interventi


Angelo Casati , il 26/11/2008, Crema



LIBERTÁ E LEGGEREZZA

Non so -mi piacerebbe su questo ascoltare una vostra riflessione- non so se il tema della libertà trovi molta ospitalità, ai nostri giorni, nella predicazione e nella riflessione quotidiana. In passato, starei per dire, no. Ma oggi? Oggi si predica la libertà? Non sarà che più che predicare la libertà, prima ancora di predicare la libertà, si predicano gli abusi della libertà, senza averne prima annunciata la bellezza?

Dovremmo al riguardo riprendere alcune pagine della lettera ai Galati, là dove Paolo mette in guardia i suoi lettori da coloro che sono entrati nella comunità e sostengono che determinanti per la salvezza siano, sullo stesso piano, Gesù e la legge. Paolo non accetta. rifiuta l'equazione. Voi che volete essere giustificati mediante la legge, dice, avete rotto con Cristo. Se la giustizia è attraverso la legge, allora Cristo è morto per nulla.

Ed ecco, al capitolo quinto della lettera, due affermazioni che fanno da pilastro alla libertà cristiana. Sentitele e ripetetele di tanto in tanto come un réfrain nella vostra mente: "Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà" (Gal 5,13). E ancora:"Cristo ci ha liberati per una vita di libertà" (Gal 5,1).

Io penso che siano molto importanti questi indicativi, perchè sono come un annuncio, che ti fa alzare la testa, a volte piegata. Una lieta notizia, capite. Lieta notizia per i Galati, che sembrano averne smarrita la memoria, ma anche per noi, che magari ricordiamo mentalmente le parole, ma non ci lasciamo prendere dall'emozione: "siamo chiamati a libertà". Non siamo stati chiamati a una vita da schiavi. Ricordate Gesù -altre parole da emozione, da urlo-: "non vi chiamo più servi…ma vi ho chiamati amici" (Gv 15,15). Capite la differenza. Una religione in regime di schiavitù, da schiavi o in regime di libertà, da amici, da figli e quindi liberi? Quale la nostra?

E non è poesia, è parola del Signore. Vorrei anche dirvi, la bellezza di un lieto annunzio trascina la vita. Mancano notizie buone e ci si spegne. Una notizia buona dà slancio al vivere quotidiano. Si dice a volte: non fare della poesia e si dimentica che forse poche cose sono così concrete come la poesia, perché accende i sogni. E' la bellezza. a trascinare la vita. Senza sogni ci spegniamo.

Questo annuncio della libertà "Cristo ci ha fatti liberi", perdonate l'insistenza, va ricordato spesso a noi stessi. Come dice la parola "ricordare" va riportato al cuore , bisogna farne memoria.

Già nella cena pasquale ebraica, chi partecipava era invitato a rendere attuale per sé la memoria della liberazione. Si dice infatti ed è bellissimo: "In ogni tempo ciascuno è obbligato a pensare come se fosse lui stesso uscito dall'Egitto, perché è nostro dovere e nostra gioia ringraziare, lodare, magnificare, esaltare Colui che ha compiuto in noi e nei nostri padri meraviglie e prodigi. Egli ci conduce dalla schiavitù alla libertà, dalla amarezza alla gioia, dal lutto alla festa, dalle tenebre alla luce, dalla schiavitù alla liberazione" Bellissimo! E fa quasi eco la veglia pasquale dei cristiani dove è detto: "Nessuno pianga la sua miseria, il regno è aperto a tutti; nessuno si rattristi per i suoi peccati, il perdono si è levato dal sepolcro; nessuno tema la morte, ci ha liberati definitivamente la morte del Salvatore".

Mi chiedo se nella nostra vita ci sentiamo condotti, trasportati da questo vento della libertà che è dono, notate i verbi al passivo: "siete stati liberati", o se invece siamo fondamentalmente ligi alla osservanza delle codificazioni della legge. Chi è ligio alle codificazioni, non inventa nulla, se mai, nella sua vita ripete, ripete i moduli già prescritti.

