Simone
Weil. La ragazza che sfidō il tiranno
Negli
ambienti della sinistra internazionale era di casa, così
che quando Trockij giunse in incognito a Parigi nel 1933
lo fece ospitare per qualche giorno in un appartamento dei
suoi. Naturalmente parlarono di politica e "la discussione
divenne presto disputa; dalla stanza vicina si sentiva parlare
con tono concitato". La sua biografa continua dicendo
che "doveva essere la voce di lui, perché Simone
parlava sempre con calma e non si scaldava mai nel discutere".
Poi riporta lo stupore della moglie di Trockij: "Una
ragazza che tiene testa a Trockij!".
Lei
in realtà non era più una ragazza: aveva 24
anni, una laurea in filosofia alla Normale conseguita brillantemente
due anni prima, insegnava nei licei, era molto impegnata
a livello politico-sindacale, già schedata dalla
polizia, e pubblicava per giornali tipo La Révolution
prolétarienne. Qualche mese prima, durante un congresso
a Reims, se l'era vista brutta con gli staliniani, saliti
sul palco da cui parlava per malmenarla, "ma i suoi
compagni le fecero cerchio intorno e la protessero".
Il motivo? Aver criticato la politica troppo accomodante
dell'Urss verso Hitler da poco salito al potere. Aveva sempre
in tasca L'Humanité, il quotidiano dei comunisti
francesi, ma ciò non le impediva di pensare con la
sua testa. E fu proprio questa libertà, unita a un'intelligenza
superiore (Simone de Beauvoir ne ricorda "la grande
reputazione di intelligenza" tra gli studenti della
Sorbona), ad aver fatto di lei uno dei più importanti
pensatori del Novecento.
Nata
a Parigi da genitori ebrei il 3 febbraio 1909, morta a 34
anni nell'esilio inglese con l'anima consumata dalle tragedie
della storia, da giovane fu esplicitamente antireligiosa
al punto da rompere l'amicizia con una compagna divenuta
cattolica. Lavorando giunse a identificarsi a tal punto
con la condizione della povera gente che "il giorno
in cui riscuoteva lo stipendio, la porta della giovane professoressa
di filosofia era assediata", finché nel 1934
decise di andare a lavorare in fabbrica facendosi assumere
alla Renault, dove però riuscì a resistere
solo un anno. Durante la guerra civile di Spagna partì
volontaria per la repubblica, ma si ustionò un piede
mettendolo nell'olio bollente di un'enorme padella e dovette
rientrare in Francia. Fu la sua fortuna, perché la
sua compagnia venne sterminata da lì a poco.
Nel
frattempo il suo cammino spirituale si era fatto sempre
più intenso fino a una vera e propria esperienza
mistica nel 1938, descritta con una frase diventata celebre:
"Cristo è disceso e mi ha presa", e commentata
così: "Nei miei ragionamenti sull'insolubilità
del problema di Dio non avevo previsto questa possibilità
di un contatto reale, da persona a persona, quaggiù,
fra un essere umano e Dio. Avevo vagamente inteso parlare
di simili cose, ma non vi avevo mai creduto. Nei Fioretti,
le storie di apparizione mi ripugnavano più di ogni
altra cosa, come i miracoli nel Vangelo. D'altronde, né
i sensi né l'immaginazione hanno avuto la minima
parte in questa improvvisa conquista del Cristo: ho soltanto
sentito, attraverso la sofferenza, la presenza di un amore
analogo a quello che si legge nel sorriso di un viso amato".
Si
trattò di una conversione del tutto particolare,
perché, a differenza degli altri convertiti, scelse
di non chiedere il battesimo e di non entrare nella Chiesa:
"La mia vocazione è di essere cristiana fuori
della Chiesa". Perché? Perché "la
Chiesa non è cattolica di fatto, come lo è
di nome". Cattolico, com'è noto, significa universale,
ed è proprio questo che per lei mancava alla Chiesa
cattolica romana, l'essere pienamente universale, in grado
di abbracciare gli esseri umani di tutti i tempi e di tutti
i luoghi. Ciò che lei non poteva accettare era la
condizione particolare, talora persino settaria, che ai
suoi occhi l'essere cattolici romani comportava. Rifiutava
la traduzione della fede personale in un corpo sociale organizzato
che per lei andava inevitabilmente a scapito dell'universalità.
Un'eretica?
Già prima di litigare con Trockij aveva scritto che
le sue idee erano "eretiche rispetto a tutte le ortodossie",
ma sentiva che la sua missione consisteva nella testimonianza
di un amore universale quale condizione indispensabile per
avere a che fare davvero con Dio.
