi fondamentalismi.

Ed eccomi a sfiorare, dico solo sfiorare, alcuni appunti su una spiritualità dell'alleanza. Comincerò con il dire che una spiritualità dell'alleanza è una spiritualità dell'umiltà. Ci introduce nella sapienza dell'umiltà, umili davanti a Dio e all'altro. Perché? Perché a far parte dell'alleanza non sei entrato per la tua bravura, per la tua perfezione. Siamo lontanissimi, o dovremmo esserlo, da ogni ubriacatura di presunzione.

Dio si è stretto a noi non perché siamo chissà chi o chissà che cosa. Dice il testo ai versetti che lo precedono: "Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -, ma perché il Signore vi ama" (7-8). Piccolezza di numero e di potere, paradossalmente può diventare una opportunità per parlare al mondo della stranezza dell'alleanza di Dio. Che ci ama nella gratuità.

Chiunque tu sia, piccolo o peccatore che tu sia. Penso che ha amato me tra i più piccoli e i peccatori. Lontani dunque da ogni ostentazione, da ogni esibizione, dal gridare in piazza. La terra dell'umiltà come ingresso, condizione sine qua non, al fare alleanza. Un spiritualità dell'alleanza è una spiritualità della fiducia, impenitenti nella fiducia. Una fiducia che parte da questo convincimento: che Dio non si è pentito della sua alleanza. E se qualche volta può sembrare che a parole si penta, poi si converte e non la ritratta.

Alleanza come fiducia. E dunque sei un uomo spirituale, sei una donna spirituale non quando rifuggi schifato o schifata da Ninive, giudicandola città perduta, irrecuperabile, ma quando pensi che in Ninive, in questa mia città, Dio si è scelto un popolo e che quel popolo prima che tu ci metta piede già è stato raggiunto - ed è quindi abitato - dall'amore di Dio. Nasce - voi mi capite - un modo di guardare, di guardare donne, uomini, di guardare la storia, di guardare la terra. "Del tuo spirito, Signore" cantiamo nelle liturgie "è piena la terra!".

Ma poi ce lo dimentichiamo. Basterebbe pensare come e quanto, in tanti nostri giudizi e discorsi, è latente l'idea di un Dio che si è ritratto. Vai in metropolitana, guardi e dici nel tuo cuore: "Del tuo spirito, Signore, è piena la terra". Guardi i volti che affollano la carrozza e pensi: "In questi volti, i più diversi, abita il tuo Spirito, Signore". L'alleanza ci precede in forza di uno spirito che ci precede: ci diceva il card. Martini... E' vero ci portiamo addosso, in giorni come i nostri, - e lo confessiamo - una sorta di spaesamento, ma questo non può indurci - se crediamo nell'alleanza non ritrattata - a lasciarci soffocare nel pessimismo, quasi fosse esaurita la grazia di Dio.

Ebbene la tentazione in agguato è quella della fuga dalle strade, per difenderci in spazi protetti, in cenacoli chiusi. Cenacoli chiusi a volte sono anche le nostre mentalità chiuse. C'è sempre incombente questa tentazione della fuga, del tenere le distanze. La fuga per diffidenza, per sfiducia. Convinti, come Giona, della indifferenza al bene della città. Se nei nostri occhi abita questa sfiducia verso l'altro, l'esito è che lo costringiamo a rintanarsi. E' la fiducia, che abita i tuoi occhi, a stimolare l'altro a uscire. A condividere con te le domande che lo abitano.

C'è, vedete, un sommerso che non appare. Un sommerso di bene, di sacrificio, di generosità, di fatica quotidiana, di passione, di ricerca, di attesa che non appare. Bisogna avere occhi per scoprire dove abita oggi lo Spirito, oggi più di ieri. Quello che vi dico potrà sembrare a qualcuno di voi discutibile, ma a me sembra che oggi un luogo dello Spirito sia la domanda. L'uomo e la donna rimangono, anche nelle nostre città, e forse anche perché vivono nella grande città, quasi per reazione, aperti alla domanda.

Alla domanda, non alle definizioni. Il cammino della fede nella città non inizia mai, o quasi mai, dalle definizioni o dalle proclamazioni, inizia come quello di Emmaus dalla condivisione di un viaggio e da una domanda: "Di che cosa state discorrendo lungo il cammino?". Fatti compagno, compagna, di viaggio e chiedi: "Di che cosa state discorrendo lungo il cammino?". La strada delle nostre città, proprio perché terre di pluralismo, è luogo delle domande: quelle serie, quelle della vita, così diverse dalle domande coltivate in laboratorio!

