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don Angelo Casati su "Papa Francesco", conferenza "Maestri e Profeti",
Oreno
, Vimercate,
27 ottobre 2017



Quando la passione è negli occhi e sulla pelle. Parlare dopo aver toccato.

 

Perché un vecchio prete di ottantasei anni sia qui questa sera a parlarvi, alcuni di voi lo sanno: non per una competenza sui profeti e maestri che illuminano questo bellissimo ciclo di incontri che avete progettato. Ma semplicemente per un debito di amicizia nei confronti del vostro decano don Mirko, un'amicizia che risale agli anni di vento del Concilio, in una città ben precisa, Busto Arsizio. Come alludevo, non ho competenze storiografiche - per fortuna le avevano coloro che mi hanno preceduto -. Dunque da me non aspetterete discorsi esaustivi su papa Francesco. Tra l'altro, per grazia, è un papa in movimento. Difficile fermarlo in un fotogramma. Ci sorprenderà, penso, molte volte ancora. Dirò qualcosa che mi è sembrato di scorgere in lui. Per fessure. E ne dimenticherò mille altre. E andrò, come il mio solito, per sussulti. Vi dirò subito che a colpirmi nel sottotitolo dei vostri incontri, erano alcune immagini. A me piacciono le immagini. Ecco il sottotitolo: "I profeti hanno sempre in cuore e sulle spalle una primavera che li sospinge". Primavera, cuore, spalle. "C'è" mi direte " nel titolo anche l'immagine dei giganti: "In cammino sulle spalle dei giganti", ma confesso che mi è un po' meno cara l'immagine dei giganti, anche se. in questo vostro contesto allude ad altro. Il gigantismo mi mette un po' paura. E vorrei proprio cominciare di qui, per aprire qualche fessura su Papa Francesco. E' tutt'altro che un gigante. E apparve così fin dalla prima sera. Erano gesti semplici, i suoi, ma ad alcuni di noi era sembrato da subito che, dietro quei gesti, stesse un pensiero, una immagine di chiesa che ci faceva riandare agli orizzonti del Concilio. Ecco io cercherò di radunare qualche pensiero dietro i gesti di quella sera. Si è tolto fin dalla prima sera l'imponenza, tutto ciò che alla figura del papa legava l'immagine di una certa sovranità, nei vestiti, nelle parole, nei gesti. E' diventato il papa dell'immediatezza. Al Maestro di cerimonie che lo invitava ad indossare, sopra la veste bianca, la mozzetta di velluto rosso, bordata di ermellino, e la croce d'oro, con piglio deciso disse. "Questa la mette lei; io mi tengo questa, la croce di quando sono divenuto vescovo, una croce di ferro". L'imponenza allontana, voleva immediatezza. Lo guardammo, era come abitato da una passione di vicinanza, quella del pastore cha fa vita con il gregge: quella passione era nei suoi occhi e sulla sua pelle. Disse : "Buona sera" era una chiesa che entrava negli spazi della giornata, nella casa, nelle ore delle case. L'ora della sera. "Che sia buona, per voi": disse.. La mente andava a Papa Giovannni, al suo discorso alla sera del Concilio. Lui chiuse con una "Buona notte!". Pensate, un papa, Papa Giovanni, che dice: "La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore…". Pensate, un papa, Papa Giovanni, che non chiude con una benedizione; tutti gli ecclesiastici chiudono con una benedizione, ma con la buona notte. Era la chiesa nel mondo, nelle case: "Addio, figlioli. Alla benedizione aggiungo l'augurio della buona notte". Ed ora, un Papa, Papa Francesco, che apre il suo ministero augurando "buona sera". Quasi ad allontanare la visione di una chiesa che fa le sue cose e non le stanno a cuore le sere delle donne e degli uomini, le sere del mondo. Il Papa del concilio si chiamava fratello. Il papa, che veniva dalla fine del mondo, il suo essere fratello lo disse con un gesto che non finisce di stupire, dove la fraternità ha la precedenza sul ruolo: chiede una benedizione, una preghiera, chiedeva di essere benedetto dal suo popolo, prima di benedire. Un popolo che benedice il suo pastore. L'impressione fu enorme, era profumo di vangelo. Era un cristiano, uno che cammina dietro Gesù, il rabbi di Nazaret. Ci sembrò di