I
BANCHETTI DI GESÙ
La dimensione antropologica dell'Eucaristia
E
allora non è assolutamente inutile per introdurci
nel nostro clima, quello dell'Eucaristia, non è assolutamente
inutile motivare la mia presenza qui, che come ha detto
Don Angelo, è una presenza dovuta essenzialmente
all'amicizia. Molti pensano che io sia sovente in giro a
predicare, ma, voi sapete, sono le favole che, una volta
che sono narrate, si continuano a ripetere. In realtà
ultimamente mi muovo abbastanza poco, innanzitutto per l'età
che non mi permette di fare tutte le sere come questa sera:
e così andare a dormire all'una e poi fare una vita
normale il giorno dopo. Un tempo potevo fare anche la notte
più alta e stare bene il giorno dopo, ma adesso provo
disagio e penso stasera sono qui, domani sera sarò
a Torino e mi succederà la stessa cosa venerdì
sera quando sarò di nuovo in zona a Seregno, e sabato
mi succederà la stessa cosa perché sarò
a Reggio, e domenica la stessa cosa perché sarò
a Siena. Ma voglio essere molto concreto, questa è
la mia prima uscita per conferenze a partire dal mese di
novembre, a dicembre non ho fatto conferenze, sono stato
in comunità, a gennaio pure, a febbraio pure, adesso
mi muovo proprio per fare, come gli antichi monaci che facevano,
i quaresimali, ma poi rientro...Questo per dirvi che effettivamente
sono qui per l'amicizia grande di Don Angelo, la evochiamo
sempre perché quando si ha la nostra età l'amicizia
resta nella nostra vita forse una delle cose più
preziose. E per una persona come me, un monaco che non ha
conosciuto l'amore che invece conoscete tutti voi che siete
sposati, l'amore di chi ha scelto per la vita, l'amore dei
figli, per noi l'amicizia è anche l'esperienza di
amore più bella che possiamo fare e quando resta
fedele nel tempo è come un miracolo. Io ricordo sempre
quando Don Angelo è arrivato nella mia comunità
nel '69, pensate quanti anni sono passati, ormai sono trentacinque
anni, trentasei, lui giovane prete, io che iniziavo questa
vita monastica. Allora gli preparavo, lui li ha ricordati,
i tomini. Sapete cosa sono? Sono dei formaggi piemontesi
di capra che vengono messi sott'olio con un misto di prezzemolo,
di aglio, di peperoncino, un goccino di aceto per far sì
che si conservino, messi sott'olio, vengono tirati fuori
per gli amici. Turoldo, che era un amico, anche dei tomini,
ogni tanto passando in Piemonte mi telefonava: "Enzo,
hai i tomini?"... "Sì"... "Vengo
su" e non gli bastava normalmente un boccale da dodici,
Don Angelo no, li gustava ma era morigerato... Ecco, ancora
io resto sempre legato a questa esperienza: l'affetto, l'amicizia,
lo si celebra soprattutto a tavola... Vedete l'amore si
celebra anche in altri luoghi, voi lo sapete, gli sposati
lo sanno, ed è una santa liturgia dei corpi. L'amicizia
l'unica liturgia che ha è quella del pasto, del trovarsi
insieme a tavola, del poter preparare il cibo. E io vi devo
dire che è la cosa di cui mi vanto di più,
visto che non ho tenti meriti spirituali di santità,
ma ne ho uno, sono un buon cuoco, forse è la cosa
che mi riesce meglio nella vita: far da mangiare per gli
amici. Lo sapete, lo dico sempre, è la più
grande soddisfazione che vivo perché ho imparato
da una grande cuoca, che era mia nonna, che la maniera più
semplice per dire a una persona "Ti voglio bene"
è fargli da mangiare, e quando si vuol dire a una
persona "Io voglio che tu viva bene", non solo
che tu viva, gli si fa da mangiare bene.
E'
in questo contesto che si inserisce anche la mia meditazione
questa sera sull'Eucaristia. È stato Don Angelo a
proporla, non io, e io spero che sia davvero un avvio alla
comprensione di quello che è il Sacramento dei sacramenti,
la cosa più straordinaria che il Signore Gesù
ci ha lasciato. Io credo che nella nostra vita di cristiani
l'Eucaristia è davvero tutto, è davvero tutto.
E' come dicevano i Padri, la sintesi di tutta la fede, di
tutta la nostra speranza e di tutta la nostra capacità
di amore. La sintesi che è stata vissuta fino all'estremo
da Gesù, l'Eucaristia è questo. Ma proprio
per questo necessita di molte comprensioni, e guai a perdere
un' ulteriore comprensione dell'Eucaristia pensando che
la comprensione ultima, magari quella che riteniamo più
spirituale, è sufficiente. No, l'Eucaristia va presa
in tutta la sua ampiezza.
Io
spero proprio che questa sera, pur facendo con voi un tragitto
estremamente umano, dandovi l'antropologia del Sacramento
Eucaristico, voi possiate capire come l'Eucaristia davvero
abbia la capacità di essere la sintesi di tutta la
nostra vita cristiana, di quello che noi attendiamo e di
quello che riusciamo ad essere in virtù dell'aiuto
della grazia, dello Spirito Santo, nella nostra vita.
Don
Angelo non me l'aveva detto, ma con molta simpatia e intelligenza,
nell'individuare il titolo dell'incontro si è ricordato
di un mio libro, ormai di vent'anni fa, scritto per la Prima
Comunione dei bambini, "Un Rabbi che amava i banchetti"
lo intitolai- Ed ebbi la fortuna,che un vero designer, allora
non ero assolutamente conosciuto, ora invece è conosciutissimo
come uno dei migliori, non solo designer ma un vero artista
in rappresentazioni di racconti, Emanuele Luzzati, abbia
voluto accompagnare il mio libro con i suoi disegni. Il
"Rabbi che amava i banchetti" era nato da una
esperienza straordinaria che ho fatto dal '78 fino al '98
per venti anni: Ogni anno un movimento (se vi dico il nome
del movimento, qualcuno sorriderà perché lo
conosce come un movimento devoto, il movimento dell'Apostolato
della preghiera) sotto la sigla chiamata "Ragazzi nuovi",
faceva normalmente ad Assisi un incontro di tutti questi
"ragazzi nuovi" d'Italia, legati al movimento,
un movimento retto essenzialmente dai Gesuiti e ogni anno
mi facevano incontrare circa settecento, ottocento, mille
bambini insieme, tra i sei e gli otto anni. E ogni anno
dovevo spiegare loro l'Eucaristia, e credete è difficile
spiegare l'Eucaristia a settecento, ottocento, novecento
bambini nello stadio di Assisi. Ed è lì che
pensai che la maniera migliore per spiegare l'Eucaristia
fosse raccontare i banchetti che ha fatto Gesù. Da
quella esperienza dunque il titolo dell'incontro di questa
sera, da qui la premessa.
