Metropoli,
la porta aperta di Dio
La
parrocchia presso la quale risiede da qualche anno si affaccia
su una strada del centro di Milano, ma per arrivare a casa
sua occorre prendere la via a fianco, famosa in tutto il
mondo per i negozi che ospita. Si supera il portone e, mentre
ci si inoltra nel lungo corridoio, ci si ritrova a schivare
le commesse che, di buon mattino, stanno sistemando la merce
da esporre per Natale.
"A
volte capita pure sul marciapiede, sa? - racconta il sacerdote-poeta
- Le persone guardano le vetrine e nemmeno si accorgono
di venirti addosso. All'inizio era una situazione che un
po' mi infastidiva, poi però mi sono detto che non dovevo
covare risentimento. Anche ci passa da queste parti in cerca
di un capo alla moda, infatti, porta dentro di sé un lembo
di Dio. È la lezione di Etty Hillesum: disseppellire il
Dio che sta dentro i cuori devastati. E si può essere devastati
anche dal troppo benessere, dalla mancanza di solidarietà".
All'età
di 83 anni, don Angelo parla del nostro tempo come di una
stagione entusiasmante, che annuncia una rinascita. In libreria
è appena arrivato "Il sorriso di Dio" (il Saggiatore,
pagine 416, euro 18), che raccoglie tre fra i titoli più
significativi della sua vasta produzione spirituale: "Diario
di un curato di città", "Incontri con Gesù",
"La fede sottovoce".
Un libro corposo, al quale si può affiancare un limpido
volumetto di meditazioni natalizie, "I giorni dello
stupore", pubblicato dalla Fraternità di Romena (pagine
96, euro 10).
Sorriso,
stupore: sono questi, oggi, i segni dei tempi?
"Mi torna in mente il modo in cui il cardinale Carlo Maria
Martini si riferiva al Concilio - risponde Casati -. Eravamo
entusiasti, diceva, guardavamo al futuro, parlavamo al mondo.
Ecco, è quello che sta accadendo adesso. C'è un'attesa di
notizie buone che porta a riconoscere nel Vangelo la vera
buona notizia per l'uomo. Questo passa per la figura di
Papa Francesco, non c'è dubbio, ma poi travalica, va oltre.
Si avverte nella Chiesa, nella società".
Quali
sono stati per lei gli incontri più importanti?
"Ho
avuto molti compagni di strada e ho imparato a capire che
ogni persona che mi si accosta può diventare per me pane
per il cammino. Perché il cum-panis è colui che divide
il pane con noi e che per noi si fa pane, appunto. La mia
tribù si compone di tanti volti e ciascuno mi ha segnato
con una domanda. Quando insegnavo in seminario, non consideravo
gli studenti come vasi da riempire. Ero io, semmai, che
dovevo capire che cosa si portavano nel cuore. Il complimento
più bello me lo fatto una bambina di neppure dodici anni.
Si era sparsa la voce che stavo per lasciare la parrocchia
di Lecco e lei mi ha fermato in una delle stradine che guardano
sul lago. "Chi mi parlerà sottovoce di Dio?", mi ha domandato.
Ha espresso bene quello che ho sempre tentato di fare: cercare
Dio non nella declamazione di una fede recitata, ma in una
voce sottile, che sapesse farsi compagna di ciascuno".
Quanto
ha contato l'amicizia con padre David Maria Turoldo?
"Moltissimo,
anche perché è stato lui a spronarmi a raccogliere gli articoli
che pubblicavo sui settimanali diocesani, è stato lui a
incoraggiarmi a scrivere versi. Per un certo periodo è stato
mio ospite a Lecco e non perdeva occasione per rimproverarmi
con ironia. Voi parroci vi agitate troppo, ripeteva, sempre
a correre di qua e di là, ma come fate..."
Aveva
ragione?
"Vede,
gli uomini come Turoldo possono essere paragonati all'invaso
d'acqua di una diga, su in quota. Sono necessari, ma poi
l'acqua deve scendere a valle, raggiungere l'alveo dei fiumi".
E
questo lo fanno i parroci?
"Questo
è stato per me, fin dal principio, il senso del mio essere
sacerdote. La parrocchia mi è sempre piaciuta molto, sia
quando ero coadiutore a Busto Arsizio, sia quando sono stato
curato a Lecco e a Milano. La parrocchia è una struttura
aperta, per accedere alla quale non è richiesta alcuna appartenenza.
Spingi la porta ed entri, senza che nessuno pretenda nulla
da te. Le persone più lontane dalla Chiesa possono varcare
quella soglia, con esiti spesso sorprendenti".
Anche
quello con il cardinal Martini è stato un rapporto importante...
"Importante,
anzitutto, era la sua insistenza sulla Parola di Dio, la
sua capacità di ripartire ogni volta dalla notizia buona
del Vangelo, dall'annuncio di una misericordia che tutto
avvolge. Fisicamente era un gigante, ma non parlava mai
dall'alto, sapeva mettersi al livello dell'interlocutore.
Sono tratti che ritrovo nello stile episcopale di Papa Francesco".
Nei
suoi scritti lei torna spesso sul ruolo della donna nella
Chiesa...
"Sì,
nella Chiesa e nel mondo. Mi ha sempre colpito lo sguardo
femminile, così differente da quello maschile, la disponibilità
a considerare ogni questione da una prospettiva inattesa
per noi uomini. Quello della donna è un pensiero meno astratto,
più orientato al prendersi cura, alla resistenza di fronte
alle difficoltà della vita. Leggendo il Vangelo, ci si rende
conto di quanto Gesù avesse, nei confronti delle donne,
un atteggiamento che doveva apparire sconcertante per l'epoca.
Nessun rabbino avrebbe mai ammesso una donna tra i suoi
discepoli, Gesù arriva addirittura a farsi imporre un miracolo
da una di loro. Dalla Cananea, per l'esattezza, che non
per niente i cristiani ortodossi chiamano "la Teologa"".
Il
nostro mondo è attraversato da molte paure. Qual è la più
pericolosa?
"La
paura di amare, probabilmente. Ci impedisce di incontrare
l'altro, di riconoscerne il volto, di accarezzarlo. Non
si esiste, altrimenti, perché è uscire da noi stessi. Chi
non ama rimane rinchiuso in sé, nella morte".
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