intuire chi fosse Bergoglio. Chi è Bergoglio? Pensate che questa domanda la fece al papa stesso P. Antonio Spadaro, direttore de "La Civiltà cattolica, in una sua prima intervista per la rivista dei Gesuiti.. Gli chiese un po' a bruciapelo: "Chi è Jorge Mario Bergoglio?". "Il Papa" scrive "mi fissa in silenzio. Gli chiedo se è una domanda che è lecito porgli… Lui fa cenno di accettare la domanda e mi dice: "non so quale possa essere la definizione più giusta… Io sono un peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario. Sono un peccatore". Il Papa continua a riflettere, compreso, come se non si aspettasse quella domanda, come se fosse costretto a una riflessione ulteriore. "Sì, posso forse dire che sono un po' furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po' ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: "sono un peccatore al quale il Signore ha guardato"". E ripete: "io sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto 'Miserando atque eligendo' l'ho sentito sempre come molto vero per me". Il motto di Papa Francesco è tratto dalle Omelie di san Beda il Venerabile, il quale, commentando l'episodio evangelico della vocazione di san Matteo, scrive: "Vide Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi". E papa Francesco aggiunge: "il gerundio latino 'miserando' mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: 'misericordiando'". Perdonate la digressione:: in queste parole mi è parso si sentire l'eco di altre parole quelle del card, Martini che nell'introduzione al libro del Sinodo, scriveva di misericordia e di Gesù. Dice: "in Lui, misericordia fatta carne, siamo chiamati a essere la Chiesa della misericordia; in Lui, povero per scelta, la Chiesa povera e amica dei più poveri" Capite perché Mons. Borgonovo arciprete del nostro Duomo disse che Il primo miracolo fatto dal card. Martini fu l'elezione di Papa Bergoglio. Misericordiando.. Voi mi direte che il messaggio della misericordia non era mai venuto meno nella testimonianza della chiesa lungo i secoli. Certo, ma a volte aveva preso il sopravvento, sino a togliergli la nota dominante, un pesante legalismo, per cui la fede sembrava rattrappirsi in un insieme di dogmi da credere e di prescrizioni da osservare. Il rischio era di perdere il cuore dell'evangelo. Che è la misericordia. E nella parola "misericordia" pulsano - e voi tutto lo avvertite - due parole: "miseria" e "cuore", quasi a parlarci di una miseria che ci ci prende al cuore. il cristianesimo come "fatto di cuore". Guai se si cancella il primato del cuore. Sempre in quell'intervista del 19 settembre 2013 il Papa con chiarezza disse al suo intervistatore: "Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L'annuncio di tipo missionario si concentra sull'essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l'edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali". Ebbene io mi chiedo: "Siamo proprio così sicuri che noi stessi come persone e le nostre comunità non corrano il rischio di perdere freschezza e profumo?". Misericordiando. E non fu solo parola dell'inizio, divenne parola che accompagna il ministero di papa Francesco, come eco di un torrente. Con il suo invito insistito a far sì che nelle chiese gli uomini e le donne di oggi trovino l'accoglienza della misericordia. Con il suo invito a non aver paura della tenerezza. La parola "tenerezza", che sembrava cancellata o ignorata dai discorsi e dai documenti di papi e di vescovi, dalle omelie dei preti e dai libri dei teologi si è improvvisamente riaccesa nella chiesa per le parole di un Papa, Francesco, il vescovo di Roma. Per ben sei volte - pensate - la parola "tenerezza" appare nel suo discorso di inizio pontificato, "tenerezza", con un invito ben due volte a non averne paura. Disse: "Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!" E non è forse commovente il fatto che alla folla radunata per il suo primo "Angelus" un papa abbia detto che lui la misericordia l'ha imparata non solo dal libro di un suo cardinale, ma