Di qui l'urgenza di essere, come Gesù, là dove nasce la domanda. E la domanda nasce spesso fuori dalle chiese, nasce per le strade e nelle case: là dove accade una nascita, una malattia, una morte, là dove ci si innamora o ci si sposa, là dove si legge una luce negli occhi dei figli o si legge il baratro di un disagio, il vuoto della delusione o della droga, là dove ogni giorno è la fatica di vivere, in faccia a se stessi e al mondo.

Tutto questo ci porta a pensare che la spiritualità dell'alleanza è una spiritualità dell'ascolto. Dell'ascolto delle domande, delle domande e dei pensieri. Prima ascolta. Noi parliamo. Chiamiamo a raccolta e subito parliamo. Parliamo noi, nelle case come nelle chiese. Parliamo: quanto si parla! E non raramente a vuoto, perché il parlare, se prima non si è ascoltato, è un parlare a vuoto. Un parlare che non fa alleanza perché è unilaterale, sporcato dalla pretesa che tutti rientrino nei nostri principi, nelle nostre codificazioni. Quasi chiedessimo come preliminare una condizione di appartenenza, mentre Dio non parte dalle appartenenze.

Gesù amico di pubblicani e peccatori insegna. Ebbene se oggi stiamo assistendo a una fuga, dalle chiese, delle donne e dei giovani, uno dei motivi, e non credo sia l'ultimo, penso sia questo: che non si sentono ascoltati, si sentono guardati, vasi vuoi da riempire. Stiamo davanti a loro come fossimo davanti a una assenza e non a una presenza. Una presenza significativa per me. E quindi da ascoltare. Ricordo la sensazione di disagio che pativo anni fa con i miei confratelli preti quando, parlando di fidanzati, dicevano: "Arrivano che in chiesa non ci mettono piede da dieci e più anni? Ebbene si beccano un bel catechismo!".

Vasi vuoti, da riempire. Mi permettevo di dire loro che era semplicemente il contrario. E che Dio nelle Scritture sacre si era raccontato proprio usando l'immagine di un uomo e di una donna che si amano e che stessimo a guardare loro, i fidanzati, perché proprio dal loro amore avremmo potuto capire qualcosa di Dio. Qualcuno di voi forse potrà pensare che sto esagerando e che inverto le parti.

Ebbene ho trovato la stessa indicazione anni fa leggendo il libro "Conversazioni notturne a Gerusalemme" del card. Martini. Anni fa Georg Sporschill, un gesuita, che lavora con i bambini di strada e con i minori abbandonati, realizzò un'intervista al Cardinale Martini. Nel corso dell'intervista pose una domanda al Cardinale: "Invece di essere lei a predicare, lei lascia che sia la gioventù a illuminarla. Un nuovo principio pastorale?". Rispose il Cardinale: "Nella gioventù ho trovato la più valida conferma di tale principio pastorale, sempre che di questo si tratti. Nella Chiesa nessuno è nostro oggetto, un caso o un paziente da curare, tanto meno i giovani. Perciò non ha senso sedere a tavolino e riflettere su come conquistarli o su come creare fiducia: deve essere un dono. Sono soggetti che stanno di fronte a noi, con cui cerchiamo una collaborazione e uno scambio. I giovani hanno qualcosa da dirci. Essi sono Chiesa, a prescindere dal fatto che concordino o meno con il nostro pensiero e le nostre idee o con i precetti ecclesiastici. Questo dialogo alla pari, e non da superiore a inferiore o viceversa, garantisce dinamismo alla Chiesa: In tal modo l'affannosa ricerca di risposte ai problemi dell'uomo moderno si svolge al cuore della Chiesa" (Carlo Maria Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme, Mondadori, 2008, pag. 47).

La spiritualità dell'alleanza è una spiritualità dell'attesa perché riposa non sui risultati, ma sulla fiducia nel seme gettato, conosce la gradualità, conosce che cosa può aiutare a crescere e che cosa può provocare la morte del seme. Occorre discernimento. Potrei dirvelo con una storia. Tre anni fa mi arriva la telefonata di una donna, mi chiede di potermi parlare. Mi trovo davanti agli occhi una donna che si dice non credente, mi confida che i medici, quelli più ottimisti, non le danno molto tempo, al massimo un anno, per vivere.

Mi dice che un'amica le ha passato il mo nome. L'amica, il giorno del suo funerale, mi confidò che quando le passò il mio nome, Daniela le disse: "Ma non sarà uno che vuole vuole convertirmi". L'amica le replicò che non avrei, mai e poi mai, preteso di convertirla. Ebbene che cosa avrei potuto suggerire alla sua ricerca se non il vangelo? Leggemmo il vangelo di Luca. Ci vedevamo quasi tutte le settimane.

