Quando
la passione è negli occhi e sulla pelle. Parlare dopo aver
toccato.
Perché
un vecchio prete di ottantasei anni sia qui questa sera
a parlarvi, alcuni di voi lo sanno: non per una competenza
sui profeti e maestri che illuminano questo bellissimo ciclo
di incontri che avete progettato. Ma semplicemente per un
debito di amicizia nei confronti del vostro decano don Mirko,
un'amicizia che risale agli anni di vento del Concilio,
in una città ben precisa, Busto Arsizio. Come alludevo,
non ho competenze storiografiche - per fortuna le avevano
coloro che mi hanno preceduto -. Dunque da me non aspetterete
discorsi esaustivi su papa Francesco. Tra l'altro, per grazia,
è un papa in movimento. Difficile fermarlo in un fotogramma.
Ci sorprenderà, penso, molte volte ancora. Dirò qualcosa
che mi è sembrato di scorgere in lui. Per fessure. E ne
dimenticherò mille altre. E andrò, come il mio solito, per
sussulti. Vi dirò subito che a colpirmi nel sottotitolo
dei vostri incontri, erano alcune immagini. A me piacciono
le immagini. Ecco il sottotitolo: "I profeti hanno sempre
in cuore e sulle spalle una primavera che li sospinge".
Primavera, cuore, spalle. "C'è" mi direte " nel titolo anche
l'immagine dei giganti: "In cammino sulle spalle dei giganti",
ma confesso che mi è un po' meno cara l'immagine dei giganti,
anche se. in questo vostro contesto allude ad altro. Il
gigantismo mi mette un po' paura. E vorrei proprio cominciare
di qui, per aprire qualche fessura su Papa Francesco. E'
tutt'altro che un gigante. E apparve così fin dalla prima
sera. Erano gesti semplici, i suoi, ma ad alcuni di noi
era sembrato da subito che, dietro quei gesti, stesse un
pensiero, una immagine di chiesa che ci faceva riandare
agli orizzonti del Concilio. Ecco io cercherò di radunare
qualche pensiero dietro i gesti di quella sera. Si è tolto
fin dalla prima sera l'imponenza, tutto ciò che alla figura
del papa legava l'immagine di una certa sovranità, nei vestiti,
nelle parole, nei gesti. E' diventato il papa dell'immediatezza.
Al Maestro di cerimonie che lo invitava ad indossare, sopra
la veste bianca, la mozzetta di velluto rosso, bordata di
ermellino, e la croce d'oro, con piglio deciso disse. "Questa
la mette lei; io mi tengo questa, la croce di quando sono
divenuto vescovo, una croce di ferro". L'imponenza allontana,
voleva immediatezza. Lo guardammo, era come abitato da una
passione di vicinanza, quella del pastore cha fa vita con
il gregge: quella passione era nei suoi occhi e sulla sua
pelle. Disse : "Buona sera" era una chiesa che entrava negli
spazi della giornata, nella casa, nelle ore delle case.
L'ora della sera. "Che sia buona, per voi": disse.. La mente
andava a Papa Giovannni, al suo discorso alla sera del Concilio.
Lui chiuse con una "Buona notte!". Pensate, un papa, Papa
Giovanni, che dice: "La mia persona conta niente: è un fratello
che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà
di Nostro Signore…". Pensate, un papa, Papa Giovanni, che
non chiude con una benedizione; tutti gli ecclesiastici
chiudono con una benedizione, ma con la buona notte. Era
la chiesa nel mondo, nelle case: "Addio, figlioli. Alla
benedizione aggiungo l'augurio della buona notte". Ed ora,
un Papa, Papa Francesco, che apre il suo ministero augurando
"buona sera". Quasi ad allontanare la visione di una chiesa
che fa le sue cose e non le stanno a cuore le sere delle
donne e degli uomini, le sere del mondo. Il Papa del concilio
si chiamava fratello. Il papa, che veniva dalla fine del
mondo, il suo essere fratello lo disse con un gesto che
non finisce di stupire, dove la fraternità ha la precedenza
sul ruolo: chiede una benedizione, una preghiera, chiedeva
di essere benedetto dal suo popolo, prima di benedire. Un
popolo che benedice il suo pastore. L'impressione fu enorme,
era profumo di vangelo. Era un cristiano, uno che cammina
dietro Gesù, il rabbi di Nazaret. Ci sembrò di intuire chi
fosse Bergoglio. Chi è Bergoglio? Pensate che questa domanda
la fece al papa stesso P. Antonio Spadaro, direttore de
"La Civiltà cattolica, in una sua prima intervista per la
rivista dei Gesuiti.. Gli chiese un po' a bruciapelo: "Chi
è Jorge Mario Bergoglio?". "Il Papa" scrive "mi fissa in
silenzio. Gli chiedo se è una domanda che è lecito porgli…
Lui fa cenno di accettare la domanda e mi dice: "non so
quale possa essere la definizione più giusta… Io sono un
peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un
modo di dire, un genere letterario. Sono un peccatore".