Gesù, pensate, di coloro che sono nati allo spirito diceva che sono degli imprevedibili! Noi, confessiamolo, siamo fin troppo prevedibili. Diceva Gesù in quella emozionante conversazione notturna con Nicodemo: "Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito" (Gv 3,8). Bellissimo! Pensate, se si potesse dire dei cristiani: "sono come il vento, non sai di dove vengono e dove vanno". Loro inventano, secondo lo Spirito che li abita e li spinge.

Una libertà che non è licenza, è libertà di servire Dio e gli altri. Ma servire nella libertà, servire nella libertà dell'amore. Pensate alla differenza tra un servizio pagato e un servizio suggerito dall'amore. Paolo più volte nel capitolo 5 della Lettera ai Galati usa l'espressione: "gli uni gli altri": "portate gli uni i pesi degli altri, adempirete così la legge di Cristo" (Gal 6,2). Certo non ogni servizio ci fa liberi, c'è anche il servizio che è giogo. "Venite a me voi che site affaticati e oppressi" diceva Gesù "e io vi solleverò. Il mio giogo è dolce, il mio carico leggero" (Mt 11,19-20). Giogo leggero, perché la sua legge è l'amore e le cose fatte per amore hanno, come orizzonte, non una norma, ma un volto, di conseguenza diventano leggere. A differenza del giogo delle mille prescrizioni sotto cui era stata soffocata la legge di Dio, prescrizioni che facevano affaticamento e oppressione sulle spalle dei piccoli.

Ma lasciatemi anche dire: la libertà ha per noi come un' icona, luminosissima, affascinante, in cui specchiarci, anche questa da contemplare e ricontemplare nel cuore: l'icona è Gesù di Nazaret.

Ricordo come, alcuni mesi fa, in una libreria di Milano fui colpito dal titolo di un libro. Puoi anche essere colpito dal titolo di un libro! L'autore è: Christian Duquoc, il titolo: "Gesù uomo libero" (Queriniana editrice). Ci sono titoli attribuiti a Gesù che hanno il suono imponente delle definizioni. Li ascolti e non ti commuovono, ti ricordano poco o nulla della sua vita. Ce ne sono altri, meno in uso forse, come questo: "Gesù uomo libero", che, appena li sfiori, ti creano un sussulto, un sussulto di pagine e di pagine di vangelo. Immagini vive e piene di colori. Come se tu sfiorassi in quel titolo "uomo libero" il suo modo di essere, il suo modo, affascinante, di stare nel mondo.

Forse per questo quel titolo mi aveva affascinato. O forse perché tutti, chi più chi meno, soffriamo di imprigionamenti. E il fascino di Gesù uomo libero accende trasalimenti in ognuno di noi. Se tu ti fai lettore attento del vangelo non puoi sfuggire all'incantamento per la libertà di Gesù. Certo libertà a caro prezzo.

I racconti della sua risurrezione custodiscono l'incantamento. Quel suo andare, quasi a sfidarle, per porte chiuse, quel suo rifiuto ad essere catturato in una sola immagine - custode del giardino, pellegrino nelle ombre della sera, uomo in cerca di pesce dalla riva in un alba di lago?- e quell'invito a Maddalena, quando ancora dentro vibrava del sussulto della sua voce, quell'invito: "non mi trattenere!". E quanto sarà costato, mi chiedo, a Maddalena sentire quelle parole e forse anche a lui dirle. Era il prezzo, caro prezzo, di una libertà. Pausa di incantamento per Maria di Magdala e subito strappo della libertà.

Oggi sono arrivato a pensare che l'estasi per la libertà dello spirito, ognuno di noi potrebbe riviverla, con emozione, fermandosi a contemplare, sorpreso e affascinato, le tracce del più grande tra gli uomini liberi della storia, Gesù di Nazaret: da dove veniva e dove andava? Tracce rinvenibili nelle pagine vive dei vangeli.

