LIBERTÁ
E LEGGEREZZA
Non
so -mi piacerebbe su questo ascoltare una vostra riflessione-
non so se il tema della libertà trovi molta ospitalità,
ai nostri giorni, nella predicazione e nella riflessione
quotidiana. In passato, starei per dire, no. Ma oggi? Oggi
si predica la libertà? Non sarà che più
che predicare la libertà, prima ancora di predicare
la libertà, si predicano gli abusi della libertà,
senza averne prima annunciata la bellezza?
Dovremmo al riguardo riprendere alcune pagine della lettera
ai Galati, là dove Paolo mette in guardia i suoi
lettori da coloro che sono entrati nella comunità
e sostengono che determinanti per la salvezza siano, sullo
stesso piano, Gesù e la legge. Paolo non accetta.
rifiuta l'equazione. Voi che volete essere giustificati
mediante la legge, dice, avete rotto con Cristo. Se la giustizia
è attraverso la legge, allora Cristo è morto
per nulla.
Ed ecco, al capitolo quinto della lettera, due affermazioni
che fanno da pilastro alla libertà cristiana. Sentitele
e ripetetele di tanto in tanto come un réfrain nella
vostra mente: "Voi, fratelli, siete stati chiamati
a libertà" (Gal 5,13). E ancora:"Cristo
ci ha liberati per una vita di libertà" (Gal
5,1).
Io
penso che siano molto importanti questi indicativi, perchè
sono come un annuncio, che ti fa alzare la testa, a volte
piegata. Una lieta notizia, capite. Lieta notizia per i
Galati, che sembrano averne smarrita la memoria, ma anche
per noi, che magari ricordiamo mentalmente le parole, ma
non ci lasciamo prendere dall'emozione: "siamo chiamati
a libertà". Non siamo stati chiamati a una vita
da schiavi. Ricordate Gesù -altre parole da emozione,
da urlo-: "non vi chiamo più servi
ma vi
ho chiamati amici" (Gv 15,15). Capite la differenza.
Una religione in regime di schiavitù, da schiavi
o in regime di libertà, da amici, da figli e quindi
liberi? Quale la nostra?
E non è poesia, è parola del Signore. Vorrei
anche dirvi, la bellezza di un lieto annunzio trascina la
vita. Mancano notizie buone e ci si spegne. Una notizia
buona dà slancio al vivere quotidiano. Si dice a
volte: non fare della poesia e si dimentica che forse poche
cose sono così concrete come la poesia, perché
accende i sogni. E' la bellezza. a trascinare la vita. Senza
sogni ci spegniamo.
Questo annuncio della libertà "Cristo ci ha
fatti liberi", perdonate l'insistenza, va ricordato
spesso a noi stessi. Come dice la parola "ricordare"
va riportato al cuore , bisogna farne memoria.
Già nella cena pasquale ebraica, chi partecipava
era invitato a rendere attuale per sé la memoria
della liberazione. Si dice infatti ed è bellissimo:
"In ogni tempo ciascuno è obbligato a pensare
come se fosse lui stesso uscito dall'Egitto, perché
è nostro dovere e nostra gioia ringraziare, lodare,
magnificare, esaltare Colui che ha compiuto in noi e nei
nostri padri meraviglie e prodigi. Egli ci conduce dalla
schiavitù alla libertà, dalla amarezza alla
gioia, dal lutto alla festa, dalle tenebre alla luce, dalla
schiavitù alla liberazione" Bellissimo! E fa
quasi eco la veglia pasquale dei cristiani dove è
detto: "Nessuno pianga la sua miseria, il regno è
aperto a tutti; nessuno si rattristi per i suoi peccati,
il perdono si è levato dal sepolcro; nessuno tema
la morte, ci ha liberati definitivamente la morte del Salvatore".
Mi chiedo se nella nostra vita ci sentiamo condotti, trasportati
da questo vento della libertà che è dono,
notate i verbi al passivo: "siete stati liberati",
o se invece siamo fondamentalmente ligi alla osservanza
delle codificazioni della legge. Chi è ligio alle
codificazioni, non inventa nulla, se mai, nella sua vita
ripete, ripete i moduli già prescritti.