In lei ciò si traduce in un modo nuovo e insieme
antichissimo di pensare la salvezza, legata non più
a un particolare evento storico ma all'estensione dell'intera
creazione, divenendo così disponibile per ogni essere
umano che abbia vissuto secondo giustizia, a prescindere
da dogmi e rituali di sorta.
Se
la salvezza non fosse presente sulla terra sin dall'origine,
"non si potrebbe perdonare a Dio la sventura di tanti
innocenti". Ne viene che il contenuto del cristianesimo
(che è il Cristo, in quanto unità di Dio e
uomo) esisteva ben prima del Gesù storico. Da qui
le sue celebri parole: "Ogniqualvolta un uomo ha invocato
con cuore puro Osiride, Dioniso, Krshna, Buddha, il Tao,
ecc., il figlio di Dio ha risposto inviandogli lo Spirito
Santo. E lo Spirito ha agito sulla sua anima, non inducendolo
ad abbandonare la sua tradizione religiosa, ma dandogli
luce - e nel migliore di casi la pienezza della luce - all'interno
di tale tradizione".
Tale
universalità della salvezza riguarda non solo i fedeli
delle altre religioni, ma anche gli atei e gli agnostici,
nella misura in cui sono abitati dall'amore per il bene,
la giustizia, la verità. Simone Weil fonda teologicamente
questa visione con un'idea ancora tutta da esplorare per
la teologia: "Dio è insieme personale e impersonale".
Ciò significa che il rifiuto di Dio in quanto persona
non comporta di per sé l'esclusione dal divino. Vi
è infatti anche un aspetto impersonale del divino
(che si manifesta nella solidarietà con gli altri
uomini, nell'amore per il creato e per la bellezza, nella
tensione etica verso la verità e la giustizia) e
quando un essere umano aderisce con tutto se stesso, incondizionatamente,
a una di queste forme di amore assoluto, entra nel divino,
che lo sappia o no, che lo voglia o no. Ciò che è
decisivo è il sentirsi obbligati da qualcosa di incondizionato,
che fa uscire da se stessi e che lega a una dimensione superiore:
"Quelli che posseggono allo stato puro l'amore per
il prossimo e l'accettazione dell'ordine del mondo, compresa
la sventura, costoro sono tutti sicuramente salvati, anche
se vivono e muoiono in apparenza atei". Per Simone
Weil credere in Dio, ben prima di ritenere vere determinate
dottrine, significava esprimere un retto pensiero sul mondo
(la verità) e una retta azione in esso (la giustizia).
Il principale banco di prova è dato dall'atteggiamento
verso gli altri esseri umani, dall'avvertire un obbligo
verso i nostri simili: chi avverte quest'obbligo verso gli
altri dentro di sé, è chiamato in quel momento
all'eternità.
Ha
scritto nel suo ultimo testo: "Credo in Dio, nella
Trinità, nell'Incarnazione, nella Redenzione, nell'Eucaristia,
negli insegnamenti del Vangelo". E insieme però:
"Non riconosco alla Chiesa nessun diritto di limitare
le operazioni dell'intelligenza o le illuminazioni dell'amore
nell'ambito del pensiero". In questo nodo, dato da
una fortissimo amore per Dio e per Cristo unita al rifiuto
del potere intellettuale della gerarchia ecclesiastica,
si gioca la partita della fede dei nostri giorni. Sono molti
oggi i credenti che non riconoscono più alla Chiesa
un potere sulla loro intelligenza. La seguono quando si
tratta di testimoniare la carità e di celebrare la
liturgia, ma non sono disposti a cederle l'ultima parola
nell'ambito del pensiero. La fede per loro non è
più basata sul principio di autorità ma sul
principio di verità. E per consegnarsi alla verità
vogliono pensare con la loro testa, senza timore di nessun
Trockij ecclesiastico. Simone Weil sentiva che "nel
corso di tutta la storia conosciuta mai vi fu un'epoca come
l'attuale in cui le anime fossero in tale pericolo".
E sentiva al contempo che, essendo l'intelligenza bisognosa
per definizione di "una libertà totale",
si deve registrare "fin quasi dalle origini un malessere
dell'individuo nel cristianesimo, in particolare un malessere
dell'intelligenza". La riconciliazione tra intelligenza
e cristianesimo è una delle condizioni essenziali
per salvare le anime occidentali dal nulla che le sta consumando.
Vito
Mancuso
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