Sfogli le pagine e resti sorpreso dalla sua libertà, sorpreso e affascinato per come reagisce davanti a ogni tentativo di imprigionamento. Da chiunque gli venga, fossero pure suo padre o sua madre, o i suoi, che cercano di "riportarlo a casa", di ricondurlo a più miti consigli.
Là dove vige un'adorazione acritica della legge, lui scompiglia la fissità senz'anima dei codici: guarisce di sabato, tocca i lebbrosi, mangia con gente di dubbia reputazione, ha al suo seguito delle donne, si lascia profumare e ungere dalle loro mani, promette memoria futura a una peccatrice, trova ed esalta la fede nei pagani, demitizza il luogo in cui adorare, un monte o un altro, canonizza un ladro sulla croce. Gli interessa Dio, un Dio che libera, gli interessa l'uomo, l'uomo e la sua libertà.

La sua era una religiosità diversa, libera, sciolta, in movimento. Ascoltalo: "Quando digiunate non fate come gli scribi e i farisei…profumati il capo" . La sua è la religiosità del figlio e non dello schiavo. La religiosità dello schiavo è una religiosità paralizzante: ferma la vita, la chiude. E' la religiosità della paura, che fa di noi degli osservanti senza amore, senza invenzione, senza intensità, simili all'uomo della parabola che va e nasconde "per paura" il suo talento, a differenza degli altri due, che inventano ogni giorno strade per moltiplicarli.

Gesù ha lottato, instancabile, per la libertà, la libertà da una religiosità da schiavi. E fu motivo, uno dei motivi determinanti, per decidere di toglierlo di mezzo. Non gli perdonavano la sua libertà. Non gli perdonavano la sua idea di Dio. Se ci fu contrasto tra lui e un gruppo di scribi e farisei, non fu perché li giudicasse degli "amorali", erano meticolosi osservanti. "Farisei, scribi e sadducei " scrive Christian Duquoc "sono attaccati come classi dominanti perché si appropriano in maniera unilaterale del potere di interpretare la legge e di definire il rapporto autentico con Dio. Gesù condanna la loro funzione sociale e vuole spezzare il loro eccessivo potere: in ciò manifesta la sua libertà. La sua rivolta contro i padroni della legge è una rivolta in favore dei piccoli. Tali padroni impongono a questi ultimi un giogo insopportabile. Ignorano che Dio rende liberi; senza affrettare le tappe. Gesù ridà a Dio la libertà che gli appartiene".

Leggi il vangelo e respiri a pieni polmoni la libertà. Che ha un segreto: il segreto della libertà di Gesù è che lui il primato assoluto lo dà a Dio, lui adora Dio e nessun altro. Nessuno dunque può farla da padrone su di lui. Dio che non è un padrone, è il Signore della sua vita e, insieme, garante della sua libertà. A nessun altro potrebbe, perdonate il verbo, "vendere" la sua vita, sarebbe imprigionamento. Se la vendi a Dio, è libertà. Dio è fonte di libertà.

Mi aveva colpito anni fa la testimonianza di un religioso francese, componeva bellissime canzoni, l'abbé Duval. Lui raccontava che a insegnargli chi era Dio erano stati suo padre e sua madre. Suo padre, perché la sera, prima di coricarsi, lo vedeva inginocchiarsi vicino al letto: lui, uomo fiero, che non si sarebbe inginocchiato davanti a nessuno, si inginocchiava e a lui, bambino, veniva da pensare che doveva essere ben grande Dio, se suo padre davanti a lui si inginocchiava. Ma di Dio una immagine complementare gliela aveva data sua madre, perché la vedeva pregare Dio, mentre allattava il fratellino e mentre il gatto le faceva le fusa sulle spalle. Doveva essere ben tenero Dio se sua madre poteva parlargli in quel modo. Un primato quello dato a Dio che ci rende liberi. E' la sorgente della libertà di Gesù, la libertà del Figlio.