Gesù,
pensate, di coloro che sono nati allo spirito diceva che
sono degli imprevedibili! Noi, confessiamolo, siamo fin
troppo prevedibili. Diceva Gesù in quella emozionante
conversazione notturna con Nicodemo: "Il vento soffia
dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene
e dove va: così è di chiunque è nato
dallo Spirito" (Gv 3,8). Bellissimo! Pensate, se si
potesse dire dei cristiani: "sono come il vento, non
sai di dove vengono e dove vanno". Loro inventano,
secondo lo Spirito che li abita e li spinge.
Una libertà che non è licenza, è libertà
di servire Dio e gli altri. Ma servire nella libertà,
servire nella libertà dell'amore. Pensate alla differenza
tra un servizio pagato e un servizio suggerito dall'amore.
Paolo più volte nel capitolo 5 della Lettera ai Galati
usa l'espressione: "gli uni gli altri": "portate
gli uni i pesi degli altri, adempirete così la legge
di Cristo" (Gal 6,2). Certo non ogni servizio ci fa
liberi, c'è anche il servizio che è giogo.
"Venite a me voi che site affaticati e oppressi"
diceva Gesù "e io vi solleverò. Il mio
giogo è dolce, il mio carico leggero" (Mt 11,19-20).
Giogo leggero, perché la sua legge è l'amore
e le cose fatte per amore hanno, come orizzonte, non una
norma, ma un volto, di conseguenza diventano leggere. A
differenza del giogo delle mille prescrizioni sotto cui
era stata soffocata la legge di Dio, prescrizioni che facevano
affaticamento e oppressione sulle spalle dei piccoli.
Ma lasciatemi anche dire: la libertà ha per noi come
un' icona, luminosissima, affascinante, in cui specchiarci,
anche questa da contemplare e ricontemplare nel cuore: l'icona
è Gesù di Nazaret.
Ricordo
come, alcuni mesi fa, in una libreria di Milano fui colpito
dal titolo di un libro. Puoi anche essere colpito dal titolo
di un libro! L'autore è: Christian Duquoc, il titolo:
"Gesù uomo libero" (Queriniana editrice).
Ci sono titoli attribuiti a Gesù che hanno il suono
imponente delle definizioni. Li ascolti e non ti commuovono,
ti ricordano poco o nulla della sua vita. Ce ne sono altri,
meno in uso forse, come questo: "Gesù uomo libero",
che, appena li sfiori, ti creano un sussulto, un sussulto
di pagine e di pagine di vangelo. Immagini vive e piene
di colori. Come se tu sfiorassi in quel titolo "uomo
libero" il suo modo di essere, il suo modo, affascinante,
di stare nel mondo.
Forse
per questo quel titolo mi aveva affascinato. O forse perché
tutti, chi più chi meno, soffriamo di imprigionamenti.
E il fascino di Gesù uomo libero accende trasalimenti
in ognuno di noi. Se tu ti fai lettore attento del vangelo
non puoi sfuggire all'incantamento per la libertà
di Gesù. Certo libertà a caro prezzo.
I
racconti della sua risurrezione custodiscono l'incantamento.
Quel suo andare, quasi a sfidarle, per porte chiuse, quel
suo rifiuto ad essere catturato in una sola immagine - custode
del giardino, pellegrino nelle ombre della sera, uomo in
cerca di pesce dalla riva in un alba di lago?- e quell'invito
a Maddalena, quando ancora dentro vibrava del sussulto della
sua voce, quell'invito: "non mi trattenere!".
E quanto sarà costato, mi chiedo, a Maddalena sentire
quelle parole e forse anche a lui dirle. Era il prezzo,
caro prezzo, di una libertà. Pausa di incantamento
per Maria di Magdala e subito strappo della libertà.
Oggi sono arrivato a pensare che l'estasi per la libertà
dello spirito, ognuno di noi potrebbe riviverla, con emozione,
fermandosi a contemplare, sorpreso e affascinato, le tracce
del più grande tra gli uomini liberi della storia,
Gesù di Nazaret: da dove veniva e dove andava? Tracce
rinvenibili nelle pagine vive dei vangeli.
