Figure
dell'attesa: Maria
Lc
1,29-38
In queste sere vorrei sfiorare con voi alcune figure dell'attesa.
Figure che stazionano in qualche modo nei dintorni della
nascita di Gesù, nomi che si accendono: Elisabetta, Maria,
il Battista, i pastori, Simeone e Anna.
A introdurci al mistero di un Dio che si veste di umanità,
si veste di umanità in tutti i sensi, è questa sera Maria,
una donna, una ragazza di Nazaret. Sono un bastian contrario,
ma vorrei raccomandarvi un esercizio, non sempre a me riesce,
ma quando mi riesce , nascono suggestioni, l'esercizio è
quello di lasciare a Maria, quando la pensi o ne parli,
tutta la sua umanità. Come è possibile che, mentre la notizia
buona è che il Verbo si carica di umanità, noi Maria, o
anche i santi, poco o tanto, li svestiamo di umanità, li
disumanizziamo? Diamo loro vesti che non hanno mai portato?
Qualche
anno fa, in una estate, percorrevo cappelle dedicate a Maria,
che salgono attraverso il bosco, da Barzio, un paese della
Valsassina, verso Concenedo e mi venne di pensare e poi
di scrivere:
Non ti riconosco
Sosto a cappelle
e non ti riconosco.
Ti hanno giunte le mani gesto
che non ti appartiene.
Forse solo le sollevavi
imploranti al tuo Dio.
O forse solo stavi
curva rannicchiata nel tuo nulla.
Così più non ci è dato riconoscerti
nel nero grembiule
che ti appartiene
per sempre.
Cambia
tutto se non stacchiamo Maria dalla sua vita reale, se stiamo,
senza enfatizzare alla nude parole delle Scritture sacre.
Sfuggendo alla tentazione di fare di Maria un'immagine pallida,
edulcorata, quella di molte immaginette che noi conosciamo.
Esagero? Ho ritrovato questo invito nella parole di una
santa, santa Teresa di Gesù Bambino, che scriveva: "Non
bisognerebbe dire di Maria cose inverosimili o di cui non
si ha certezza. Un discorso sulla santa Vergine, per essere
fruttuoso, deve mostrare la sua vita reale, quale il vangelo
fa intravedere, e non la vita supposta. Bisognerebbe descrivere
la Vergine non come inaccessibile, ma come imitabile; bisognerebbe
dire di lei che ha praticato le virtù nascoste, che viveva
di fede come noi. Va bene parlare delle sue prerogative,
ma se, ascoltando una predicazione su di lei, si è costretti
dall'inizio alla fine a esclamare: ah, ah, ci si stanca
e questo non porta né amore né imitazione".
Faceva
eco alle parole di Teresa fratel Carlo Carretto quando,
parlando di Maria, diceva: "Non una statua immobile di cera,
ma una sorella, seduta sulla sabbia del mondo, con i suoi
sandali logori, come i nostri". E allora mi chiedo: perché
hanno espropriato Maria dei suoi vestiti quotidiani, quelli
normali? O quel che si racconta nei vangeli non ha abbastanza
colore di eccezionalità? Ma non sta proprio qui la notizia
buona? Per noi che non abbiamo una vita colorata? Come ha
inizio il racconto?
"Al
sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città
della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa
sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe.
La vergine si chiamava Maria."
Sembra
quasi che Luca metta a confronto due annunciazioni: quella
a Zaccaria, e quella a Maria, un'annunciazione, quest'ultima,
in basso. Non siamo, come nell'annuncio a Zaccaria, nella
grande città, Gerusalemme, ma in villaggio senza fama, Nazaret.
Non siamo nel tempio nell'ora dell'incenso, siamo in una
casa qualunque e non in uno spazio sacro. E, cosa ancora
più stupefacente, l'annuncio non è rivolto a un uomo, per
di più della casta sacerdotale, ma a una donna, che di suo
ha semplicemente un nome, un nome comune.
Vedete
dove riprende Dio, da dove riprende a ricreare, da dove
a riprende a ricostruire il progetto? Dalla normalità. Riprende
dalla tua umile casa, da una terra come la nostra, che può
a volte sembrarci straniera, cioè estranea ai pensieri di
Dio. Tutto succede in una casa, una casa comune, in città
disprezzata, in terra con il marchio del meticciato, succede
che chiamata a collaborare sia una ragazza senza ascendenze
di nobiltà, succede che un angelo le cambi il nome: "Rallegrati",
dice. E in prima battuta non la chiama "Maria". "Rallegrati,
o ricolmata dalla benevolenza". Favorita dalla grazia. Quasi
dicesse: "Aggiungi questo al tuo nome. È il tuo nome più
vero".