Poi però ci inoltriamo in riflessioni oserei dire
più precise, adeguate anche alla nostra qualità
di adulti. Cominciando da un dato: non so se avete mai provato
qualche volta a leggere i Vangeli con uno sguardo dall'inizio
fino alla fine, senza preoccuparvi molto subito di trovarvi
un messaggio spirituale o addirittura qualcosa che riguarda
la fede, ma leggere i Vangeli come un racconto. Se voi fate
questa operazione voi vi accorgete di alcune cose, alcuni
dati che normalmente le persone pie, devote invece non trovano,
leggendo i Vangeli. La prima è il grande numero di
banchetti. Ma insomma Gesù è un Rabbi, è
uno che insegna la legge di Dio, è uno che fa un
bell'annuncio del Vangelo, noi ci attenderemmo che tutte
queste cose portino Gesù a frequentare soprattutto
il Tempio, le sinagoghe e gli uomini religiosi del tempo,
cioè sacerdoti, scribi, farisei (e non prendete il
termine fariseo in modo negativo, i farisei erano come quei
movimenti che oggi nella Chiesa sono così amati dappertutto,
erano molto zelanti, molto pii, pensate ai nostri movimenti,
non erano differenti da loro)o a frequentare eventualmente
i monaci di Qumran... E invece no, mai una volta che si
nomini che Gesù sia andato dai monaci, o dagli Esseni.
E quando ha incontrato i sacerdoti li ha solo coperti di
invettive. Non c'è una volta che abbia trovato un
sacerdote e abbia avuto per lui una espressione deferente,
mai. Li ha attaccati in tutte le maniere, leggetevi Matteo
24 e ne avete abbastanza. Gli scribi e i farisei li ha attaccati
ancora di più, al Tempio. Dai sinottici sembra addirittura
che abbia fatto l'ultimo viaggio a Gerusalemme e che a causa
dei suoi interventi nel Tempio sia stato poi arrestato e
ucciso. Nelle sinagoghe si narra che è stato una
sola volta, dicono i sinottici. E invece noi ci imbattiamo
sovente in un Gesù che è presente a dei banchetti
e che fa tutta una serie di incontri a tavola. Se voi state
ai sinottici, subito Gesù si mostra scandaloso, e
questo ci dice l'urto causato da Gesù. Gesù
dopo il Battesimo di Giovanni e le tentazioni nel deserto,
predica che il regno dei cieli è vicino, chiama due
coppie di fratelli, subito dopo chiama un altro, Levi, e
la prima cosa che Gesù fa è partecipare a
una grande festa, una grande tavolata che questo peccatore
ha organizzato per dare l'addio ai suoi amici peccatori,
passando ormai nella comunità di Gesù. Matteo,
Marco, Luca ci parlano di questo banchetto, fatto insieme
ai pubblicani, cioè ai peccatori pubblicamente ritenuti
tali. Non so se avete mai pensato che questo è il
primo atto pubblico che Gesù fa, una volta formata
la sua comunità: un grande pasto, partecipare a un
banchetto che scandalizza tutti, dicono: "mangia coi
peccatori!". Cosa inaudita per un Rabbi e per un uomo
spirituale come Gesù. Pensateci bene: ma, via, andare
a mangiare con i peccatori! Da quel momento, ci dice l'evangelista
Luca, Gesù fu chiamato "beone e mangione, amico
dei pubblicani e delle prostitute". Ce lo dice il Vangelo
di Luca. E Gesù deve scusarsi, cerca di scusarsi
dicendo: "Ma io non sono venuto a chiamare i giusti,
ma i peccatori; non sono i sani che hanno bisogno del medico,
ma i malati", parole durissime. Leggiamole bene perché
sono parole durissime. Gesù dichiara nei confronti
di quelli che si sentono sani: "Non hanno bisogno di
me quelli che si sentono giusti; io non voglio incontrarli
perché mio Padre Dio mi ha mandato da quelli che
non si sentono giusti", quasi a dire "Io chiudo
ogni possibilità di rivelazione con quelli che si
sentono giusti e sani". L'incontro che Gesù
fa è un banchetto a casa di Levi, lui chiamato pubblico
peccatore, persona ritenuta impura, lui che per dare l'addio
ai suoi amici prima di seguire Gesù, ci dice il vangelo
di Matteo (che poi è il Vangelo di Levi stesso, voi
lo sapete Levi chiamato Matteo, siamo nel vangelo scritto
da lui) dà questo grande pasto. E da quel momento
voi vedete tutta una serie di pasti di Gesù. Ad esempio
quando viene chiamato da Simone il Lebbroso e incontra quella
donna peccatrice che rannicchiata a lui vicino con le lacrime
gli bagna i piedi, quasi glieli lava e poi gli profuma il
capo, e Simone il fariseo che dice: "Ma ho invitato
a casa mia per un pasto un Rabbi, un maestro spirituale,
e lui si lascia toccare dalla prostituta". E tutto
avviene nel contesto di un pasto. E poi avete presente gli
altri banchetti, tra cui certamente, al cuore del Vangelo,
quel banchetto che Gesù volle nel deserto, la moltiplicazione
dei pani. E gli evangelisti si compiacciono a dire che era
un banchetto, che Gesù li fece sedere ad aiuola,
a gruppi di dodici. Non ha fatto una moltiplicazione di
pani e pesce tipo un selfservice. No, fece disporre la gente
ad aiuola, a gruppi di dodici: commensali, non semplicemente
consumatori di un cibo, moltiplicato per sfamarli. Il gruppo
di dodici, al di là del significato teologico per
Israele, è il gruppo della tavolata, un gruppo in
cui è possibile il dialogo, l'amicizia; quando superate
i dodici difficilmente voi avete una tavola con comunicazione,
una tavola in cui si è commensali, perché
si finisce a parlare per gruppetti, due qui e due là
e la tavola diventa un disordine. Poi, se continuate nella
lettura, incontrate i pasti dai suoi amici, da Marta e Maria,
da cui Gesù va spesso:ogni volta che viene a Gerusalemme
passa da questi amici a Betania, accolto da loro. E poi
voi incontrate quello che fu l'ultimo pasto prima della
sua passione, sempre a Betania, dove Maria lo unge in vista
della sepoltura. Ma, sigillo di tutto, l'ultima cena, pasto
pasquale per i sinottici, pasto di addio e di amicizia non
pasquale per il Vangelo di Giovanni. Vedete, tutto è
iniziato con un banchetto cui sono ammessi i peccatori,
Gesù va in mezzo a loro, tutto termina con un pasto
con i suoi, in cui, come vedremo, Gesù dà
il grande dono dell'Eucaristia che è proprio a favore
dei peccatori: "Questo è il sangue sparso per
voi e per le moltitudini"; "per i molti"nella
traduzione attuale della nostra Messa, credo anche ambrosiana,
dove il "per molti" è diventato giustamente
"per tutti", giustamente, perché è
vero che nel testo originale non c'è tutti, ma c'è
" i molti", ma "i molti" è da
intendersi come era in ebraico, "le moltitudini degli
uomini", le moltitudini.