Il Papa continua a riflettere, compreso, come se non si
aspettasse quella domanda, come se fosse costretto a una
riflessione ulteriore. "Sì, posso forse dire che sono un
po' furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po'
ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene
più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: "sono
un peccatore al quale il Signore ha guardato"". E ripete:
"io sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto 'Miserando
atque eligendo' l'ho sentito sempre come molto vero per
me". Il motto di Papa Francesco è tratto dalle Omelie di
san Beda il Venerabile, il quale, commentando l'episodio
evangelico della vocazione di san Matteo, scrive: "Vide
Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di
amore e lo scelse, gli disse: Seguimi". E papa Francesco
aggiunge: "il gerundio latino 'miserando' mi sembra intraducibile
sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con
un altro gerundio che non esiste: 'misericordiando'". Perdonate
la digressione:: in queste parole mi è parso si sentire
l'eco di altre parole quelle del card, Martini che nell'introduzione
al libro del Sinodo, scriveva di misericordia e di Gesù.
Dice: "in Lui, misericordia fatta carne, siamo chiamati
a essere la Chiesa della misericordia; in Lui, povero per
scelta, la Chiesa povera e amica dei più poveri" Capite
perché Mons. Borgonovo arciprete del nostro Duomo disse
che Il primo miracolo fatto dal card. Martini fu l'elezione
di Papa Bergoglio. Misericordiando.. Voi mi direte che il
messaggio della misericordia non era mai venuto meno nella
testimonianza della chiesa lungo i secoli. Certo, ma a volte
aveva preso il sopravvento, sino a togliergli la nota dominante,
un pesante legalismo, per cui la fede sembrava rattrappirsi
in un insieme di dogmi da credere e di prescrizioni da osservare.
Il rischio era di perdere il cuore dell'evangelo. Che è
la misericordia. E nella parola "misericordia" pulsano -
e voi tutto lo avvertite - due parole: "miseria" e "cuore",
quasi a parlarci di una miseria che ci ci prende al cuore.
il cristianesimo come "fatto di cuore". Guai se si cancella
il primato del cuore. Sempre in quell'intervista del 19
settembre 2013 il Papa con chiarezza disse al suo intervistatore:
"Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto,
matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi.
Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato
rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in
un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce,
e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne
in continuazione. Una pastorale missionaria non è ossessionata
dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine
da imporre con insistenza. L'annuncio di tipo missionario
si concentra sull'essenziale, sul necessario, che è anche
ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il
cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare
un nuovo equilibrio, altrimenti anche l'edificio morale
della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte,
di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta
evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante.
È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali".
Ebbene io mi chiedo: "Siamo proprio così sicuri che noi
stessi come persone e le nostre comunità non corrano il
rischio di perdere freschezza e profumo?". Misericordiando.
E non fu solo parola dell'inizio, divenne parola che accompagna
il ministero di papa Francesco, come eco di un torrente.
Con il suo invito insistito a far sì che nelle chiese gli
uomini e le donne di oggi trovino l'accoglienza della misericordia.
Con il suo invito a non aver paura della tenerezza. La parola
"tenerezza", che sembrava cancellata o ignorata dai discorsi
e dai documenti di papi e di vescovi, dalle omelie dei preti
e dai libri dei teologi si è improvvisamente riaccesa nella
chiesa per le parole di un Papa, Francesco, il vescovo di
Roma. Per ben sei volte - pensate - la parola "tenerezza"
appare nel suo discorso di inizio pontificato, "tenerezza",
con un invito ben due volte a non averne paura. Disse: "Non
dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!"
E non è forse commovente il fatto che alla folla radunata
per il suo primo "Angelus" un papa abbia detto che lui la
misericordia l'ha imparata non solo dal libro di un suo
cardinale, ma dalle parole di un umile donna di Buenos Aires?
