articoli


Paolo Ricca , su Riforma del 23/5/2008



Le «armi» nonviolente di un Dio nonviolento

Negli Stati Uniti, dopo qualche tempo in cui erano state felicemente sospese, sono tristemente ricominciate, con la loro lugubre liturgia di morte, le esecuzioni capitali, che del resto, come sappiamo, sono molto più frequenti in Cina e in molti altri paesi (in particolare musulmani, ma non solo), malgrado la moratoria internazionale decisa dall’Assemblea generale dell’Onu alcuni mesi or sono. Ora la pena di morte è uno degli aspetti più vistosi e drammatici di una violenza distruttiva che alberga sia nei rapporti umani, come apprendiamo dalle prime pagine della Bibbia (Caino e Abele), sia nelle istituzioni pubbliche. Gesù ha indubbiamente fatto un passo avanti sul terreno della nonviolenza. Ma dopo tanti secoli di insegnamenti religiosi mi rendo conto che il problema della violenza è rimasto insoluto, anzi è peggiorato. Grazie anche al contributo di paesi che si richiamano al cristianesimo, Caino primeggia, Abele soccombe. La parte debole delle società moderne – donne, bambini, anziani, disabili, malati, precari, ecc. – continua a essere sottoposta alla prepotenza di Caino. Riusciremo a diventare un mondo civile, anziché sprofondare in un inferno malgrado il tanto proclamato cristianesimo?

Vincenzo Caratozzolo – Messina

Il nostro lettore ha sostanzialmente ragione quando dice: «Dopo tanti secoli di insegnamenti religiosi il problema della violenza è rimasto insoluto». È vero che Caino continua a spadroneggiare e a seminare morte intorno a sé. È vero che le religioni non lo hanno convertito e neppure ammansito. È vero che il cristianesimo non ha risolto il problema della violenza, e vedremo perché. Forse però non è del tutto vera l’altra affermazione del nostro lettore, che la situazione sia oggi peggiore di prima.
Prendiamo a esempio la pena di morte. È vero che è ancora largamente praticata nel mondo, ma mentre nei secoli passati tutti gli Stati, senza eccezione, ne facevano uso, oggi molti paesi l’hanno abolita. In questo senso la situazione è migliorata, Non solo, ma è cresciuto il numero delle legislazioni nazionali che oggi riconoscono e fanno propri i diritti umani fondamentali, tra i quali c’è il diritto alla vita e all’integrità fisica della persona, anche se spesso queste belle dichiarazioni restano sulla carta, perché certi governi sono i primi a non osservarle. Comunque, un miglioramento, almeno legislativo, c’è.
Così pure si devono ricordare le convenzioni internazionali sottoscritte da molti Stati che vietano l’uso della tortura e di altri trattamenti disumani. Insomma: passi avanti se ne sono fatti. Resta però vero che il problema della violenza rimane irrisolto e che nel nostro mondo la violenza, con la sua carica disumanizzante, dilaga in mille modi diversi su tutti i fronti, da quello militare a quello verbale, da quello internazionale a quello domestico (quanta violenza nelle famiglie!), da quello economico (la violenza del mercato) e quello sportivo (la violenza negli stadi), da quello delle istituzioni a quello delle singole persone.
Quando leggiamo nel libro della Genesi che nei primordi della storia umana «la terra era piena di violenza» (Genesi 6, 11), sembra di leggere un qualunque quotidiano dei nostri giorni: i tempi sono diversi, ma la fotografia è la stessa. Leggiamo anche, in quei primi capitoli della Bibbia, che Dio non sopportò lo spettacolo di una terra piena di violenza, e mandò il diluvio, sperando che da Noé, «uomo giusto, integro» (Genesi 6, 9), sarebbe nata un’umanità diversa, nuova. Speranza vana! La terra, ripopolandosi, è presto ridiventata piena di violenza, come lo è oggi. Non è servito il diluvio, non sono servite le leggi, né le lezioni della storia, né le incalcolabili sofferenze causate dalla violenza, e non sono servite neppure le religioni, cristianesimo compreso.

Ora il cristianesimo avrebbe potuto e dovuto essere una religione nonviolenta. «Gesù ha indubbiamente fatto un passo avanti sul terreno della nonviolenza», dice il nostro lettore. No, di «passi avanti» Gesù ne ha fatti molti di più di uno, li ha fatti tutti. Profeta disarmato la cui unica arma è stata la parola, ha incarnato la nonviolenza nella sua predicazione e nella sua vita, è stato ed è nonviolenza personificata.«Beati i mansueti, perché essi erediteranno la terra» (Matteo 5, 5) – la terra, si noti, non il cielo! «Beati quelli che s’adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Matteo 5, 9). Dio infatti, dopo il diluvio, massima iniziativa violenta, avendo constatato che non serve a nulla combattere la violenza con una violenza più grande, ha scelto un altro modo per combattere la violenza: ha mandato la sua parola, e poi suo Figlio, convertendosi – se così si può dire – alla nonviolenza: ecco perché chi lavora per la pace praticando la nonviolenza è chiamato figlio di Dio.