Ecco,
questo è un primo itinerario. Giovanni nel quarto
Evangelo che è il Vangelo altro e non è come
i sinottici, sente però il bisogno anche lui di raccontare
qual è il primo gesto che Gesù fa pubblicamente:
è andare a un pasto, a un matrimonio a Cana. . Permettetemi
di dire che questo episodio del vangelo lo fanno leggere
nei matrimoni. Abbiate pietà di quando lo fanno,
perché non sanno quello che fanno. Se voi leggete
bene questo Vangelo, lo sposo e la sposa non ci stanno,
non ci stanno, chissà dov'erano; si parla addirittura
del capotavola, si parla dei servi. A un matrimonio, ci
sarà uno sposo e una sposa! Non se ne parla. Si parla
invece della madre di Gesù, si dice che sua madre
era già là, perché nel linguaggio di
Giovanni il matrimonio è tra Gesù e i suoi
discepoli, Lui è lo sposo e la sposa è la
comunità dei discepoli, per i quali Lui dà
il vino nuovo, il vino della nuova alleanza, il vino buonissimo.
E' lui lo sposo e la sposa è la comunità,
tanto è vero che il brano conclude: "Questo
fu il primo segno", Giovanni non dice "miracolo",
dice "segno" per dire "Qui c'è un
segnale, cercate di capire, questo è il primo segno
fatto da Gesù a Cana di Galilea". Gesù
fece questo segno, "e i discepoli credettero in lui".
Ecco il vero matrimonio di Cana, la comunità e il
suo sposo. Ma il tutto celebrato in un banchetto, in un
festino nuziale, in cui addirittura c'è il vino buono
che è servito con abbondanza a tutti. E poi Giovanni
racconterà l'altro banchetto a Betania con l'unzione
da parte di Maria, la sorella di Marta e di Lazzaro, e infine
racconterà il pasto dell'ultima cena, in cui Giovanni
ricorda che Gesù ha lavato i piedi dei discepoli.
Non ricorda l'istituzione eucaristica, lui non la ricorda
perché vuole dire ai cristiani: guardate che se avete
capito bene cosa è l'Eucaristia, è lavarvi
i piedi e diventare i servi gli uni degli altri. Meglio
diventare servi gli uni degli altri che fare un rito, il
rito eucaristico senza arrivare a lavarvi i piedi. E allora
in modo scandaloso il quarto Vangelo non ci parla della
istituzione della Eucaristia. Cosa scandalosa ancora per
noi: come è possibile, come è possibile? E'
possibile perché Giovanni ormai scrive il Vangelo
dopo gli anni novanta, e vede che nella Chiesa l'Eucaristia
è diventata un rito, sì , si spezza il Pane,
si accede al Calice, ma non c'è più servizio
l'un dell'altro nella comunità cristiana. E allora
Giovanni sostituisce l'istituzione del banchetto eucaristico
con l'istituzione della lavanda dei piedi. E si ricalcano
le parole di Gesù. Gesù nella Eucaristia aveva
detto: "Fate questo in memoria di me" e in Giovanni
le parole sono: "Avete capito tutto quello che io vi
ho fatto? Se io ho lavato i piedi a voi, io ve ne ho dato
l'esempio, voi lavatevi i piedi gli uni gli altri",
che è lo stesso comando dei sinottici di fare l'Eucaristia.
Ecco, vedete, l'Eucaristia avviene in un contesto di banchetto,
ma questo banchetto è stato preparato dai banchetti
di Gesù prima, dal banchetto con i peccatori, dal
banchetto con la comunità, banchetto nuziale secondo
il quarto Vangelo, dai banchetti delle moltiplicazioni dei
pani che sono figura eucaristica, fino al banchetto dell'ultima
cena. Questo è un primo movimento.
Il secondo movimento, per andare sempre più in profondità
nel nostro tema. Gesù certamente l'ultima settimana
della sua vita ha voluto celebrare la pasqua. Le differenze
che ci sono di data, voi lo sapete, tra il quarto Vangelo
e i sinottici, in realtà non sono delle differenze
che ci impediscono la comprensione, ma anzi, ci aumentano
ancora di più la comprensione eucaristica. Secondo
i sinottici Gesù mangia la pasqua, e questo deve
essere avvenuto con ogni probabilità quasi certamente
non la vigilia della sua passione. Lui con ogni probabilità
ha mangiato la pasqua secondo il calendario non degli Ebrei,
non del tempio, ma secondo il calendario degli Esseni e
dei Qumramiti, il suo movimento era vicino a questi altri
movimenti .Per semplificare le cose non ha mangiato la pasqua
il giovedì santo ma quasi certamente il martedì
santo, quando gli ebrei non mangiavano ancora la pasqua,
ma la mangiavano queste comunità con un altro calendario.
Questo anche storicamente spiegherebbe meglio come sia stato
possibile che Gesù sia stato catturato la sera, che
ci sia stato un processo radunando il Sinedrio, almeno in
parte. E sia stato possibile poi mandarlo a Pilato, Pilato
mandarlo a Erode, Erode rimandarlo a Pilato e la condanna
alle nove del mattino!. Non è possibile, questi eventi
in una notte non sono possibili. Quindi con ogni probabilità
Gesù ha fatto questa pasqua il martedì sera,
il martedì sera è stato arrestato, il mercoledì
e il giovedì sono stati i giorni di questi processi
e di questi incontri con il potere politico e con il sinedrio
.Poi coincide la data per tutti: Gesù è morto
venerdì 7 aprile alle tre del pomeriggio.
Secondo i sinottici comunque Gesù mangia la pasqua
sapendo che ormai la sua situazione critica era giunta al
punto dell'arresto, al punto di quella che sarebbe stata
una fine violenta: Gesù per capire questo non aveva
bisogno di una sapienza sovrumana. L'aveva detto: tutti
i profeti erano finiti così, anche Giovanni Battista
era finito così, Lui che ne era discepolo e prosecutore
non poteva avere un'altra fine: Vedete, Gesù si trova
di fronte a quella morte imminente, comprendendo la situazione
e vuole dire ai suoi discepoli due cose.