Prima ricordò che la misericordia, secondo il card. Kaspers,
è il meglio che possiamo sentire: "Cambia il mondo. Un po'
di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto".
Ma poi subito aggiunse: "Ricordo, appena Vescovo, nell'anno
1992, è arrivata a Buenos Aires la Madonna di Fatima e si
è fatta una grande Messa per gli ammalati. Io sono andato
a confessare, a quella Messa. E quasi alla fine della Messa
mi sono alzato, perché dovevo amministrare una cresima.
E' venuta da me una donna anziana, umile, molto umile, ultraottantenne.
Io l'ho guardata e le ho detto: "Nonna - perché da noi si
dice così agli anziani - nonna, lei vuole confessarsi?".
"Sì, mi ha detto. "Ma se lei non ha peccato …". E lei mi
ha detto: "Tutti abbiamo peccati …". "Ma forse il Signore
non li perdona …". "Il Signore perdona tutto", mi ha detto,
sicura. "Ma come lo sa, lei, signora? ". "Se il Signore
non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe". Io ho sentito
una voglia di domandarle: "Mi dica, signora, lei ha studiato
alla Gregoriana? ", perché quella è la sapienza che dà lo
Spirito Santo: la sapienza interiore verso la misericordia
di Dio". Siamo in molti oggi a chiederci come mai questo
"miracolo", che uomini e donne del nostro tempo, credenti
e non credenti, nel giro di poche ore, siano rimasti colpiti,
oserei dire affascinati, dalla predicazione del perdono,
così insistente nelle parole di papa Francesco. Non sarà
che a rendere credibile il messaggio sia proprio la tenerezza
che abita lo sguardo di un papa? E non sarà che a rendere
credibile il messaggio della chiesa di oggi sia la tenerezza
che abita il nostro sguardo di credenti? Una questione di
sguardo. Ritorniamo ai gesti dell'inizio: rifiutò la mozzetta
di velluto rosso bordata di ermellino e la croce d'oro;
salutò con un buona sera la folla. Ed ecco altro gesto luminosissimo
degli inizi , rifiutò l'appartamento pontificio, andò a
vivere a casa Santa Marta. E spiegò con chiarezza la scelta.
Disse: "Ho scelto di abitare qui, nella camera 201, perché
quando ho preso possesso dell'appartamento pontificio, dentro
di me ho sentito distintamente un "no". L'appartamento pontificio
nel Palazzo Apostolico non è lussuoso. È antico, fatto con
buon gusto e grande, non lussuoso. Ma alla fine è come un
imbuto al rovescio. È grande e spazioso, ma l'ingresso è
davvero stretto. Si entra col contagocce, e io no, senza
gente non posso vivere. Ho bisogno di vivere la mia vita
insieme agli altri". Bellissimo. Casa Marta è un suo gesto,
ma è anche un'indicazione per tutta la chiesa per ciascuno
di noi. Riascoltiamo: "Io senza gente non posso vivere.
Ho bisogno di vivere la mia vita insieme agli altri". Vivere
insieme agli altri, lo disse ai vescovi italiani nel Convegno
di Firenze. Lo disse con un esempio. Disse: "Ai vescovi
chiedo di essere pastori. Non di più, pastori! Sia questa
la vostra gioia: sono pastore. Sarà la gente, il vostro
gregge, a sostenervi. Di recente ho letto su un giornale
di un vescovo che raccontava che era in metrò all'ora di
punta e c'era talmente tanta gente che non sapeva più dove
mettere la mano per reggersi. Spinto a destra e a sinistra,
si appoggiava alle persone per non cadere. E così ha pensato
che, oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi un
vescovo, è la sua gente". Lo disse. E lo ripete di frequente
con una frase che è diventata quasi un refrain: "Portatevi
addosso l'odore delle pecore". Casa Marta fu il primo dei
gesti. Come se lui in qualche misura volesse, prima di parlare,
vivere tra la gente. Come se lui volesse toccare, prima
di parlare. Anche le sue esortazioni apostoliche parlano
di un Vescovo, il vescovo di Roma, che tocca, tocca la carne,
poi parla. Tocca il pericolo di un cristianesimo ridotto
a complesse dottrine, che perde la vivacità e la passione
di un racconto, senza la gioia che è essenziale al vangelo,
e scrive alla sua chiesa e al mondo la "Evangelii guadium".