Sfogli le pagine e resti sorpreso dalla sua libertà,
sorpreso e affascinato per come reagisce davanti a ogni
tentativo di imprigionamento. Da chiunque gli venga, fossero
pure suo padre o sua madre, o i suoi, che cercano di "riportarlo
a casa", di ricondurlo a più miti consigli.
Là dove vige un'adorazione acritica della legge,
lui scompiglia la fissità senz'anima dei codici:
guarisce di sabato, tocca i lebbrosi, mangia con gente di
dubbia reputazione, ha al suo seguito delle donne, si lascia
profumare e ungere dalle loro mani, promette memoria futura
a una peccatrice, trova ed esalta la fede nei pagani, demitizza
il luogo in cui adorare, un monte o un altro, canonizza
un ladro sulla croce. Gli interessa Dio, un Dio che libera,
gli interessa l'uomo, l'uomo e la sua libertà.
La sua era una religiosità diversa, libera, sciolta,
in movimento. Ascoltalo: "Quando digiunate non fate
come gli scribi e i farisei
profumati il capo"
. La sua è la religiosità del figlio e non
dello schiavo. La religiosità dello schiavo è
una religiosità paralizzante: ferma la vita, la chiude.
E' la religiosità della paura, che fa di noi degli
osservanti senza amore, senza invenzione, senza intensità,
simili all'uomo della parabola che va e nasconde "per
paura" il suo talento, a differenza degli altri due,
che inventano ogni giorno strade per moltiplicarli.
Gesù ha lottato, instancabile, per la libertà,
la libertà da una religiosità da schiavi.
E fu motivo, uno dei motivi determinanti, per decidere di
toglierlo di mezzo. Non gli perdonavano la sua libertà.
Non gli perdonavano la sua idea di Dio. Se ci fu contrasto
tra lui e un gruppo di scribi e farisei, non fu perché
li giudicasse degli "amorali", erano meticolosi
osservanti. "Farisei, scribi e sadducei " scrive
Christian Duquoc "sono attaccati come classi dominanti
perché si appropriano in maniera unilaterale del
potere di interpretare la legge e di definire il rapporto
autentico con Dio. Gesù condanna la loro funzione
sociale e vuole spezzare il loro eccessivo potere: in ciò
manifesta la sua libertà. La sua rivolta contro i
padroni della legge è una rivolta in favore dei piccoli.
Tali padroni impongono a questi ultimi un giogo insopportabile.
Ignorano che Dio rende liberi; senza affrettare le tappe.
Gesù ridà a Dio la libertà che gli
appartiene".
Leggi il vangelo e respiri a pieni polmoni la libertà.
Che ha un segreto: il segreto della libertà di Gesù
è che lui il primato assoluto lo dà a Dio,
lui adora Dio e nessun altro. Nessuno dunque può
farla da padrone su di lui. Dio che non è un padrone,
è il Signore della sua vita e, insieme, garante della
sua libertà. A nessun altro potrebbe, perdonate il
verbo, "vendere" la sua vita, sarebbe imprigionamento.
Se la vendi a Dio, è libertà. Dio è
fonte di libertà.
Mi
aveva colpito anni fa la testimonianza di un religioso francese,
componeva bellissime canzoni, l'abbé Duval. Lui raccontava
che a insegnargli chi era Dio erano stati suo padre e sua
madre. Suo padre, perché la sera, prima di coricarsi,
lo vedeva inginocchiarsi vicino al letto: lui, uomo fiero,
che non si sarebbe inginocchiato davanti a nessuno, si inginocchiava
e a lui, bambino, veniva da pensare che doveva essere ben
grande Dio, se suo padre davanti a lui si inginocchiava.
Ma di Dio una immagine complementare gliela aveva data sua
madre, perché la vedeva pregare Dio, mentre allattava
il fratellino e mentre il gatto le faceva le fusa sulle
spalle. Doveva essere ben tenero Dio se sua madre poteva
parlargli in quel modo. Un primato quello dato a Dio che
ci rende liberi. E' la sorgente della libertà di
Gesù, la libertà del Figlio.
Il
primato a quel pezzo di Dio che è in te, che i veri
maestri dello spirito ti invitano a scoprire e ad adorare.