La prima è che Lui non andava alla morte perché
un destino pendeva su di lui. Attenzione questo è
l'errore di tutti quelli che intendono il destino come presenza
alienante sulla loro vita, qualche volta invece del destino
dicono Dio, ma è sempre l'alienazione. Gesù
voleva che i dodici capissero bene che non c'era nessun
destino che incombeva su di lui, che lui, se voleva, scappava
e sfuggiva a quella morte, quindi non c'era nessuna necessità,
voluta da Dio, della sua morte.
La
seconda cosa che voleva che capissero è che lui andava
alla morte liberamente e per amore degli altri. Questo,
guardate, è l'essenza dell'Eucaristia, non dimenticatelo
mai. Quando voi volete capire l'Eucaristia ricordatevi queste
due parole: "liberamente" o se volete nella libertà
e "per amore". Se non fosse andato liberamente,
ci avrebbe sfiorato il pensiero che tante altre persone
finiscono male come Gesù, e se non fosse andato per
amore, avremmo pensato a tante persone cui tocca la fine
di Gesù e più dolorosa ancora. Quel che rende
la morte di Gesù unica è che lui vi è
andato incontro liberamente e per amore. Liberamente significa
che non glielo chiedeva né Dio né c'era un
destino su di lui. Per amore significa che lui fino in fondo
voleva non difendersi, non passare alla violenza, non passare
a un atteggiamento uguale a quello dei suoi nemici o persecutori.
Ecco perché quando siete a Messa, al momento del
racconto della istituzione, sentite dire: "La vigilia
della sua passione, liberamente stese le braccia, per amore
nostro andò verso la passione". Guardate, chi
ha capito queste due cose ha capito l'Eucaristia, chi non
capisce queste due cose, non capisce l'Eucaristia in senso
cristiano. Ripeto: liberamente, nella libertà e per
amore.
E
allora, perché fosse chiaro, Gesù ha detto:
"Bene, di quello che succederà, io stasera vi
do un segno, ve lo anticipo con un gesto, ve lo anticipo
con un rito, perché voi sappiate che io so quello
che mi succede e che io non faccio nulla perché non
mi succeda". Ecco perché Gesù, come si
compiacciono di dire i Vangeli, a un certo punto di quella
cena pasquale, il seder che facevano gli ebrei e che anche
lui ha fatto, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò,
lo diede ai suoi discepoli dicendo: "Questo è
il mio corpo dato per voi, consegnato per voi". Torno
qui perché qui è il cuore e lo riprenderete
nei prossimi incontri. Vi ho ricordato quattro verbi: Gesù
"prese" il pane, "disse" la benedizione,
lo "spezzò", lo "diede". Questa
è l'Eucaristia, questi sono i gesti eucaristici,
questo è il contenuto del segno, "prese il pane,
disse la benedizione, lo spezzò, lo diede".
Se voi leggete attentamente i Vangeli, troverete una sola
differenza; in Matteo e Marco c'è "prese il
pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede",
nel Vangelo di Luca e in Paolo I Corinzi, c'è "prese
il pane, rese grazie", c'è solo questa differenza.
Questo perché il Vangelo di Marco e il Vangelo di
Matteo ricordano l'Eucaristia avvenuta a Gerusalemme soprattutto
in un contesto ebraico, in cui ci si esprimeva così:
"dire la benedizione"; Luca e Paolo ricordano
piuttosto l'Eucaristia come ormai era celebrata ad Antiochia,
dove si preferiva il termine in greco, eucaristesas,"rese
grazie", da cui Eucaristia. È la stessa cosa
"dire la benedizione" o "rendere grazie",
una è una maniera giudaica di dire una cosa, l'altra
è la maniera greca, dei cristiani provenienti dal
paganesimo, però i verbi sono quattro "prese
il pane, disse la benedizione o rese grazie, lo spezzò,
lo diede".
E vi faccio percepire soltanto degli echi: prese il pane,
"rese grazie", eucaristesas, da cui il nome Eucaristia.
Noi la chiamiamo Eucaristia che significa azione di grazie",
rendimento di grazie. Ma è da quel verbo; nella variante
ebraica "disse la benedizione" che per molto tempo
l'Eucaristia è anche stata chiamata Benedizione.
Ma è anche detto: "lo spezzò", e
per molto tempo l'Eucaristia è stata chiamata "frazione
del pane", spezzamento del pane, come la chiamano gli
Atti degli Apostoli, Riuniti insieme per spezzare il pane.
Vedete, in questi quattro verbi ci sono i nomi che noi abbiamo
dato all'Eucaristia. L'unico che non c'è è
Messa, che è un termine latino che venne tardi e
che non sappiamo neanche cosa significasse. Questa è
la verità, non sappiamo cosa volesse dire Messa.
Ci sono molte interpretazione ma nessuna convincente. Non
a caso dunque noi oggi quando parliamo dell'Eucaristia,
parliamo di eucaristia, parliamo soprattutto di frazione
del pane, parliamo anche eventualmente di Cena del Signore,
pasto del Signore.
Ed è come se Gesù avesse voluto dire: "Io
con questo gesto voglio anticiparvi quello che succederà
domani. Domani la mia vita sarà violentemente tolta,
il mio corpo sarà spezzato, troverà la morte,
ecco, io ve lo narro con un gesto, piglio il pane e lo spezzo,
un gesto che significa una vita spezzata, ve lo do da mangiare
e vi dico "Questo è il mio corpo dato per voi".
Poi prese il calice e disse: "Questo è il calice
del sangue della nuova alleanza, versato per voi e per le
moltitudini in remissione dei peccati". Cioè
Gesù si ricorda che Mosè al momento di stipulare
l'alleanza, fece una cosa straordinaria, il ricordo è
nel capitolo 24 dell'Esodo, fece costruire un altare, poi
fece un grande sacrificio di animali e il sangue di questi
animali lo fece mettere in bacinelle davanti all'altare.
A quel punto prese una frasca di issopo, la intinse nel
sangue, spruzzò il sangue sull'altare e poi sulla
gente. Che cosa significa un gesto simile? A noi sembrerebbe
addirittura orrido, un gesto di una crudeltà per
noi terribile. Eppure Mosè dicendo: "Io vi do
il sangue, vi aspergo col sangue",si rifaceva alla
convinzione che il sangue per gli ebrei è la vita.
Ebbene, se io metto il sangue sull'altare dove sta Dio e
lo metto su di voi che cosa dico? Dico che c'è un'unica
vita tra Dio e voi, ecco l'alleanza , ecco l'alleanza. Questa
era l'alleanza. E Mosè disse: "Questo è
il sangue dell'alleanza che il Signore oggi fa con voi".