Il vescovo di Roma tocca gli esiti nefasti di una devastazione
dissennata della natura, devastazione della casa comune
e scrive alla chiresa e al mondo la "Laudato si'". Tocca
con animo di pastore i problemi che oggi investono il matrimonio
e le famiglie e scrive alla chiesa e al mondo pagine di
fiducia e di accoglienza, scrive misricordiando, l' "Amoris
laetitia". Parla di ciò che ha toccato. Con tenerezza. Lo
vedi anche visibilmente, lo vedi dagli occhi, dal viso,
dalle mani che toccano, o cercano di toccare. A volte, nel
suo sbilanciarsi per toccare il capo di un bambino o un
viso di donna, ti prende timore che possa addirittura cadere.
Voi mi capite, segno di una chiesa che esce, si sbilancia,
che tocca, non importa se può cadere. Anche il suo Signore
è caduto. Quella casa di Santa Marta è un programma, è il
programma di quella che lui chiama chiesa in uscita. Ne
parlò già dalla prima Pentecoste del 2013, rivolgendosi
ai movimenti. Voi mi perdonerete la lunga citazione, per
me bellissima. Disse: "In questo momento di crisi non possiamo
preoccuparci soltanto di noi stessi, chiuderci nella solitudine,
nello scoraggiamento, nel senso di impotenza di fronte ai
problemi. Non chiudersi, per favore! Questo è un pericolo:
ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento,
con coloro con i quali pensiamo le stesse cose… ma sapete
che cosa succede? Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala,
si ammala. Pensate ad una stanza chiusa per un anno; quando
tu vai, c'è odore di umidità, ci sono tante cose che non
vanno. Una Chiesa chiusa è la stessa cosa: è una Chiesa
ammalata. La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso
le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire.
Gesù ci dice: "Andate per tutto il mondo! Andate! Predicate!
Date testimonianza del Vangelo!" (cfr Mc 16,15). Ma che
cosa succede se uno esce da se stesso? Può succedere quello
che può capitare a tutti quelli che escono di casa e vanno
per la strada: un incidente. Ma io vi dico: preferisco mille
volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che
una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite!
Pensate anche a quello che dice l'Apocalisse. Dice una cosa
bella: che Gesù è alla porta e chiama, chiama per entrare
nel nostro cuore (cfr Ap 3,20). Questo è il senso dell'Apocalisse.
Ma fatevi questa domanda: quante volte Gesù è dentro e bussa
alla porta per uscire, per uscire fuori, e noi non lo lasciamo
uscire, per le nostre sicurezze, perché tante volte siamo
chiusi in strutture caduche, che servono soltanto per farci
schiavi, e non liberi figli di Dio?". Lui per il primo esce
e parla di chiesa in uscita Agli universitari un giorno
disse: "Per favore non guardate la vita dal balcone, ma
mischiatevi lì dove ci sono le sfide, la lotta contro la
povertà, per i valori. Il contesto socio- culturale in cui
vivere è appesantito da mediocrità e noia. Non bisogna rassegnarsi
alla monotonia. Ma andare oltre l'ordinario. Non lasciatevi
rubare l'entusiasmo". Bellissimo, "non state alla finestra
o al balcone, scendete". Succede a volte - e voi mi capite
- che ci si rintani nell'appartamento, anche mentalmente,
così che le parole o le proposte sembrano venire dall'appartamento,
sembrano paludate; non sono nel linguaggio di ogni giorno,
quello che la gente comune parla; non sono nei problemi
di ogni giorno, quelli che la gente comune vive. E chi ascolta
o vede sembra avere l'aria di chi ci dice: "Ma voi siete
fuori dal mondo!". Ebbene c'è un essere fuori dal mondo
che ci è vietato. Non fatevi l'appartamento nel senso dell'appartarsi.
Mischiatevi. Lui, Francesco, ha coniato un verbo "balconare":
"Non balconare la vita aspettando il fallimento". Ed ecco
che il Papa proprio in questo orizzonte accanto alla parola
"uscita", chiesa in uscita, mette la parola "incontro" e
la parola "poveri". Ecco come prosegue: "In questa "uscita"
è importante andare all'incontro; questa parola per me è
molto importante: l'incontro con gli altri. Perché? Perché
la fede è un incontro con Gesù, e noi dobbiamo fare la stessa
cosa che fa Gesù: incontrare gli altri. Noi viviamo una
cultura dello scontro, una cultura della frammentazione,
una cultura in cui quello che non mi serve lo getto via,
la cultura dello scarto. Ma su questo punto, vi invito a
pensare - ed è parte della crisi - agli anziani, che sono
la saggezza di un popolo, ai bambini… la cultura dello scarto!
