LA
LUNA ROSSA E IL FIORDALISO
La
luna è un globo rosso in un cielo di agosto prosciugato,
senza parole. Soffocato per l'assedio del caldo, per l'asfissia
stordente dell'arsura.
La finestra nella notte è aperta, respira l'attesa.
Forse ognuno di noi ha, questa notte, una finestra in attesa.
O una porta molto segreta.
Guardo la luna, palla di fuoco, segno inatteso di colore
e di vita in un cielo prosciugato.
Stento a prendere sonno, forse perché la luna incrocia
i pensieri e le emozioni di un giorno dentro un Convegno.
Finalmente, mi dico, un Convegno su una parola del Vangelo
senza contaminazioni ecclesiastiche, senza cedimenti a titoli
che orecchiano l'ecclesialese. No, semplicemente evangelo:
"da questo conosceranno che siete miei discepoli".
Lui, il Rabbi di Nazareth aveva dato segno di riconoscimento,
inequivocabile: " se avrete amore gli uni per gli altri".
Come poi possa essere accaduto che lungo i secoli altre
categorie, e non questa, si siano più o meno furtivamente
introdotte come segno di riconoscimento, è difficile
da interpretare.
Aveva
anche aggiunto: "amatevi come io vi ho amati. Io non
vi chiamo più servi ma amici".
Non è facile per noi immaginare che cosa evocasse
nella notte questa parola, nel cuore di Gesù e dei
suoi discepoli, in quell'ultima cena. La parola "amici"
dentro le parole ultime, quelle che si lasciano, rare, come
testamento.
La finestra è in attesa. E non sarà, mi dico,
anche l'amicizia una luna rossa in cieli spenti e immobili?
Non sarà anche l'amicizia la prima pioggia del salmo?
E quindi una benedizione.
"Passando per la valle del pianto
la cambia in una sorgente;
anche la prima pioggia
l'ammanta di benedizioni" (Sl 83,7)
Fu
così che abbiamo consumato ore ed ore nel gruppo
di studio a parlare di amicizia.
E non era stata forse l'amicizia a condurmi al convegno?
La voce di un amico che insisteva al telefono e poi il balenare
del nome di una amica che avrebbe guidato il nostro gruppo
di studio, il desiderio di rivederla, di riudire la sua
voce.
Scrivere oggi di amicizia non è senza rischio. E'
ancora largamente diffusa, forse prevalente, l'opinione
di coloro che chiudono l'amicizia nella sfera ambigua della
separazione, della privatezza, di un intimismo esasperato.
Fuori dal disincanto di un realismo smagato.
Ci si può chiedere - l'interrogativo era nella scheda
di Gabriella Caramore che apriva la riflessione - "come
mai questa dimensione, così preziosa nell'antichità
e così innovativa in ambito biblico, sia stata lasciata
deperire fino a farla diventare quasi un optional nei rapporti
umani, una modalità non rilevante, non incisiva,
non necessaria nella vita delle persone se non nella loro
fase adolescenziale e giovanile, mentre nella vita adulta
si smarrisce quasi del tutto nel mosaico delle molteplici
e abbastanza intercambiabili relazioni interpersonali".
Non dovremo forse ammettere che "nella storia cristiana
certamente le idee di fraternità e fratellanza sono
prevalse su quelle di amicizia, come derivazione dal principio
incontestabile che tutti siamo figli di un unico Padre,
e dunque inevitabilmente fratelli e sorelle"?
L'immagine di fraternità - dobbiamo ammetterlo -
non andava impropriamente letta nell'ottica di un generale
appiattimento delle relazioni, un grigio livellamento. C'è
il campo di grano, ma c'è anche il fiordaliso: così
Dietrich Bonhoeffer in una sua poesia carica di suggestione.
Scrive:
A fianco del campo di grano che dà nutrimento,
che gli uomini rispettosamente
coltivano e lavorano
cui il sudore del loro lavoro
e, se bisogna,
il sangue dei loro corpi sacrificano,
a fianco del campo del pane quotidiano
lasciano però gli uomini
fiorire il bel fiordaliso.
Nessuno lo ha piantato, nessuno lo ha annaffiato,
indifeso cresce in libertà
e con serena fiducia
che la vita
sotto il vasto cielo
gli si lasci.
A fianco di ciò che è necessario,
formato dalla grave materia terrena,
a fianco del matrimonio, del lavoro, della spada,
anche ciò che è libero
vuol vivere
e crescere in faccia al sole.
Non solo i frutti maturi
anche i fiori sono belli.
Se i fiori ai frutti
o i frutti servano ai fiori
chi lo sa?
E però sono dati ambedue.
Il più prezioso, il più raro fiore
- nato in un'ora felice
dalla libertà dello spirito che gioca
che osa, che confida -
è all'amico l'amico.
Sarebbe
affascinante ripercorrere la Scrittura Sacra alla ricerca
del binomio "campi di grano e fiordaliso".
Dentro le pagine dell'Antico Testamento basti evocare la
figura di Ruth, la donna moabita, donna senza più
marito. Non la piega l'insistenza di Noemi, la suocera,
anche lei donna senza più marito, che la prega di
restare nel paese di Moab, il suo, mentre lei fa ritorno
al paese di Giuda.
I vincoli della carne - così ci sembra di dire -
non spingevano oltre: ognuno portava legami con la propria
terra. Ma Ruth rispose: "non insistere con me, perché
ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché
dove andrai tu andrò anch'io, dove ti fermerai mi
fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo
e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai, morirò
anch'io e vi sarò sepolta "(Rt 1,16-17).