Gesù usa le stesse parole, prende un calice di vino:
"Questo è il calice, aggiunge, della nuova alleanza,
cioè l'alleanza ultima e definitiva, sangue che è
sparso per le moltitudini. Ecco il gesto. E poi dice: "Fate
questo in memoria di me". Ogni volta che voi volete
ricordarmi, che voi volete partecipare a questo evento che
accadrà domani, che accadrà sul calvario,
voi nelle vostre chiese, nelle vostre assemblee, fate il
gesto che io stasera ho scelto come segno di qualcosa che
avverrà concretamente. Certo è un segno, non
c'è un corpo ma c'è del pane; non c'è
del sangue ma c'è del vino, ma attraverso quei segni
si vuol indicare un fatto preciso avvenuto una volta per
sempre, il 7 aprile dell'anno trenta quando Gesù
è stato ucciso, condannato, lui il giusto in un mondo
ingiusto.
Gesù sceglie del pane e del vino. Guardate che già
questa può essere una grande stranezza. Gesù
prende del pane, il pane azzimo che gli ebrei mangiavano
in quella settimana di pasqua, e prende un calice, una coppa
di vino, due ingredienti della cena pasquale. Gli ebrei
per mangiare la cena, facevano pane azzimo e c'era una coppa
di vino la quale veniva bevuta dai commensali. Immaginatevi
per un momento di non essere dei credenti abituati all'Eucaristia,
fate uno sforzo, vi fa bene pensare che non siete dei cristiani
e che entrate semplicemente in una assemblea, soprattutto
se questo avvenisse in una maniera, come potrei dire, molto
umana, e il meno possibile da pontificale, ma nella semplicità
di una Eucaristia celebrata con serietà. Immaginatevi,
voi vedete innanzitutto del pane.
Non so se ci avete mai pensato, ma il pane è qualcosa
che viene dalla terra: nella Bibbia si dice che Dio fa venir
fuori dalla terra il pane, e quindi il pane è il
frutto della terra. Frutto della terra è piuttosto
il grano, ma il pane, come giustamente dice la preghiera
che oggi si fa per la presentazione dei doni nella nostra
Eucaristia, è frutto della terra e del lavoro. Il
pane significa natura e cultura. Anche in una società
come la nostra che cosa evoca il pane, soprattutto in questo
bacino del Mediterraneo?. Il pane indica il nostro cibo
tirato fuori dalla terra, è la creazione che ci dà
il grano, ma una creazione che ha bisogno di tutto il lavoro
dell'uomo, perché il pane significa arare la terra,
significa seminare il grano. significa certamente la natura
con la pioggia, ma significa poi aspettare, aspettare, mieterlo,
batterlo nell'aria come facevano gli ebrei allora con il
ventilabro, poi macinarlo e farlo diventare farina, e poi
la farina viene impastata per fare il pane. Ma immaginate
un momento questa straordinaria creatività di Gesù
nel pensare che l'atto estremo della sua vita potesse essere
rappresentato dal pane.
Il pane anche nel nostro linguaggio, è la necessità.
Quando uno ha fame noi diciamo: non ha pane; e quando si
vuol dire un tempo di carestia, diciamo: un tempo in cui
non c'era pane. E' la necessità, senza pane non viviamo.
E Gesù per l'Eucaristia ha voluto questo. Guardate
che è qualcosa di straordinario, di straordinario,
frutto della terra e del lavoro dell'uomo, natura e cultura,
qualcosa in cui è presente la creazione ma in cui
è presente tutta l'opera dell'uomo.
Seconda cosa, ha preso il vino. E il vino, al contrario
del pane, non è necessario. Il pane è la necessità,
senza pane si muore, senza vino si sta benissimo, ma il
vino rappresenta la gratuità. E all'interno della
nostra cultura il vino rappresenta, pensateci bene, ciò
che rende lieto un momento, è l'ebbrezza, è
l'eccesso. Non si ha bisogno del vino per vivere, ma due
dita di vino permettetemi! L'astemio di per sé confessa
che non vuole la gratuità, vuole stare solo nel regime
della necessità, mangio perché devo mangiare,
mangio per nutrirmi. Ma questo lo fanno anche le bestie;
le bestie non bevono il vino. Non ci avete mai pensato?
Il pane lo mangiano come noi, perché senza pane muoiono.
Il vino rappresenta la gratuità, è uscire
dal regime del bisogno. Succede anche nel rapporto di amore
tra un uomo e una donna. Non avete mai pensato come la vostra
vita da sposati sarebbe desolata se fosse una vita in cui
semplicemente voi vivete di ciò che è dovuto
dall'uno all'altro, i diritti degli uni verso gli altri.
Ma proprio la vostra vicenda, dal giorno in cui vi siete
innamorati, è stata un'esperienza di gratuità,
d'innamoramento. Pensate al giorno in cui vostro marito
vi ha detto "Mia regina" e magari eravate una
povera contadinotta della Brianza, e voi gli avete detto:"Mio
principe"! La gratuità del sogno che avviene
tra gli innamorati. Il vino rappresenta questo, rappresenta
la gioia, l'ebbrezza nuziale. Pensate a tutta la serie di
poemi di amore che noi abbiamo in Egitto, in Mesopotamia
o in culture minori, sempre si paragona l'amore al vino.
Pensatei nella bibbia al Cantico dei cantici "Le tue
carezze" si dice " sono migliori del vino".
E' scandaloso, ma c'è un messaggio nel pane e nel
vino. Certo diventano Corpo e Sangue di Gesù, ma
quando noi andiamo a ricevere il Corpo e il Sangue dobbiamo
anche renderci conto che quel che ci chiede l'Eucaristia
è di offrire noi il nostro corpo e il nostro sangue.
E quando io dico "corpo di un uomo" dico qualcosa
che viene dalla natura ma qualcosa anche che si è
costruito con la cultura. L'uomo non esiste più a
livello solo di natura, forse non è mai esistito,
tantè che gli antropologi dicono che il vero uomo
è venuto il giorno in cui è uscito dal regime
semplicemente animale, e per mangiare ha fatto di una pietra
una tavola, perché la cultura nasce con la tavola.
Nell'Eucaristia "rendiamo grazie" -è il
nome tipico dell'Eucaristia- rendiamo grazie per la creazione,
per il lavoro dell'uomo, per ciò che è necessario
"Dacci oggi il nostro pane quotidiano" il pane
di cui abbiamo bisogno. Ma abbiamo bisogno anche della gratuità
di cui è segno, simbolo il vino. E allora voi capite
perché all'interno dell'Eucaristia avviene la presentazione
delle offerte::"Benedetto sei tu, Signore, Dio dell'universo,
dalle tue mani noi abbiamo ricevuto questo frutto della
terra e del lavoro, lo presentiamo a te, perché diventi
cibo di salvezza"- "Benedetto sei tu, Signore,
per il frutto della vite". La prima preghiera eucaristica,
la più antica che abbiamo nella Didaché (60/70
d.C.).si esprime così: "sii benedetto per il
vino, per la vigna di Davide tuo servo". E voi capite
perché Gesù, passando il calice ha detto sì
"bevete, questo è il mio sangue", ma ha
detto anche : "io non berrò più del frutto
della vite fino a che non lo berrò con voi, nuovo,
nel Regno di Dio". Di nuovo il linguaggio simbolico:
pensate che davvero di là berremo il vino?. "Lo
berrò con voi nel Regno" dice Gesù. Perché
la gioia del Regno è rappresentata dal vino.