Il primato a quel pezzo di Dio che è in te, che i veri maestri dello spirito ti invitano a scoprire e ad adorare. Se sei fedele a questo pezzo di Dio, sei libero dalla schiavitù degli altri e delle cose, dalle convenzioni abusate, dai codici senz'anima, dalle aspettative degli altri, dalle immagini che gli altri hanno di te. Per te contano gli occhi del tuo Signore, conta un piccolo pezzo di lui in te.

Era ciò che faceva sentire paradossalmente libera, nella prigionia di un lager, Etty Hillesum, e le faceva dire, rivolgendosi a Dio, sveglia al buio, con gli occhi che le bruciavano: "L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, è anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini (…) Esistono persone che all'ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d'argento, invece di salvare te, mio Dio. E altre persone, che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia".

Etty -voi senz'altro l'avete intuito- vive questa libertà dello spirito nel più quotidiano del quotidiano. Mi colpiva quella sua disincantata osservazione sulle cose di cui ci si fa schiavi, di cui la società ci fa schiavi: aspirapolveri, forchette e cucchiai…in un campo di concentramento! Pensate, di quante cose ci si fa schiavi oggi, fuori dai campi di concentramento! Riconquistare dunque una libertà dalle cose. Ma, ancora, essere più liberi, per esempio, nelle case, dove non ci sia soggezione dell'uno all'altro, dove ci si guardi dal soffocare magari subdolamente la libertà dell'altro: non l'imposizione dunque, ma la ricerca, nella coppia e nella famiglia, del bene di tutti e di ciascuno. Liberi nel mondo del lavoro, dove l'uomo e la donna non siano in funzione del prodotto, dell'economia, ma la produzione e l'economia siano in funzione dell'uomo, della donna, dove guadagno e carriera non siano gli idoli, il tiranno cui sacrificare la propria dignità e la dignità di nessuno. Liberi e resistenti contro la volontà di manipolazione di chi oggi concentra nelle sue mani la persuasività dei mezzi di comunicazione e il loro sconfinato potere di seduzione e di plagio. E resistere al pericolo di essere ridotti a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze. C'è qualcuno che cavalca la paura e l'amarezza, perché di giullari e di una ciurma devota e arresa, obbediente in modo cieco e assoluto, puoi fare facilmente uno strumento del tuo potere. E dunque la libertà di pensare. Obbedendo a un appello, lasciatemi dire, non ricordato, quasi cancellato del vangelo, là dove Gesù ci invita a mettere in atto tutta la nostra intelligenza, la capacità di ragionare con la nostra testa, un appello a non delegare ad altri la nostra libertà di pensare. "Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così succede. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, è così accade. Ipocriti, sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?" (Lc 12, 56-57). Da voi stessi.

Ritorna la domanda: perché respiri questa libertà nelle pagine di una donna come Etty Hillesum, che sfuggiva ad ogni appartenenza e respiri tanta povertà di visioni, rigidità d'anima, sudditanza a convenzioni, in persone che amano sbandierare appartenenze? E mi rispondo che dovrò riprendere in mano il vangelo, osservare più da vicino Gesù, il mio Signore, un uomo libero. E così mi si affaccia una domanda, che in qualche misura può sembrare impertinente: se oggi stentiamo a rinvenire spiriti liberi tra i credenti, se l'immagine prevalente che rimandiamo al mondo è quella della meticolosità e non quella dell'ebbrezza del vento che scompiglia i capelli, figli delle istituzioni e dell'inquadramento più che figli del vento, come ci voleva il Maestro di Nazaret, non sarà anche perché abbiamo addomesticato la figura di Gesù, per via di sdolcinature irreali, cancellando o sfocando la sua immagine di uomo libero?
Recuperare in libertà dunque e recuperare in leggerezza. A tutti i livelli. A livello personale e a livello ecclesiale. E', a mio avviso, urgente.

