Diario
di un curato di città
Risiede nel
convento adiacente alla parrocchia di San Francesco di Paola,
in via Montenapoleone, dove le feste sono tappeti rossi
e lustrini e si celebrano sfilando, se si può, con sacchetti
gonfi di lusso. In un'enorme palla appesa tra gli addobbi
è camuffato un altoparlante, diffonde a ritmo incessante
Ay, ay, ay it's Christmas di Ricky Martin. Don Angelo dalla
poltrona non sente, sorride. «Hanno ucciso il Natale nelle
vetrine, è vero, ma lo ritroveranno nel Vangelo e sarà di
nuovo una rivoluzione».
Anni
83, parroco di lungo corso tra Lecco e Milano e soprattutto
poeta e scrittore, Don Angelo Casati ha un'espressione mite,
sempre conciliante. Basta però leggere quel che scrive per
capire che per lui potrebbe valere la definizione che a
volte si usa a proposito dei modi dolci e ostinati dei gesuiti:
pugno di ferro in guanto di velluto. «No, non appartengo
a nessun ordine, però visto che Papa Francesco è gesuita,
potrebbe essere un complimento».
In
libreria Casati esce per Il Saggiatore con "Il sorriso
di Dio", un'antologia di suoi scritti. Il titolo, ammiccante,
inganna. «È stato l'editore a scegliere così, per la verità
io avrei voluto intitolarlo «Diario di un curato di città»,
che poi è il titolo di una delle tre raccolte contenute
nel libro». Dove versi e riflessioni quasi sempre partono
dalle esperienze di Casati tra i fedeli, tra la gente, in
strada.
Padre
impiegato, madre casalinga, nato in un palazzo di viale
Abruzzi oggi celebre per il Bar Basso, Casati entrò in seminario
a 13 anni, ebbe la vocazione a 18 «chiamato dall'umanità
di Gesù». Altre figure destinate a segnarne il sacerdozio
arrivarono dopo. «David Maria Turoldo mi convinse a scrivere
versi, io ero ammirato dei suoi. Era un uomo con un vangelo
in una mano e il quotidiano con le notizie fresche nell'altra.
Sapeva che la chiesa doveva essere dentro il mondo, in ascolto,
aperta. Una volta disse: basta che uno sia un uomo perché
tu ti debba fermare. È una lezione che non ho mai dimenticato».
E
poi il Cardinale Martini. «Un'anima luminosa, oltre che
un pastore di immensa statura. Mi affascinò da subito perché
era un biblista, sapeva ripartire dalla parola, ridare smalto
al meraviglioso affresco che abbiamo appesantito nei secoli».
Casati
ha vissuto da vicino (una volta da ospite) anche l'idea
di Martini della Cattedra dei non credenti, incontri con
personalità, atee e non, a proposito dei grandi dubbi universali.
«Martini
aveva curiosità degli altri, non intendeva riempire le coscienze
come vasi. Voleva una chiesa che parlasse solo dopo aver
ascoltato». Nel libro una prostituta scrive al "caro Don
Angelo" dopo aver visto un frate correre in via Palestro.
«E questa donna invidia al frate la sua libertà. Bisogna
tornare a correre nelle strade. Gesù era così, libero di
correre». In un altro episodio del libro viene in mente
il tentativo dello scorso novembre della diocesi ambrosiana
di censire le scuole cosiddette pro-omosessuali. «Una bambina
venne da me a confessarsi. I genitori avevano divorziato.
Lo ricordo come fosse ieri. E a un certo punto mi dice che
suo padre è omosessuale e Dio non lo perdonerà. Una chiesa
che non sa rispondere alla sofferenza di una bambina è inutile.
L'amore di Dio va oltre l'omosessualità, se ritornassimo
alle parole del Vangelo non parleremmo neppure dell'argomento».
Ne
"Il sorriso di Dio" ricorrono le parole di Martini,
quelle di Angelo Scola mai. «Martini è stato un pastore
con un passo svelto, era difficile stargli dietro». Di recente
l'arcivescovo Scola ha accusato Milano, irritando il sindaco
Pisapia, di non avere un'anima. «Basta andare in periferia
per trovarla — dice don Casati — Ho conosciuto una signora
che dopo aver perso il lavoro ha fondato un'associazione
che si chiama Reagire. Solo le cose vive, con un'anima,
reagiscono».
Simone
Mosca
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