Se sei fedele a questo pezzo di Dio, sei libero dalla schiavitù
degli altri e delle cose, dalle convenzioni abusate, dai
codici senz'anima, dalle aspettative degli altri, dalle
immagini che gli altri hanno di te. Per te contano gli occhi
del tuo Signore, conta un piccolo pezzo di lui in te.
Era ciò che faceva sentire paradossalmente libera,
nella prigionia di un lager, Etty Hillesum, e le faceva
dire, rivolgendosi a Dio, sveglia al buio, con gli occhi
che le bruciavano: "L'unica cosa che possiamo salvare
di questi tempi, è anche l'unica che veramente conti,
è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio.
E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai
cuori devastati di altri uomini (
) Esistono persone
che all'ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo
aspirapolveri, forchette e cucchiai d'argento, invece di
salvare te, mio Dio. E altre persone, che sono ormai ridotte
a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze,
vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono:
me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può
essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue
braccia".
Etty
-voi senz'altro l'avete intuito- vive questa libertà
dello spirito nel più quotidiano del quotidiano.
Mi colpiva quella sua disincantata osservazione sulle cose
di cui ci si fa schiavi, di cui la società ci fa
schiavi: aspirapolveri, forchette e cucchiai
in un
campo di concentramento! Pensate, di quante cose ci si fa
schiavi oggi, fuori dai campi di concentramento! Riconquistare
dunque una libertà dalle cose. Ma, ancora, essere
più liberi, per esempio, nelle case, dove non ci
sia soggezione dell'uno all'altro, dove ci si guardi dal
soffocare magari subdolamente la libertà dell'altro:
non l'imposizione dunque, ma la ricerca, nella coppia e
nella famiglia, del bene di tutti e di ciascuno. Liberi
nel mondo del lavoro, dove l'uomo e la donna non siano in
funzione del prodotto, dell'economia, ma la produzione e
l'economia siano in funzione dell'uomo, della donna, dove
guadagno e carriera non siano gli idoli, il tiranno cui
sacrificare la propria dignità e la dignità
di nessuno. Liberi e resistenti contro la volontà
di manipolazione di chi oggi concentra nelle sue mani la
persuasività dei mezzi di comunicazione e il loro
sconfinato potere di seduzione e di plagio. E resistere
al pericolo di essere ridotti a semplici ricettacoli di
innumerevoli paure e amarezze. C'è qualcuno che cavalca
la paura e l'amarezza, perché di giullari e di una
ciurma devota e arresa, obbediente in modo cieco e assoluto,
puoi fare facilmente uno strumento del tuo potere. E dunque
la libertà di pensare. Obbedendo a un appello, lasciatemi
dire, non ricordato, quasi cancellato del vangelo, là
dove Gesù ci invita a mettere in atto tutta la nostra
intelligenza, la capacità di ragionare con la nostra
testa, un appello a non delegare ad altri la nostra libertà
di pensare. "Quando vedete una nuvola salire da ponente,
subito dite: Viene la pioggia, e così succede. E
quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, è
così accade. Ipocriti, sapete giudicare l'aspetto
della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete
giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi
ciò che è giusto?" (Lc 12, 56-57). Da
voi stessi.
Ritorna la domanda: perché respiri questa libertà
nelle pagine di una donna come Etty Hillesum, che sfuggiva
ad ogni appartenenza e respiri tanta povertà di visioni,
rigidità d'anima, sudditanza a convenzioni, in persone
che amano sbandierare appartenenze? E mi rispondo che dovrò
riprendere in mano il vangelo, osservare più da vicino
Gesù, il mio Signore, un uomo libero. E così
mi si affaccia una domanda, che in qualche misura può
sembrare impertinente: se oggi stentiamo a rinvenire spiriti
liberi tra i credenti, se l'immagine prevalente che rimandiamo
al mondo è quella della meticolosità e non
quella dell'ebbrezza del vento che scompiglia i capelli,
figli delle istituzioni e dell'inquadramento più
che figli del vento, come ci voleva il Maestro di Nazaret,
non sarà anche perché abbiamo addomesticato
la figura di Gesù, per via di sdolcinature irreali,
cancellando o sfocando la sua immagine di uomo libero?