A
volte penso: e se aggiungessimo questo al nostro nome? All'inizio
c'è una grazia. Anche per Maria, non un privilegio, una
grazia. Al tuo inizio una grazia, sei stato pensato, concepito,
amato gratuitamente. Ebbene, la venuta di un angelo, ed
è strano, anche quando è accompagnata da parole promettenti,
ti lascia dentro un grumo di timore. Ci rimane dentro un
sospetto su Dio, l'hanno ingigantito le religioni.
"Non
temere, Maria" dice l'angelo. "Non temere. Sei in vigilia
di nascita". Se ce lo dicessero oggi, in stagione desolata,
anche noi grideremmo all'impossibilità, ci guarderemmo dentro,
dentro di noi, o guarderemmo, fuori, a quello che ci circonda
e grideremmo che non ci sono le premesse, tanto i grembi
- così si dice e ci si lamenta - sono sfioriti, come avvizziti.
"Ma come è possibile? Non conosco uomo". "Non ho ancora
avuto rapporti" sembra dire Maria "come posso concedermi
a questo sogno, a questa tua promessa?".
Ebbene,
per inciso vorrei dirvi che è bello, almeno per me è bello,
che Maria interroghi l'angelo, che cerchi di portare i suoi
argomenti, non è una donna senza pensieri, non è una donna
dall'obbedienza cieca. Chiede come può avvenire. Che buona
notizia che sia una donna a chiedere conto. Allora per lo
più le donne non potevano chiedere conto. Decidevano gli
uomini. Che al mattino ringraziavano Dio di non averli creati
donna. Che una donna chieda conto e chieda conto a quell'età,
è sorprendente. Ci sembra di capire che Maria, da persona
trasparente qual era, sentisse di dovere delle spiegazioni
di quanto stava accadendo, a Giuseppe.
Con
lui, sottoscrivendo il contratto matrimoniale, già era avvenuta
la prima tappa del matrimonio, cui sarebbe seguita la seconda,
nel momento in cui sarebbero andati a convivere insieme.
A volte si raffigura Maria, mi sembra arbitrariamente, come
una donna sottomessa, ma a tal punto sottomessa da renderla
alla fin fine pallidamente passiva, senza reazioni o sussulti.
La ragazza di Nazaret chiede conto. Il suo sì, il suo sì
a una gravidanza fuori delle regole, a una gravidanza che
le avrebbe provocato non poche occhiate di sospetto se non
di disistima, lo dà, ma dopo che, alla sua richiesta, l'angelo
le avrà ricordato le possibilità inimmaginabili di Dio,
un Dio dentro le nascite, dentro le nascite insperate.
L'angelo,
in risposta, le parla di qualcosa, diremmo, di impalpabile.
"Lo Spirito scenderà su di te". Lo Spirito! "Ma chi lo vede
lo Spirito?" direbbero gli uomini del realismo. "Ma cosa
fai? Adesso ti metti a sognare?", direbbero. "Ma sta con
i piedi per terra. Dove vedi le premesse per un accadimento
come questo?" Maria crede all'angelo, crede ciò che sembra
follia credere, crede all'angelo che le sta dicendo che
la potenza sta in qualcosa di impalpabile, di invisibile,
di spirituale, sta nello Spirito. Dà fiducia a questa congiunzione
tra spirito e potenza, la vera potenza. Ecco le parole:
"Lo Spirito scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo
ti coprirà con la sua ombra".
Crede
che anche ciò che umanamente dichiariamo impossibile, può
diventare possibile, se tu consenti a una forza che viene
dall'alto. Perché "nulla è impossibile a Dio". Penso sia
una grazia indugiare, in vigilia di Natale, su questo brano
dell'annunciazione che mi sembra raccontare quali sono le
premesse per un natale vero, quali le condizioni per nascite
nuove. Vorrei dire a me stesso, ma se posso, a tutti voi:
anche tu fa' nascere. Dio fa nascere. Non fermiamo le nascite.
Il Figlio di Dio oggi non chiede più il tenero grembo di
una ragazza di Nazaret. Chiede a noi di essere grembo. Di
nascite. Avremo l'avventura di esserlo se daremo ospitalità
in noi al Verbo di Dio, se daremo spazio in noi alla linfa
buona della sua vita, del suo vangelo. Succederà.