Secondo
elemento: tavola e comunità. Gesù ha preso
il pane, ha preso il vino, ma stando a tavola. Noi dobbiamo
renderci conto che pane e vino sono legati come cibo alla
tavola, a tal punto che nel Nuovo Testamento Paolo parla
della tavola del Kyrios, la tavola del Signore, perché
la tavola esprime la commensalità, l'unione, la comunione,
la comunicazione... Gli antropologi ci dicono che se c'è
un luogo in cui il linguaggio si è elaborato è
la tavola. Pensate al giorno in cui degli uomini, anziché
correr dietro ai cavalli, farli cadere da un dirupo, assalirli
con pietre e coltello e poi ognuno mangiarne nel proprio
angolo una coscia, hanno pensato "Mettiamo una pietra
in mezzo, aspettiamoci a mangiare, mettiamoci sopra tre
mele, facciamo bruciare un po' di carne da cavallo e mangiamolo
insieme". E' la tavola che insegna ciò che è
buono e ciò che è cattivo. Lo sanno soprattutto
le madri. Voi dite al abmbino."Questo è buono
e questo è cattivo". Ma chi ve l'ha insegnato?
Se un bambino a sei anni dice "Quello è buono
e quello è cattivo", usa questi due aggettivi,
buono e cattivo, è perché li ha imparati dalla
madre a partire dal cibo. I concetti morali vengono elaborati
da quello che noi usiamo con la lingua e con la bocca nel
mangiare. Buono e cattivo dipendono da come noi abbiamo
imparato a mangiare e a dire che una cosa è buona
o cattiva. La tavola è il luogo dell'elaborazione
del linguaggio umano. Pensate poi al momento del cotto e
del crudo...Qualcuno di voi avrà letto questo libro
straordinario "Cotto e crudo" di Levi Strass.
Pensate al giorno in cui gli uomini hanno deciso che, invece
di mangiar crudo un animale, lo potevano cuocere. Il pane
è una cosa cotta.. Voi trovate nell'Eucaristia tutti
e tutto attorno alla tavola. La cultura si è sviluppata
a tavola, la tavola è il mobile sociale, comunitario
per eccellenza.
Ma
la tavola dell'Eucaristia è la tavola del Signore,
è Lui che ci invita, non è una nostra tavola,
è il Signore che ci invita alla tavola, ed è
la tavola della "koinonia". Vedete, come dobbiamo
ringraziare il Concilio e la riforma liturgica che, senza
negare l'aspetto del sacrificio pure evocato dall'altare,
hanno ridato all'altare l'immagine di una tavola a cui siamo
commensali. Chi di voi è anziano si ricorda che il
vecchio altare non aveva nulla della tavola, il prete stava
girato verso un Dio in alto, voltandoci le spalle. L'altare
non era una tavola, era solo un'ara su cui avveniva il sacrificio,
l'offerta. Gesù non ha istituito su un'ara l'Eucaristia,
m a tavola coi suoi. Questo, lo ripeto, senza dimenticare
che a quella tavola si evoca il sacrificio avvenuto sulla
croce, avvenuto sul Calvario. Non va persa quella dimensione.
Ma è il Nuovo Testamento, è Paolo in 1 Corinti
che parla della tavola del Signore, della cena del Signore,
la tavola presieduta da Lui. E noi a tavola diventiamo davvero
commensali di Dio. L'Eucaristia ci dice anche questo.
Poi pensate ad altri elementi. Quel pane e quel vino diventano
nostro cibo, e qui c'è tutto il discorso scandaloso
di Gesù: "La mia carne è vero cibo, il
mio sangue è vera bevanda" Giovanni parla di
mangiare: si mangia qualcosa di solido e lo dobbiamo mangiare
coi denti. Capite perché la riforma liturgica ha
indicato che dovevano scomparire le ostie? Perché
le ostie non danno il senso del mangiare. Ricordo che quando
ero piccolo, addirittura ci facevano fare gli esercizi per
non toccare coi denti l'ostia, vi ricordate? Gesù
dice:"chi mangia la mia carne" e il verbo che
usa Gesù è "masticare", un'esperienza
che nell'Eucaristia dobbiamo fare. Ecco perché il
Concilio ci chiede che non siano ostie ma che sia veramente
pane e che si senta il pane in bocca. Capisco che le ostie
sono comode. La Chiesa Cattolica chiede che sia pane azzimo,
com'era quello che Gesù ha mangiato, e vi assicuro,
ne sappiamo qualcosa nella nostra comunità, che il
pane diventa subito duro e quindi il giorno stesso in cui
facciamo l'Eucaristia uno di noi deve impastare, fare il
pane, senza lievito, farlo cuocere, calcolare il numero
di persone... Capisco che non è una cosa facile.
Perlomeno oggi fanno delle ostie che sono più spesse,
perché deve esserci l'esperienza del mangiare, nell'Eucaristia
si deve mangiare, non si deve ricevere la particola e sentire
qualcosa di evanescente. Sono le parole di Gesù che
ce lo chiedono: "Chi mangia la mia carne
il mio
corpo è vero cibo
" Voi sapete che alla
fine di quel discorso, "molti se ne andarono e non
andavano più con Gesù", tanto era scandaloso.
E Gesù disse: "Volete andarvene anche voi?"
A quelli che restavano. Mangiare e bere, solido e liquido,
notate la valenza antropologica importante che noi sperimentiamo
ogni giorno, mangiando e bevendo. Il realismo del pane e
del vino è importante. Gesù d'altronde ha
detto: "Prendete e mangiate, questo è il mio
Corpo", non ha detto "Prendete e deglutite con
attenzione", no:"prendete e mangiate"...
Questo non per mancanza di rispetto,ma per la consapevolezza
che c'è un pane che noi dobbiamo mangiare, che c'è
un vino che noi dobbiamo bere.