dalle parole di un umile donna di Buenos Aires? Prima ricordò che la misericordia, secondo il card. Kaspers, è il meglio che possiamo sentire: "Cambia il mondo. Un po' di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto". Ma poi subito aggiunse: "Ricordo, appena Vescovo, nell'anno 1992, è arrivata a Buenos Aires la Madonna di Fatima e si è fatta una grande Messa per gli ammalati. Io sono andato a confessare, a quella Messa. E quasi alla fine della Messa mi sono alzato, perché dovevo amministrare una cresima. E' venuta da me una donna anziana, umile, molto umile, ultraottantenne. Io l'ho guardata e le ho detto: "Nonna - perché da noi si dice così agli anziani - nonna, lei vuole confessarsi?". "Sì, mi ha detto. "Ma se lei non ha peccato …". E lei mi ha detto: "Tutti abbiamo peccati …". "Ma forse il Signore non li perdona …". "Il Signore perdona tutto", mi ha detto, sicura. "Ma come lo sa, lei, signora? ". "Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe". Io ho sentito una voglia di domandarle: "Mi dica, signora, lei ha studiato alla Gregoriana? ", perché quella è la sapienza che dà lo Spirito Santo: la sapienza interiore verso la misericordia di Dio". Siamo in molti oggi a chiederci come mai questo "miracolo", che uomini e donne del nostro tempo, credenti e non credenti, nel giro di poche ore, siano rimasti colpiti, oserei dire affascinati, dalla predicazione del perdono, così insistente nelle parole di papa Francesco. Non sarà che a rendere credibile il messaggio sia proprio la tenerezza che abita lo sguardo di un papa? E non sarà che a rendere credibile il messaggio della chiesa di oggi sia la tenerezza che abita il nostro sguardo di credenti? Una questione di sguardo. Ritorniamo ai gesti dell'inizio: rifiutò la mozzetta di velluto rosso bordata di ermellino e la croce d'oro; salutò con un buona sera la folla. Ed ecco altro gesto luminosissimo degli inizi , rifiutò l'appartamento pontificio, andò a vivere a casa Santa Marta. E spiegò con chiarezza la scelta. Disse: "Ho scelto di abitare qui, nella camera 201, perché quando ho preso possesso dell'appartamento pontificio, dentro di me ho sentito distintamente un "no". L'appartamento pontificio nel Palazzo Apostolico non è lussuoso. È antico, fatto con buon gusto e grande, non lussuoso. Ma alla fine è come un imbuto al rovescio. È grande e spazioso, ma l'ingresso è davvero stretto. Si entra col contagocce, e io no, senza gente non posso vivere. Ho bisogno di vivere la mia vita insieme agli altri". Bellissimo. Casa Marta è un suo gesto, ma è anche un'indicazione per tutta la chiesa per ciascuno di noi. Riascoltiamo: "Io senza gente non posso vivere. Ho bisogno di vivere la mia vita insieme agli altri". Vivere insieme agli altri, lo disse ai vescovi italiani nel Convegno di Firenze. Lo disse con un esempio. Disse: "Ai vescovi chiedo di essere pastori. Non di più, pastori! Sia questa la vostra gioia: sono pastore. Sarà la gente, il vostro gregge, a sostenervi. Di recente ho letto su un giornale di un vescovo che raccontava che era in metrò all'ora di punta e c'era talmente tanta gente che non sapeva più dove mettere la mano per reggersi. Spinto a destra e a sinistra, si appoggiava alle persone per non cadere. E così ha pensato che, oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi un vescovo, è la sua gente". Lo disse. E lo ripete di frequente con una frase che è diventata quasi un refrain: "Portatevi addosso l'odore delle pecore". Casa Marta fu il primo dei gesti. Come se lui in qualche misura volesse, prima di parlare, vivere tra la gente. Come se lui volesse toccare, prima di parlare. Anche le sue esortazioni apostoliche parlano di un Vescovo, il vescovo di Roma, che tocca, tocca la carne, poi parla. Tocca il pericolo di un cristianesimo ridotto a complesse dottrine, che perde la vivacità e la passione di un racconto, senza la gioia che è essenziale al vangelo, e scrive alla sua chiesa e al mondo la "Evangelii guadium". Il vescovo di Roma tocca gli esiti nefasti di una devastazione