Tra chemio e pallide speranze la vedevo scavarsi nel fisico, settimana dopo settimana. Ma ancor più la vedevo scavare tesori nel vangelo, tesori non solo a lei, ma anche a me sconosciuti. La figlia, non battezzata, la vedeva come illuminarsi. Sul principio aveva teneramente scherzato con la mamma chiedendole se la sua non fosse una infatuazione mistica. Poi s'accorse che era ben altro. Era un viaggio. Così lo chiamò, il viaggio della sua mamma.

Che era dopo mesi approdata anche all'eucaristia. Viaggio con tappa al funerale, solo una tappa e non un finecorsa, perché in lei era nato un amore per Gesù, che conviveva con tutti i suoi dubbi, i nostri dubbi, ma più forte dei suoi e dei nostri dubbi. Che cos'è la città? Una chiesa affollata al suo funerale, un silenzio, intenso, palpabile, commovente di amiche ed amici, che per lo più non hanno buona frequentazione di chiese. E alla fine anche una ferita. Si può tessere un'alleanza o la si può anche ferire.

Chiedono al parroco la possibilità che la figlia e la nipotina possano dare voce ad alcuni sentimenti per la mamma, per la nonna. Dice di no, che lo facciano, ma non in chiesa, quasi il farlo la sconsacrasse, ma sulla porta. Alla porta della chiesa, prima di uscire, la bambina, con voce che tremava, lesse una lettera alla sua nonna. La figlia chiede di poter aggiungere la sua voce, il parroco reagisce con un gesto deciso, qualcuno lo chiamò rozzo: "Fuori, Fuori!".

Nemmeno sulla porta della chiesa. Un colpo al cuore. Fuori la figlia legge - quasi la voce non si sente, fuori - legge davanti al carro funebre. Sotto il sole, all'aperto. Dio benediceva. Faceva alleanza fuori della chiesa. Qualcuno l'aveva rotta nella chiesa. Vorrei finire, sono solo accenni. E finisco dicendo che l'alleanza di Dio , come ci dice così frequentemente il vescovo di Roma, ci spinge nelle periferie.

Non possiamo più pensare che l'alleanza sia ristretta alla frequentazione delle chiese. E le periferie possono essere i luoghi dove l'alleanza di Dio la puoi svelare prendendoti tu cura della povertà dell'altro, con la partecipazione ai momenti e ai luoghi dove si progetta un mondo in cui sia più riconoscibile l'alleanza di Dio con il suo popolo, soprattutto per quelli che sono ritenuti lo scarto dell'umanità e proprio per questo hanno la preferenza di Dio.

Sulla strada che scende da Gerusalemme va celebrata l'alleanza, alla periferia del tempio di Gerusalemme. Sacerdote e levita hanno tradito l'alleanza. Il samaritano eretico l'ha onorata. Stare nelle periferie per tessere alleanze. Vorrei fare un ultimo cenno alle periferie dello spirito che incrociamo fuori delle chiese. Periferie che a volte ci sgomentano perché passano oggi vicino a noi, anche nelle nostre case, dove l'immagine antica di credente sembra messa in questione.

E' lì che siamo chiamati, non possiamo chiuderci - e già ve lo dicevo - nelle chiese, ma stare, oserei dire, nei luoghi più impropri. Finisco con un racconto che forse può dire quello che sto pensando. Ho un carissimo amico, una persona giovane, che unisce profondità del credere e "stravaganza", affascinante, lettore infaticabile di libri religiosi, anche di mistici e nello stesso tempo stravagante, come lo possono essere - lui è uno di questi - i parrucchieri dell'alta moda.

Si è sposato due anni fa. Sua moglie, una bellissima ragazza, lavora come fotografa e da poco hanno una bellissima bambina, che hanno chiamato Francesca, come il Papa. Qualche giorno fa mi hanno raccontato che una top model, mentre la stavano preparando, è scoppiata a piangere: "Mi chiedono di essere diversa da come sono, non ci sto dentro" dice loro. Quella giovane donna, poco più che ventenne, si stava perdendo.

E si è sfogata con il mio amico e con sua moglie, proprio mentre la preparavano per un ritratto. Probabilmente si è sentita accolta e ascoltata. Oggi il posto dei cristiani veri non è tanto nelle Chiese, nelle celebrazioni, nei monasteri, ma ai crocicchi delle strade. Sta nella vita. L'alleanza passa nei luoghi della vita. Non perdete il passaggio. Nella vita.

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