La fase successiva è la digestione, non ci avete
mai pensato? Vedete, la nutrizione è una operazione
volontaria; per noi uomini. È involontaria finché
noi siamo degli infanti, andiamo direttamente al seno della
madre e succhiamo, e non c'è una volontà,
c'è un istinto, ma, diventati adulti, siamo noi che
decidiamo di aprire la bocca e di mangiare, aprire la bocca
e bere, anche nella Eucaristia. Ma poi nell'Eucaristia e
nel mangiare avviene una operazione che non dipende dalla
nostra volontà, la digestione, quella non dipende
da noi.. Pane e vino eucaristici seguono il cammino di ogni
cibo e, nel digerire, il pane e il vino sono trasformati
e nella Eucaristia, vedete, contemporaneamente a questo
movimento in cui pane e vino sono trasformati perché
sono digeriti, avviene il processo inverso, noi siamo trasformati
in Corpo di Cristo. I Padri della Chiesa, Giovanni Crisostomo
per esempio, parlano di metabolismo eucaristico. Il metabolismo
eucaristico consiste in questo: una volta che io ho mangiato
il pane, corpo di Cristo e ho bevuto il vino, sangue di
Cristo, io sono trasformato nel Corpo e nel Sangue di Cristo
a tal punto che "non sono più io che vivo ma
è Cristo che vive in me". Sant'Agostino dice:
"Cristiani, se volete vedere l'Eucaristia e capirla,
guardate quel che c'è sull'altare, sull'altare ci
siete voi; sull'altare c'è il Corpo di Cristo, voi
diventate Corpo e Sangue di Cristo nell'Eucaristia".
Ma,
ancora, l'Eucaristia ha un suo ritmo. La Chiesa primitiva,
voi sapete, la celebrava la domenica, il giorno del Signore
e basta. Non c'era l'Eucaristia quotidiana. L'Eucaristia
quotidiana avviene in occidente e avviene nel secondo millennio,
l'oriente cristiano ortodosso conosce solo l'Eucaristia
domenicale. Comunque che l'Eucaristia sia domenicale, una
volta la settimana o che sia quotidiana, una volta al giorno,
c'è un ritmo continuo in cui si alternano un digiuno
eucaristico e un' assunzione dell'Eucaristia. Vedete la
sapienza della Chiesa Cattolica, adesso purtroppo ce n'è
meno, diceva che se uno fa la Comunione la fa una sola volta
al giorno e non di più. L'Eucaristia è una
cosa seriissima, non si piglia come il cappuccino in ogni
momento. E c'è un ritmo molto importante, che è
il ritmo educativo che ci chiede di stare attenti a bulimia
e ad anoressia. Quante volte nella mia vita ho visto persone
bulimiche eucaristiche, persone che vorrebbero sempre fare
l'Eucaristia e non si accorgono che la loro è una
patologia, è una bulimia eucaristica... E altri che
arrivano a non volerla fare mai, l'anoressia eucaristica.
L'Eucaristia invece ha questo ritmo che combatte l'anoressia
e combatte la bulimia, perché Eucaristia è
render grazie per ciò che Dio ci dà, ma si
rende grazie in una sinfonia di tempo. Quelli che conoscono
un po' la musica sanno che la musica è fatta di silenzi
e di note, e che i silenzi sono necessari perché
altrimenti la musica sarebbe rumore. L'Eucaristia nella
nostra vita deve essere l'antidoto all'anoressia e alla
bulimia e guardate, ve lo dico per esperienza, le persone
che hanno problemi di anoressia nella vita sovente finiscono
per avere problemi anche verso l'Eucaristia. Ho seguito
molte persone, ve lo dico, con patologie molto gravi di
anoressia e che pretendevano di risolvere l'anoressia con
la bulimia eucaristica, volendo tenere l'Eucaristia presso
di loro in casa, comunicarsi più volte e oscillare
ai limiti della morte. E attenzione, a volte la bulimia
diventa anche rifiuto dell'Eucaristia, perché l'Eucaristia
educa a mangiare e a bere, l'Eucaristia è l'antidoto
all'aggressione al cibo, a mangiare consumando, a mangiare
con la bulimia, un malattia da cui nessuno di noi è
esente. Voi sapete che dal giorno dello svezzamento sintomi
di bulimia o di anoressia ci accompagnano tutta la vita.
L'Eucaristia è un antidoto, l'Eucaristia è
una educazione a mangiare ringraziando Dio, senza consumare
il cibo con voracità e senza disdegnarlo nell'anoressia.
Guardate, un credente, un cristiano, una cristiana che siano
eucaristici sono persone che hanno un grande rapporto di
pazienza con il cibo e sanno sempre condividere il cibo;
una persona che mangia per sé e ha un atteggiamento
bulimico non impara nulla dall'Eucaristia, perché
l'Eucaristia è tavola, ma una tavola di comunione...
E non dimenticate Paolo in I Corinzi, il primo rimprovero
sulla patologia eucaristica. Avete presente? "Molti
di voi vengono qui, ma questa non è più una
cena del Signore, perché alcuni tornano a casa che
hanno fame ed altri tornano a casa sazi, non vi aspettate
gli uni gli altri neanche per mangiare". Paolo con
la sua lettera propone la dottrina eucaristica che la chiesa
ci ripropone ogni giovedì santo nella seconda lettura
della messa.
E poi accenno a un' ultima dimensione: la condivisione ci
porta alla festa. Il vero pasto è un banchetto, è
una festa, e l'Eucaristia è festa. A questo proposito
dovremmo iniziare un altro cammino antropologico, spero
che ve lo faccia qualcuno nei prossimi incontri. Quando
voi fate una festa, perché voi la fate? Pensateci
bene, cominciando dalle feste più vostre. E' la nascita
di vostro figlio? È il matrimonio ? E' l'anniversario
del matrimonio? Sono le nozze d'argento? E' il compleanno
del figlio? Ebbene, fate un pasto attorno alla tavola e
sentite il bisogno di evocare. C'è la tavola, c'è
il cibo della necessità, c'è la bevanda della
gratuità, c'è l'abbondanza della festa e c'è
la parola di qualcuno che evoca: "Ah, tu sapessi quando
sei nato... Eh, adesso hai vent'anni, ma che fatica allevarti...
Eh, come mi sei costato..." oppure "Oh, guarda
ti ho fatto con una semplicità incredibile; come
l'acqua della cascata sei venuto fuori ...". Evochiamo.
Anche nel pasto eucaristico evochiamo e ricordiamo. Come
dice Paolo: "voi ricorderete la morte e la risurrezione
del Figlio di Dio". E non è un caso che dopo
l'istituzione diciamo:"Annunciamo la tua morte, Signore,
proclamiamo la tua resurrezione, attendiamo il tuo ritorno".
E tutta la liturgia della Parola è una evocazione.
Se voi fate attenzione al cosiddetto Canone, l'Anafora,
la Preghiera Eucaristica, notate che si dice: "Dio,
fonte di ogni santità, tu hai creato il mondo, tu
hai mandato tuo Figlio, il quale passò facendo il
bene, ha dato la libertà, ha guarito. Prima di passare
da questo mondo a Te, liberamente, per amore nostro si è
offerto alla croce. La sera della sua passione ...".