Recuperare in libertà dunque e recuperare in leggerezza.
A tutti i livelli. A livello personale e a livello ecclesiale.
E', a mio avviso, urgente.
Chi è libero dentro ha come effetto benefico di rendere
liberi, la sua azione è liberante. A proposito di
questo incrociarsi della mia libertà e della libertà
dell'altro, si è soliti dire -è diventato
uno slogan- che "la mia libertà finisce dove
inizia la libertà dell'altro". Vi confesso che
non è una formulazione che mi affascini molto. La
mia libertà finisce? No, la mia libertà si
esalta, là dove inizia l'avventura della libertà
dell'altro: di che cosa potrei godere di più? E che
cosa significa amare veramente l'altro se non creare spazi
alla sua libertà, libero di essere come Dio lo chiama
ad essere?
A livello personale. Mi ritornano alla mente le parole di
Padre Giulio Bevilacqua, cardinale suo malgrado, cardinale
per pochi mesi, che in suo scritto ospitava una citazione
amara di E. Mounier, che vedeva nei cristiani "esseri
impacciati che camminano con gli occhi al suolo. Che pesano
e misurano il gesto al millimetro, eroi linfatici, vasi
di noia, sacri sillogismi, ombre di ombre". E ricordava
quanto scriveva Péguy su certi "metodi formativi
che organizzano la santità come un itinerario di
fuga o come un recinto di filo spinato perché nessun
contatto si stabilisca con una realtà quotidiana
che può essere maleodorante di sudore o di sterco,
ma che il Verbo vuol pur stringere nelle sue mani come creta
per nuove creazioni, più perfette delle prime".
Siamo così messi in guardia dalla deriva di un cristianesimo,
in cui la fissità dei codici sembra prevalere sulla
imprevedibilità del vento. Qualcuno ha scritto che
"uno degli scandali peggiori che le comunità
cristiane possono offrire al mondo è il fenomeno
di persone che, dopo una meticolosa fedeltà a tutta
una vita di osservanze religiose, falliscono manifestamente
nell'impresa di diventare umane. Sono acide e spietate,
sembra che proprio il tipo di vita che conducono invece
di addolcirle, le abbia rese meschine, rigide, di vedute
ristrette, dalla lingua tagliente, dure con la gente, incapaci
di amare e lente a perdonare" (Mary Boulding).
Eppure a Nicodemo, nel fitto parlarsi di una notte in cui
in ascolto erano perfino le stelle, Gesù aveva dato,
dei credenti in lui, un'immagine diversa, l' immagine della
imprevedibilità: creature imprevedibili come il vento,
che -diceva- "non sai di dove viene e dove va".
Hai mai tentato di trattenere il vento? "Non mi trattenere!".
Di
qui l'impegno a recuperare in leggerezza come singoli ,
ma anche come chiesa.
A volte, ve lo confesso, mi suonano lontane, quanto lontane
le parole che Paolo VI -e volevano essere parole profetiche-
pronunciò il 9 luglio 1969. Diceva:
"Il nostro tempo di cui il Concilio si fa interprete
e guida, reclama libertà. Avremo un periodo nella
vita della Chiesa, perciò nella vita di ogni figlio
della chiesa, di maggiore libertà, cioè di
minori obbligazioni legali e minori inibizioni interiori.
Sarà ridotta la disciplina formale, abolita ogni
arbitraria intolleranza, ogni assolutismo, sarà semplificata
la legge positiva, temperato l'esercizio dell'autorità,
sarà promosso il senso di quella libertà cristiana
che tanto interessò la prima generazione cristiana,
quando si seppe esonerata dalla legge mosaica e dalle sue
complicate prescrizioni rituali".
Commentava Enzo Bianchi. "Sono parole di un Papa, del
Papa che ha chiuso il Concilio. Oggi ci paiono distanti
e quasi non più ripetibili senza destare sospetti,
nella nuova situazione ecclesiale che si è delineata.
Sono parole di cui occorre fare memoria".
E fissare a memoria le parole di Paolo: "Cristo ci
ha liberati perché restassimo liberi; state dunque
saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù"
(Gal 5,1).
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