dissennata della natura, devastazione della casa comune e scrive alla chiresa e al mondo la "Laudato si'". Tocca con animo di pastore i problemi che oggi investono il matrimonio e le famiglie e scrive alla chiesa e al mondo pagine di fiducia e di accoglienza, scrive misricordiando, l' "Amoris laetitia". Parla di ciò che ha toccato. Con tenerezza. Lo vedi anche visibilmente, lo vedi dagli occhi, dal viso, dalle mani che toccano, o cercano di toccare. A volte, nel suo sbilanciarsi per toccare il capo di un bambino o un viso di donna, ti prende timore che possa addirittura cadere. Voi mi capite, segno di una chiesa che esce, si sbilancia, che tocca, non importa se può cadere. Anche il suo Signore è caduto. Quella casa di Santa Marta è un programma, è il programma di quella che lui chiama chiesa in uscita. Ne parlò già dalla prima Pentecoste del 2013, rivolgendosi ai movimenti. Voi mi perdonerete la lunga citazione, per me bellissima. Disse: "In questo momento di crisi non possiamo preoccuparci soltanto di noi stessi, chiuderci nella solitudine, nello scoraggiamento, nel senso di impotenza di fronte ai problemi. Non chiudersi, per favore! Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo le stesse cose… ma sapete che cosa succede? Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala, si ammala. Pensate ad una stanza chiusa per un anno; quando tu vai, c'è odore di umidità, ci sono tante cose che non vanno. Una Chiesa chiusa è la stessa cosa: è una Chiesa ammalata. La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. Gesù ci dice: "Andate per tutto il mondo! Andate! Predicate! Date testimonianza del Vangelo!" (cfr Mc 16,15). Ma che cosa succede se uno esce da se stesso? Può succedere quello che può capitare a tutti quelli che escono di casa e vanno per la strada: un incidente. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite! Pensate anche a quello che dice l'Apocalisse. Dice una cosa bella: che Gesù è alla porta e chiama, chiama per entrare nel nostro cuore (cfr Ap 3,20). Questo è il senso dell'Apocalisse. Ma fatevi questa domanda: quante volte Gesù è dentro e bussa alla porta per uscire, per uscire fuori, e noi non lo lasciamo uscire, per le nostre sicurezze, perché tante volte siamo chiusi in strutture caduche, che servono soltanto per farci schiavi, e non liberi figli di Dio?". Lui per il primo esce e parla di chiesa in uscita Agli universitari un giorno disse: "Per favore non guardate la vita dal balcone, ma mischiatevi lì dove ci sono le sfide, la lotta contro la povertà, per i valori. Il contesto socio- culturale in cui vivere è appesantito da mediocrità e noia. Non bisogna rassegnarsi alla monotonia. Ma andare oltre l'ordinario. Non lasciatevi rubare l'entusiasmo". Bellissimo, "non state alla finestra o al balcone, scendete". Succede a volte - e voi mi capite - che ci si rintani nell'appartamento, anche mentalmente, così che le parole o le proposte sembrano venire dall'appartamento, sembrano paludate; non sono nel linguaggio di ogni giorno, quello che la gente comune parla; non sono nei problemi di ogni giorno, quelli che la gente comune vive. E chi ascolta o vede sembra avere l'aria di chi ci dice: "Ma voi siete fuori dal mondo!". Ebbene c'è un essere fuori dal mondo che ci è vietato. Non fatevi l'appartamento nel senso dell'appartarsi. Mischiatevi. Lui, Francesco, ha coniato un verbo "balconare": "Non balconare la vita aspettando il fallimento". Ed ecco che il Papa proprio in questo orizzonte accanto alla parola "uscita", chiesa in uscita, mette la parola "incontro" e la parola "poveri". Ecco come prosegue: "In questa "uscita" è importante andare all'incontro; questa parola per me è molto importante: l'incontro con gli altri. Perché? Perché la fede è un incontro con Gesù, e noi dobbiamo fare la stessa cosa che fa Gesù: incontrare gli altri. Noi viviamo una cultura dello scontro, una cultura della frammentazione, una cultura in cui quello che non mi serve lo getto via, la cultura dello scarto. Ma su questo punto, vi