Una grande evocazione, come dicono gli ebrei a Pasqua è
un' aggadà, una narrazione pasquale. In cui noi ricordiamo
la Pasqua di Cristo.
E mi fermo. Dell'Eucaristia io vi ho parlato a livello antropologico,
ma io spero che voi abbiate capito che queste valenze antropologiche
sono quelle che fanno il segno dell'Eucaristia. Se noi non
le capiamo diventa un segno noioso l'Eucaristia. A volte
ci lamentiamo: "Ma i nostri figli non vengono più
in chiesa e si annoiano alla Messa",. Chiediamoci:
"abbiamo fatto loro capire queste cose? Lo sanno che
l'Eucaristia è questo? Lo sanno? Facciamo di tutto
perché l'Eucaristia trasmetta questi messaggi? Perché
se non li trasmette, uno che entri vede un calice, vede
un piattino, dei gesti e pensa: "Come si fanno magie
altrove, se ne fanno anche qui". Vi ricordate il film
"Il pranzo di Babette"? Quello è il primo
film da vedere per capire bene l'Eucaristia. Forse i più
vecchi di voi ricorderanno. Un film straordinario, un film
francese, che narra di un gruppo di amici che un giorno
va a fare una passeggiata su un massiccio francese, e si
dicono, questi amici: "ognuno porti qualcosa".
Un film bellissimo! Poi aprono la tovaglia , si mettono
sull'erba, ognuno tira fuori le sue cose, e c'è uno
che conduce questi amici con particolare intelligenza, vede
un amico estrarre una scatola di tonno e lui comincia a
narrare: "Questo tonno pescato nel Mediterraneo, poi
cotto, poi tagliato, messo con olio di oliva e poi messo
in scatola...". C'è chi tira fuori la scatoletta
di ananas: "Ah, l'Africa, l'ananas preso, tagliato,
messo... " ... Io poi le altre cose non le ricordo
più bene, ma immagino sempre che ci sia qualcuno
che ha portato un ragù, perché per me il ragù
è la quintessenza di natura e cultura; fare un ragù
è l'esperienza spirituale più alta, io credo,
che uno possa avere, no, non ve lo narro perché l'ho
narrato altre volte, ma chi sa fare bene il ragù
conosce che cosa occorre dal battuto di cipolla agli aromi,
messi uno dopo l'altro ... Ecco, se noi pensiamo a tutte
queste cose antropologicamente, come in quel film, ci rendiamo
conto di che cos'è quel che mangiamo. Nell'Eucaristia
noi portiamo questo, noi portiamo quel che siamo, quel che
mangiamo, quel che noi facciamo, il nostro lavoro, i nostri
sentimenti, le nostre fatiche, le nostre attese, le nostre
speranze, le gioie come ebbrezza che abbiamo ogni tanto
come vino, le necessità quotidiane di una vita che
a volte è pesante di cui il pane ci ricorda l'amarezza
e la fatica. L'Eucaristia è questa, trasfigurata
da Gesù, in suo Corpo e in suo Sangue. Allora il
cammino fatto stasera ci fa capire perché gli evangelisti
hanno messo in evidenza i banchetti di Gesù, perché
in quelle poche pagine del Vangelo si sono compiaciuti di
dirci che Gesù sedeva alla tavola dei peccatori.
La piccola Teresina, voi lo sapete, la piccola Teresina,
questa grande teologa che io amo tra tutti i santi recenti,
scrive nel suo diario- pensate lei, carmelitana, che sta
morendo di tisi - scrive: "la cosa più straordinaria
di Gesù è che lui sedeva a tavola, e che sedeva
a tavola coi peccatori". Guardate che stare a tavola
è un'operazione di grande amicizia. Adesso purtroppo
siamo in una società dove si mangia al self-service,
nessuno sa chi gli mangia vicino, ognuno col suo vassoio...
ma questa è la barbarie... I pasti si consumano,
ma non è più vita umana. Uno che viva così,
capisco, va compatito anche se è barbaro e se non
è più capace di sentimenti umani... Come può?...
Al contrario invece se uno vive con la consapevolezza delle
cose che, come dice la preghiera del cosiddetto offertorio,
vengono dalla terra e dalla cultura e noi le diamo a Dio
perché siano trasfigurate per noi in quello che sarà
il Regno, cieli nuovi e terra nuova. Di questa natura trasfigurata
noi sappiamo che l'Eucaristia è la primizia e la
profezia. Io spero in un giorno in cui, anziché ricorrere
a tanti concetti filosofici, transustanziazione, transignificazione,
si piglierà quel termine straordinario che usa il
Nuovo Testamento: trasfigurazione. Il pane e il vino trasfigurati
in Corpo e Sangue di Cristo, tutta la terra trasfigurata
nel Regno di Dio. L'Eucaristia porta questo messaggio e
questa primizia.
Concludo.
Io sono di quelli che l'Eucaristia non si sente di viverla
tutti i giorni, è una cosa che mi dà le vertigini.
Ve lo confesso. Perché quando si celebra l'Eucaristia,
io penso che nell'Eucaristia c'è tutta la vita del
Figlio, la vita del Figlio presso il Padre, la vita del
Figlio che viene in questo mondo, la sua nascita, la sua
vita umana, la sua morte, la sua resurrezione, la sua ascensione
al cielo, la sua intercessione presso il Padre, la sua venuta
gloriosa, tutto è nell'Eucaristia... E poi penso
che nell'Eucaristia devo fare entrare la mia vita, ciò
che amo, i miei amori così maldestri e a volte così
sbagliati, devo fare entrare quello che faccio tutti i giorni
con fatica, devo fare entrare anche quello che mi dà
gioia e che è ebbrezza, devo fare entrare l'amicizia,
e devo fare entrare la solidarietà con gli uomini,
e devo fare entrare il mio spezzare il pane coi poveri,
perché l'Eucaristia mi ricorda che i beni della terra
sono per tutti, non solo per alcuni privilegiati, e che
l'Eucaristia, sacramento di Cristo, mi chiama al sacramento
del povero... C'è da tremare, ma c'è anche
da adorare e da stupire per un dono così grande.
In quel pane e in quel vino, trasfigurati in Corpo e Sangue
di Cristo, in una sintesi di tutta la vita del Figlio, io
devo mettere la mia povera vita e la vita dei miei fratelli
e delle mie sorelle. Questa è l'Eucaristia. E voi
capite perché, dicevo all'inizio, che è davvero
la sintesi di tutta la nostra fede, di tutta la nostra speranza,
di tutta la nostra carità. Ma per dire questo, ci
sono volute realtà umane: il pane, il vino, una tavola,
il mangiare insieme, qualcuno che narra e ricorda, il canto,
la festa... L'Eucaristia è festa.
Milano,
23 febbraio 2005
Parrocchia di S. Giovanni in Laterano
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