Come
succede per un albero inselvatichito, quando consente a
un innesto. E in quell'innesto un presentimento di vita
nuova, luminosa, finalmente umana, quella che tutti insieme
ci auguriamo. Ancora, il racconto dell'annunciazione sembra
insegnarmi che si comincia da poco. Nazaret è poca cosa,
la casa della ragazza è poca cosa. E chi mai ha sentito
il sussurro delle parole dell'angelo o le poche parole di
quella ragazza piena di sogni all'angelo? Chi ha udito il
sussurro di parole che avrebbero messo in cammino il mondo?
Chi le ha udite? Nessuno, eppure mettevano in cammino il
mondo: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo
la tua parola". Noi, mi dico, tutti uomini e donne, giovani
e anziani, io tra gli anziani, con una possibilità di nascite,
dice il vangelo. Chissà se ci crediamo. O se esitiamo come
Nicodemo che a Gesù che pone l'urgenza di nascere dall'alto,
pone la domanda: "Come può nascere un uomo quando è vecchio?
Può forse entrare una seconda vola nel grembo di sua madre
e rinascere?
La
tentazione, quando sei vecchio, è di tirare i remi in barca.
Chissà se davanti alla promessa che nulla è impossibile
a Dio, io so ancora osare le parole della ragazza di Nazaret:
"Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo le tue
parole". Avvenga quello che è vero, quello che è nobile,
quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile,
quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode.
Avvenga perché tu, Signore, vieni nella nostra città, vieni
nelle nostre case. Avverrà se ti farò posto in me, nei miei
pensieri, nei miei sogni, nella mia vita. Avverrà se inizierò
da me, come Maria. Senza aspettare che inizino altri.
Alla
memoria mi è ritornato un testo di don Primo Mazzolari.
Di cui vorrei ricordare uno stralcio: "Ci impegniamo
noi e non gli altri
unicamente noi e non gli altri
né chi sta in alto né chi sta in basso
né chi crede né chi non crede.
Ci impegniamo
senza pretendere che altri s'impegni con noi o per suo conto,
come noi o in altro modo.
Ci impegniamo
senza giudicare chi non s'impegna
senza accusare chi non s'impegna
senza condannare chi non s'impegna
senza cercare perché non s'impegna
senza disimpegnarci perché altri non s'impegnano.
Sappiamo di non poter nulla su alcuno né vogliamo forzar
la mano ad alcuno, devoti come siamo e come intendiamo rimanere
al libero movimento di ogni spirito più che al successo
di noi stessi o dei nostri convincimenti.
Noi non possiamo nulla sul nostro mondo, su questa realtà
che è il nostro mondo di fuori, poveri come siamo e come
intendiamo rimanere e senza nome.
Se qualche cosa sentiamo di potere - e lo vogliamo fermamente
- è su di noi, soltanto su di noi. Il mondo si muove se
noi ci moviamo
si muta se noi ci mutiamo
si fa nuovo se alcuno si fa nuova creatura
imbarbarisce se scateniamo la belva che è in ognuno di noi.
L'ordine nuovo incomincia se alcuno si sforza di divenire
un uomo nuovo.
La primavera incomincia col primo fiore
la notte con la prima stella
il fiume con la prima goccia d'acqua
l'amore col primo sogno.
Ci impegniamo perché noi crediamo all'Amore,
la sola certezza che non teme confronti,
la sola che basta per impegnarci perdutamente".
Maria
interroga, scoprirà, anche lei a poco a poco, che cosa significhi
mettersi a disposizione di Dio. Lei c'è, in questo sì. Lei
c'è in questa parola, piccola parola genera vita: "eccomi".
Pensate, se qualcuno dice "eccomi", "ci sono", "ci sono
per te", nasce la vita, nasce una speranza. Perché è il
contrario del "tirarsi indietro", del non prendersi una
responsabilità, è il coraggio di rispondere: "ci sono, eccomi".
"Eccomi"
se ben ci pensate è la parola dell'amore, al di la delle
astrazioni. Parola concreta.
E' vero che Dio riprende, e questo è grazia. Ma è anche
vero che anche a noi è chiesto di riprendere, di riprendere
ogni giorno, di farla finita con i nostri lamenti, i nostri
lamenti sulla bruttezza e sul degrado. E di riprendere il
filo della bellezza, della bellezza e dell'armonia. Ogni
giorno. Là dove siamo. Pensate, domani mattina ci sveglieremo,
svegliarsi e dire: "ecco il tuo servo, ecco, Signore, la
tua serva, avvenga per me secondo la tua parola" .
don Angelo Casati
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