Campi
di grano e fiordalisi splendono incontaminati nella vita
di Gesù: il suo terreno non è a monocultura,
i suoi rapporti rivelano intensità e profondità
diverse.
C'è il suo rapporto con la folla, ne percepisce le
stanchezze, gli aneliti segreti, sente la mano che sfiora
il lembo del mantello. C'è il suo rapporto con i
discepoli, quelli che dividono giorni e notti con lui e,
tra questi, i dodici e, tra i dodici, Pietro, Giacomo e
Giovanni, testimoni del suo volto invaso di luce sul monte,
del suo volto in preda all'angoscia nell'orto, e, tra questi,
Giovanni, colui che attinge l'ultima confidenza.
Ci sono case, nella vita di Gesù, e c'è una
casa. Casa dell'amicizia, quella di Betania, casa di una
donna che, sfidando gli sguardi, osa ungerlo, asciugargli
i piedi con i suoi capelli, profumarlo nella sua tristezza
all'avvicinarsi dell'ora.
Casa di un'amicizia vissuta, poco narrata fra di noi, quasi
fosse pericoloso raccontare, sempre presi dal sospetto circa
il vuoto dei sentimenti. Ma perché, secondo certa
letteratura spirituale, il sentimento deve essere immaginato
campo del vuoto e dunque debolezza?
Casa di amici quella di Betania.
L'amico,
uno col quale non ti necessitano diluvi di parole, ne basta
anche una sola: "il tuo amico è malato".
L'amico, uno cui puoi anche muovere un rimprovero, dolce
ma non taciuto per il suo ritardo: "se tu fossi stato
qui
".
Amico uno che ti porta fuori dalla casa, là dove
tutti fanno compianto e lamento.
L'amico uno che non ha nulla da spartire con gli uomini
che sorvegliano gelidi i sentimenti: alla tomba "si
commosse profondamente, si turbò, scoppiò
in pianto".
L'amico, uno che ti fa guardare oltre: "io sono la
risurrezione e la vita. Credi tu questo? ".
L'amico, uno che, dove ci sono segni di morte, ti fa sognare
la gloria di Dio sulla terra: "non ti ho detto che
se credi vedrai la gloria di Dio? ".
L'amico, uno che non si rassegna a tutto ciò che
chiude e imprigiona la tua vita: "Lazzaro vieni fuori".
Uno che non ti lega, ti sbenda, ti vuole libero e in cammino:
"scioglietelo e lasciatelo andare".
Tradiremmo la storia di Gesù se raccontassimo dei
campi di grano e cancellassimo i fiordalisi.
E la storia di Gesù insegna. Ci svela quanto siano
state visioni di corto respiro quelle che seminavano per
lo più sospetti sull'amicizia, vista purtroppo come
fonte di amore egoistico, come fautrice di effetti laceranti
nel tessuto della comunità.
Viene
spontaneo chiedersi se lo scolorimento della fraternità,
diventata vuota parola, declamata dai pulpiti e dagli altari,
melassa indistinta, non sia da imputare anche allo scolorimento,
in campo ecclesiale e sociale del fiordaliso, dell'amicizia.
Di qui l'urgenza di riaprire la scuola, per troppo tempo
chiusa, dell'amicizia, e per una sorta di trascinamento
ne risentirà l'intero tessuto sociale.
Ridare colore e intensità all'amicizia significa
ridare colore ed intensità all'intera vita comunitaria:
significa infatti seminare dinamismi di superamento laddove
si vanno consolidando logiche di corporativismo, di ghettizzazione,
di identità escludenti, significa seminare dinamismi
di gratuità laddove dominanti diventano le logiche
della competizione e della produttività, significa
seminare il fascino del volto dell'altro laddove ossessiva
è l'assolutezza del proprio volto.
E' nel volto dell'amico infatti che mi è dato intravedere
una nuova terra, quella di una "alterità senza
differenze gerarchiche".
Di questi dirottamenti operati dall'amicizia sentiamo ogni
giorno più il bisogno: l'urgenza di immaginare una
terra che sta oltre la legge del dovere che sembra a volte
connotare famiglia, lavoro, società. Verso una terra
che risplenda, come dice Bonhoeffer, del miracolo della
libertà.
Una terra che sfiora il miracolo di Dio. Tant'è che
qualcuno ha osato il nome di sacramento per l'amicizia,
il più importante dei sacramenti secondo sorella
Maria dell'Eremo di Campello.
Parole le sue che forse possono turbare la mente di qualche
teologo, ma che in compenso fanno sussultare il cuore di
uomini e donne del nostro tempo:
"Che
mezzo, che sacramento di ogni momento, l'amicizia; è
il sacramento di Gesù per eccellenza! "Non vi
chiamerò più servi ma amici". Quanto
dobbiamo all'amicizia, all'affetto!...Ah io credo proprio
che il sacramento più possente sia quello dell'amicizia.
Possiamo riceverlo fino all'estremo, e sentirne il debito!".
"Io considero l'amicizia una delle più grandi
forze del mondo. Si può dubitare di tutto, ma non
dell'amico fedele. Quanto si può ricevere attraverso
l'amicizia! Se si giunge all'amicizia con Gesù tutto
si crede, tutto si spera, tutto si affronta".
"Raramente la fede altrui serve; più spesso
infastidisce. Quello che aiuta quando si soffre è
il cuore amico, sul quale si sa di poter contare sempre".
don
Angelo
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