Ma noi dobbiamo andare all'incontro e dobbiamo creare con
la nostra fede una "cultura dell'incontro", una cultura
dell'amicizia, una cultura dove troviamo fratelli, dove
possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come
noi, anche con quelli che hanno un'altra fede, che non hanno
la stessa fede. Tutti hanno qualcosa in comune con noi:
sono immagini di Dio, sono figli di Dio. Andare all'incontro
con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza. E un
altro punto è importante: con i poveri. Se usciamo da noi
stessi, troviamo la povertà. Oggi - questo fa male al cuore
dirlo - oggi, trovare un barbone morto di freddo non è notizia.
Oggi è notizia, forse, uno scandalo. Uno scandalo: ah, quello
è notizia! Oggi, pensare che tanti bambini non hanno da
mangiare non è notizia. Questo è grave, questo è grave!
Noi non possiamo restare tranquilli! Mah… le cose sono così.
Noi non possiamo diventare cristiani inamidati, quei cristiani
troppo educati, che parlano di cose teologiche mentre prendono
il tè, tranquilli. No! Noi dobbiamo diventare cristiani
coraggiosi e andare a cercare quelli che sono proprio la
carne di Cristo, quelli che sono la carne di Cristo! Questo
è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo,
prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà,
per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica
o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse
la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si
è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla
strada". Penso di aver abusato della vostra pazienza. Ma
sarei disonesto se non aggiungessi un ultimo pensiero: nasconderei
una parte, se pur piccola, ma velenosa, della realtà. Con
Papa Francesco noi respiriamo primavera, noi sogniamo a
occhi aperti, ma non possiamo purtroppo nasconderci che
ci sono oggi nella chiesa - pensate, nella chiesa! - coloro
che subdolamente, a volte anche apertamente, sfidano il
vescovo di Roma, fanno la fronda e attaccano con un livore
che non avremmo mai immaginato, sino a tacciarlo di eresia,
solo perché non ha mummificato - come invece fanno loro
- la tradizione. Penso che il papa abbia motivo di chiederci
di pregare: "Mi raccomando, pregate per me". Penso anche
che è giunta l'ora in cui tutti noi - e guardo a voi questa
sera - , nel nostro ambiente, là dove siamo, cerchiamo di
difendere con tutte le nostre forze il sogno, la primavera
della chiesa. Difendere come? Sarò ingenuo, ma ponendo alle
critiche di costoro una domanda: "Ma che cosa faceva, che
cosa diceva di diverso Gesù? Questo papa sta pagando il
prezzo della profezia. Va difesa la profezia. Ne va del
vangelo. Proprio in questi giorni mi è capitato di leggere
una lettera che va circolando in varie nazioni del mondo,
chiedendo adesioni. La lettera dice: "Caro e stimatissimo
papa Francesco, le tue iniziative pastorali e la loro fondazione
teologica sono oggi sottoposte a un veemente attacco da
parte di un gruppo nella Chiesa. Con questa lettera aperta
noi ti vogliamo esprimere la nostra gratitudine per la tua
coraggiosa e teologicamente ineccepibile leadership pontificale.
In poco tempo tu sei riuscito a rinnovare la cultura pastorale
della Chiesa cattolica romana in fedeltà alle sue origini
in Gesù. La gente ferita, la natura ferita vanno dritte
al tuo cuore, Tu vedi la Chiesa come un ospedale da campo
sul ciglio della vita. Al centro della tua preoccupazione
c'è ogni singola persona amata da Dio. Nell'incontro con
gli altri la compassione e non una angustiante interpretazione
legalistica della legge deve avere l'ultima parola. Dio
e la sua misericordia caratterizzano l'impostazione pastorale
che tu vorresti per la Chiesa. Il tuo sogno è di una Chiesa
madre e pastora. Noi condividiamo il tuo sogno. Ti preghiamo
di non allontanarti dal cammino che hai intrapreso e ti
assicuriamo il nostro pieno sostegno e la nostra costante
preghiera"( n un suo piccolo libro , "Il Cristo dei papaveri",
scrive: "Tra la mia vita e la mia morte, una semplice parete
di carta. Io ti sento camminare dietro". (Tutti possono
firmare questa lettera, andando sul sito www.pro-pope-francis.com)
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