Chi è libero dentro ha come effetto benefico di rendere liberi, la sua azione è liberante. A proposito di questo incrociarsi della mia libertà e della libertà dell'altro, si è soliti dire -è diventato uno slogan- che "la mia libertà finisce dove inizia la libertà dell'altro". Vi confesso che non è una formulazione che mi affascini molto. La mia libertà finisce? No, la mia libertà si esalta, là dove inizia l'avventura della libertà dell'altro: di che cosa potrei godere di più? E che cosa significa amare veramente l'altro se non creare spazi alla sua libertà, libero di essere come Dio lo chiama ad essere?

A livello personale. Mi ritornano alla mente le parole di Padre Giulio Bevilacqua, cardinale suo malgrado, cardinale per pochi mesi, che in suo scritto ospitava una citazione amara di E. Mounier, che vedeva nei cristiani "esseri impacciati che camminano con gli occhi al suolo. Che pesano e misurano il gesto al millimetro, eroi linfatici, vasi di noia, sacri sillogismi, ombre di ombre". E ricordava quanto scriveva Péguy su certi "metodi formativi che organizzano la santità come un itinerario di fuga o come un recinto di filo spinato perché nessun contatto si stabilisca con una realtà quotidiana che può essere maleodorante di sudore o di sterco, ma che il Verbo vuol pur stringere nelle sue mani come creta per nuove creazioni, più perfette delle prime".
Siamo così messi in guardia dalla deriva di un cristianesimo, in cui la fissità dei codici sembra prevalere sulla imprevedibilità del vento. Qualcuno ha scritto che "uno degli scandali peggiori che le comunità cristiane possono offrire al mondo è il fenomeno di persone che, dopo una meticolosa fedeltà a tutta una vita di osservanze religiose, falliscono manifestamente nell'impresa di diventare umane. Sono acide e spietate, sembra che proprio il tipo di vita che conducono invece di addolcirle, le abbia rese meschine, rigide, di vedute ristrette, dalla lingua tagliente, dure con la gente, incapaci di amare e lente a perdonare" (Mary Boulding).
Eppure a Nicodemo, nel fitto parlarsi di una notte in cui in ascolto erano perfino le stelle, Gesù aveva dato, dei credenti in lui, un'immagine diversa, l' immagine della imprevedibilità: creature imprevedibili come il vento, che -diceva- "non sai di dove viene e dove va". Hai mai tentato di trattenere il vento? "Non mi trattenere!".

Di qui l'impegno a recuperare in leggerezza come singoli , ma anche come chiesa.
A volte, ve lo confesso, mi suonano lontane, quanto lontane le parole che Paolo VI -e volevano essere parole profetiche- pronunciò il 9 luglio 1969. Diceva:
"Il nostro tempo di cui il Concilio si fa interprete e guida, reclama libertà. Avremo un periodo nella vita della Chiesa, perciò nella vita di ogni figlio della chiesa, di maggiore libertà, cioè di minori obbligazioni legali e minori inibizioni interiori. Sarà ridotta la disciplina formale, abolita ogni arbitraria intolleranza, ogni assolutismo, sarà semplificata la legge positiva, temperato l'esercizio dell'autorità, sarà promosso il senso di quella libertà cristiana che tanto interessò la prima generazione cristiana, quando si seppe esonerata dalla legge mosaica e dalle sue complicate prescrizioni rituali".

Commentava Enzo Bianchi. "Sono parole di un Papa, del Papa che ha chiuso il Concilio. Oggi ci paiono distanti e quasi non più ripetibili senza destare sospetti, nella nuova situazione ecclesiale che si è delineata. Sono parole di cui occorre fare memoria".
E fissare a memoria le parole di Paolo: "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù" (Gal 5,1).

 

 
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