IL
RABBI CHE SCONFINAVA
Bose, 27 ottobre 2013
Il
mio sarà un racimolare qualche pensiero, non avete
davanti a voi, lo sapete, un teologo di professione, ma
uno che viene dalla cura pastorale e non dalle cattedre
universitarie.
E questo è il pericolo che correte, quello di vedervi
proporre pensieri che vanno più per trasalimenti
che non per concatenazioni logiche, forse più per
passioni che non per rigorose elaborazioni. Davanti a
voi semplicemente un prete, che di anni ne ha una gragnola
sulle spalle, ma che è, come voi, innamorato di
Gesù. Devo subito aggiungere del Gesù dei
vangeli. Ecco vi dirò qualcosa su Gesù e,
se vedo bene, su uno dei suoi modi di stare al mondo che
vorrei racchiudere in un verbo: "sconfinava".
Dicevo, il Gesù dei vangeli. Il Gesù di
una certa predicazione che lo rende asettico, confinato
in regioni eteree che lui non ha mai frequentato, non
mi affascina, non dice niente alla mia vita, non mi interroga.
mi lascia indifferente. Quando invece mi fermo a osservarlo
da vicino dalle pagine dei vangeli, a ottant'anni e più
anni, mi batte il cuore.
Perdonate questa premessa che vi sto facendo, forse eccessivamente
lunga, ma io continuo a pensare che lui e il suo vangelo
siano la grande occasione della chiesa.
Ricordo che alcuni anni fa fui invitato una sera a Lecco
per un incontro dove mi fu chiesto di raccontare perché
avevo scritto il libro "Incontri con Gesù"
edito da Bose. Mi venne spontaneo confessare che fu per
un debito di fascino. Affascinamento da Gesù.
Se vado a scavare da dove e da quando il fascino di Gesù,
nella memoria mi si accende una età della vita
e un giorno.
Ricordo, ero in terza liceo, da anni in Seminario. Quel
giorno venne a parlarci un professore di teologia, insegnava
teologia fondamentale, Don Corti Gaetano "il bello"
lo chiamavamo, per distinguerlo da un nostro professore
di greco, anche lui Corti, ma Antonio, che chiamavamo
"il brutto". Ci parlò di Gesù,
della sua calda umanità. Rimasi affascinato. Segnato
per sempre.
Quell'episodio divenne per me come una parabola. Perché?
Perché mi racconta della possibilità di
una chiesa dove si parla di tutto fuorché di ciò
per cui esiste. Cioè di Gesù. Immaginate
quanti discorsi ascetici mi ero sorbito dai miei padri
spirituali negli anni di seminario: ogni giorno, uno al
mattino e uno alla sera; quanti insegnamenti dai miei
superiori, e mai, quasi mai, dal vangelo. Quell'episodio
mi racconta anche della possibilità purtroppo di
una chiesa che dica Gesù, ma un Gesù privato
della sua calda umanità, come fosse un mezzo uomo,
o anche meno, asfittico. Con la conseguenza straziante
di ambienti asfittici.
Ebbene gli uomini e le donne del nostro tempo attendono
una parola che faccia ardere il loro cuore, che parli
dalla pienezza del cuore. Il resto crea disagio. Ricordo
il disagio di Rainer Maria Rilke in una sua poesia in
cui metteva in guardia da quelli che sono abili a imbalsamare
tutto. Io vorrei dire, anche il vangelo:
non
c'è montagna che li meravigli,
le loro terre e i giardini confinano con Dio.
Vorrei
ammonirli, fermarli: state lontani,
a me piace sentire le cose cantare.
Voi le toccate: diventano rigide e mute.
Voi mi uccidete le cose.
Ma
ora qualcosa di nuovo si coglie nell'aria. Dove la novità?
Un biblista spagnolo la sottolineava di ritorno da Roma
al suo paese. Così si esprimeva in una sua lettera
a Francesco:
"Caro fratello Francesco, da quando sei stato eletto
per essere l'umile "Roccia" sulla quale Gesù
vuole continuare a costruire oggi la sua Chiesa, ho seguito
con attenzione le tue parole. Ora, sono appena rientrato
da Roma, dove ti ho potuto vedere mentre abbracciavi i
bambini, benedicevi gli infermi e gli invalidi e salutavi
la folla.