invito a pensare - ed è parte della crisi - agli anziani, che sono la saggezza di un popolo, ai bambini… la cultura dello scarto! Ma noi dobbiamo andare all'incontro e dobbiamo creare con la nostra fede una "cultura dell'incontro", una cultura dell'amicizia, una cultura dove troviamo fratelli, dove possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come noi, anche con quelli che hanno un'altra fede, che non hanno la stessa fede. Tutti hanno qualcosa in comune con noi: sono immagini di Dio, sono figli di Dio. Andare all'incontro con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza. E un altro punto è importante: con i poveri. Se usciamo da noi stessi, troviamo la povertà. Oggi - questo fa male al cuore dirlo - oggi, trovare un barbone morto di freddo non è notizia. Oggi è notizia, forse, uno scandalo. Uno scandalo: ah, quello è notizia! Oggi, pensare che tanti bambini non hanno da mangiare non è notizia. Questo è grave, questo è grave! Noi non possiamo restare tranquilli! Mah… le cose sono così. Noi non possiamo diventare cristiani inamidati, quei cristiani troppo educati, che parlano di cose teologiche mentre prendono il tè, tranquilli. No! Noi dobbiamo diventare cristiani coraggiosi e andare a cercare quelli che sono proprio la carne di Cristo, quelli che sono la carne di Cristo! Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada". Penso di aver abusato della vostra pazienza. Ma sarei disonesto se non aggiungessi un ultimo pensiero: nasconderei una parte, se pur piccola, ma velenosa, della realtà. Con Papa Francesco noi respiriamo primavera, noi sogniamo a occhi aperti, ma non possiamo purtroppo nasconderci che ci sono oggi nella chiesa - pensate, nella chiesa! - coloro che subdolamente, a volte anche apertamente, sfidano il vescovo di Roma, fanno la fronda e attaccano con un livore che non avremmo mai immaginato, sino a tacciarlo di eresia, solo perché non ha mummificato - come invece fanno loro - la tradizione. Penso che il papa abbia motivo di chiederci di pregare: "Mi raccomando, pregate per me". Penso anche che è giunta l'ora in cui tutti noi - e guardo a voi questa sera - , nel nostro ambiente, là dove siamo, cerchiamo di difendere con tutte le nostre forze il sogno, la primavera della chiesa. Difendere come? Sarò ingenuo, ma ponendo alle critiche di costoro una domanda: "Ma che cosa faceva, che cosa diceva di diverso Gesù? Questo papa sta pagando il prezzo della profezia. Va difesa la profezia. Ne va del vangelo. Proprio in questi giorni mi è capitato di leggere una lettera che va circolando in varie nazioni del mondo, chiedendo adesioni. La lettera dice: "Caro e stimatissimo papa Francesco, le tue iniziative pastorali e la loro fondazione teologica sono oggi sottoposte a un veemente attacco da parte di un gruppo nella Chiesa. Con questa lettera aperta noi ti vogliamo esprimere la nostra gratitudine per la tua coraggiosa e teologicamente ineccepibile leadership pontificale. In poco tempo tu sei riuscito a rinnovare la cultura pastorale della Chiesa cattolica romana in fedeltà alle sue origini in Gesù. La gente ferita, la natura ferita vanno dritte al tuo cuore, Tu vedi la Chiesa come un ospedale da campo sul ciglio della vita. Al centro della tua preoccupazione c'è ogni singola persona amata da Dio. Nell'incontro con gli altri la compassione e non una angustiante interpretazione legalistica della legge deve avere l'ultima parola. Dio e la sua misericordia caratterizzano l'impostazione pastorale che tu vorresti per la Chiesa. Il tuo sogno è di una Chiesa madre e pastora. Noi condividiamo il tuo sogno. Ti preghiamo di non allontanarti dal cammino che hai intrapreso e ti assicuriamo il nostro pieno sostegno e la nostra costante preghiera"( n un suo piccolo libro , "Il Cristo dei papaveri", scrive: "Tra la mia vita e la mia morte, una semplice parete di carta. Io ti sento camminare dietro". (Tutti possono firmare questa lettera, andando sul sito www.pro-pope-francis.com) .

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