Ma non c’è solo questo. C’è la parola sul «non resistere al malvagio» e sul «porgere l’altra guancia» all’aggressore – una parola sulla quale in ogni tempo s’è fatta ironia a buon mercato: in realtà Gesù vuole illustrare una verità sacrosanta, e cioè che l’unico modo efficace per spezzare la catena della violenza è la nonviolenza. Ma c’è di più: quando i discepoli proposero a Gesù di far scendere «fuoco dal cielo» su un villaggio samaritano che non li aveva accolti, Gesù «li sgridò» (Luca 9, 55). E quando nel Getsemani un discepolo volle difendere Gesù con la spada ferendo un ragazzo, Gesù gli ordinò di riporre la spada nel fodero «perché tutti quelli che prendono la spada, periscono per la spada» (Matteo 26, 52).
Che cosa vuol dire ? Vuol dire che uccidere un altro è anche sempre un po’ uccidere se stessi; chi uccide un uomo, nega, cancellandola, la sua stessa umanità. E quello che Gesù ha insegnato, lo ha anche vissuto rifiutando le «dodici legioni di angeli» (Matteo 26, 53) che avrebbe potuto convocare in sua difesa, se avesse voluto. Ma non ha voluto. Ha preferito restare fedele alla scelta nonviolenta pur subendo ogni sorta di violenze: la violenza del potere, che ha paura di questo profeta disarmato, di questo re senza esercito, di questo Maestro tradito, venduto e abbandonato dai suoi discepoli; la violenza della folla cieca, che dopo aver gridato «Osanna!», ora grida «Crocifiggilo!»; la violenza della legge che condanna a morte, dopo un processo sommario, un presunto sovversivo. Gesù nonviolento soccombe sotto il peso di tutte queste violenze, ma Dio lo ha risuscitato e con lui ha risuscitato la nonviolenza.
Difatti il suo discepolo migliore, Paolo di Tarso, ha scritto il più bell’inno alla nonviolenza di tutta la letteratura cristiana di ogni tempo. Si trova nella lettera agli Efesini, al capitolo 6, ed è intitolato «L’armatura di Dio». Potremmo anche intitolarlo «Lo striptease del legionario romano». Paolo spoglia letteralmente il legionario romano, togliendogli di dosso, uno dopo l’altro, tutti i pezzi che formano la sua armatura (cintura, spada, corazza, elmo, scudo, calzari). Ora il legionario è nudo! È anche lui disarmato. Allora Paolo lo riveste con una nuova armatura, i cui pezzi hanno lo stesso nome ma tutt’altro contenuto (verità, giustizia, pace, fede, Parola, Spirito): queste armi non uccidono, ma salvano, sono le «armi» nonviolente di un Dio nonviolento.

Se dunque il cristianesimo storico fosse stato fedele a Gesù e a Paolo sarebbe stato una religione nonviolenta. Ma non lo è stato. E non ha risolto il problema della violenza nella società (neppure in quelle che ha contribuito a plasmare), perché questo problema non l’ha risolto neppure al suo interno. E perché non l’ha risolto ? Essenzialmente per due motivi.
Il primo è stato, con l’editto dell’imperatore Teodosio I, detto «il Grande», il 28 febbraio 380, che ha fatto del cristianesimo la religione dell’impero, l’unica ammessa, imposta a tutti i sudditi con la forza della legge dello Stato e, se necessario, con la forza delle armi. Il fatto di essere diventato religione imperiale ha determinato, a mio avviso, una mutazione genetica del cristianesimo.
Il secondo motivo per cui il cristianesimo non è diventato una religione nonviolenta è che Agostino, per primo in casa cristiana, ha elaborato una teologia della «guerra giusta», anziché elaborare una teologia della pace. Da quel momento tutti gli Stati, anche quelli influenzati dal cristianesimo, hanno considerato «giuste» le loro guerre. Si noti: la dottrina della «guerra giusta» rappresentava in un certo senso un superamento della situazione precedente, in cui non ci si poneva neppure il problema se una guerra fosse o non fosse giusta: ogni guerra lo era! Agostino sperava, con la sua dottrina, di arginare il fenomeno della guerra, e non certo di giustificarlo. La storia però ha dimostrato quanto vana, e in fondo ingenua, fosse quella speranza. Ma il cristianesimo ha coltivato, con maggiore o minore convinzione, la dottrina della guerra giusta quasi fino ai nostri giorni. Solo dopo la seconda guerra mondiale si è cominciato a metterla in questione.

Il cristianesimo, non avendo risolto il problema della violenza neppure al suo interno, non ha finora fatto molto per diminuire il tasso di violenza presente in proporzioni allarmanti nel mondo e anche nelle società tradizionalmente considerate cristiane. Ma se è vero che l’unica forza capace di vincere la violenza è la nonviolenza, allora il cristianesimo potrà contribuire a liberare il mondo dal demone della violenza solo diventando quello che finora non è stato, cioè una religione nonviolenta. In realtà, è l’umanità che deve diventare nonviolenta, se vuole sopravvivere. La grande svolta che le è richiesta e che dovrebbe caratterizzare il millennio appena iniziato è forse proprio la conversione alla nonviolenza.
Ma come possiamo pensare che questo accada, se la chiesa stessa non ha ancora sposato la nonviolenza, malgrado l’esempio di Gesù e di Paolo e la bella testimonianza di gruppi e movimenti cristiani nonviolenti, come i Mennoniti, i Quaccheri, il Movimento Internazionale della Riconciliazione e altri ancora? Uomini come Albert Schweitzer e Martin Luther King (ma tanti altri nomi dovrebbero essere fatti) non sono forse stati mandati da Dio alla nostra generazione proprio per indicarci la via stretta ma giusta da percorrere per diventare, come comunità cristiana, una fucina e una scuola di nonviolenza? Non è anche questo un aspetto (uno soltanto, ma quanto importante!) di quel «debito» (Romani 1, 14) che come cristiani abbiamo nei confronti dell’umanità?

PAOLO RICCA

torna alla home