Dicono che sei vicino, semplice, umile, simpatico, e non
so quante altre cose. Penso che c'è in te qualcosa
di più, molto di più. Ho potuto vedere la
Piazza San Pietro e la Via della Conciliazione piena di
gente entusiasta. Non credo che questa folla si senta
attratta soltanto dalla tua semplicità e simpatia.
In pochi mesi sei diventato una "buona notizia"
per la Chiesa e, anche, molto al di là della Chiesa.
Perché?
Quasi senza che ce ne rendiamo conto, stai introducendo
nel mondo la Buona Notizia di Gesù. Stai creando
nella Chiesa un clima nuovo, più evangelico e più
umano. Ci stai portando lo Spirito di Cristo. Persone
lontane dalla fede cristiana mi dicono che li aiuti ad
avere più fiducia nella vita e nella bontà
dell'essere umano.
Alcuni che vivono senza un orientamento verso Dio mi confessano
che si è risvegliata dentro di loro una piccola
luce che li invita a rivedere il loro atteggiamento di
fronte al Mistero ultimo dell'esistenza.
Io so che nella Chiesa abbiamo bisogno di riforme molto
profonde per correggere deviazioni favorite durante molti
secoli, ma in questi ultimi anni è andata crescendo
in me una convinzione. Perché queste riforme si
possano realizzare, abbiamo bisogno prima di una conversione
a un livello più profondo e radicale. Abbiamo bisogno,
semplicemente, di tornare a Gesù, radicare il nostro
cristianesimo con più verità e più
fedeltà nella sua persona, nel suo messaggio e
nel suo disegno del Regno di Dio" (José Antonio
Pagola).
Perdonate
la lunga premessa, ora vorrei sfiorare il tema: Gesù,
il Rabbi che sconfinava. Penso che la pretesa di riportare
Gesù nei confini non abbia altro effetto se non
quello di impallidire o forse meglio cancellare la buona
notizia. Che ce ne faremmo di un Gesù ricondotto
alle nostre pallide ovvietà? Perché lo sconfinare
ha un nome: "grazia". Grazia dice sconfinare,
fuori dal dovuto. Grazia - chissà quante volte
ci avete pensato! - è una parola che non sta nei
confini.
Dagli inizi fino al termine della sua vita Gesù
a sconfinare. Scompigliando. Comincia già quando
ancora non lo si vede, ed è nascosto nel grembo
tenero di una donna. Va in un paese ai confini a scompigliare
la vita di una ragazza con quel gonfiore del corpo che
le incollerà addosso gli occhi curiosi e sospettosi
dei suoi concittadini e gli occhi inquieti e sofferenti
turbati di Giuseppe. Sconfina.
Nasce ed è fuori i confini: prima fotografia, ora
che è fuori dal grembo è adorato da pastori
razza sospetta. Muore fuori i confini, ultima fotografia,
fuori la città, morto di croce, tra due malfattori.
Fuori la città, in posto laico, perché nessuno
vantasse proprietà su di lui.
In mezzo, tra nascita e croce una vita, perdonate, a sconfinare.
Poco si sa di lui di quando era ragazzo, un fotogramma,
uno solo nei vangeli, e per dire che era fuori. Lo trovano
fuori, fuori dalla carovana, fuori perché lo vuole
lui, non perché si è smarrito come si usa
ancora dire quando si recita il rosario. Sconfina dalla
famiglia. E' vero, ritorna a casa, ma dite che c'era con
la testa? Con la testa era nelle cose del Padre suo. Allora
sconfini non da vagabondo, ma da nomade perché
hai un centro verso cui aneli. Non ti lasci catturare.
Pensate, più tardi da grande quelli di casa, sua
madre, i suoi, preoccupati che lui e i suoi discepoli
neanche trovassero il tempo per mangiare, "uscirono"
- è scritto - "per andare a prenderlo",
verbo duro, quasi da cattura. A prenderlo, perché
dicevano: "È fuori di sé", fuori
di testa. Sconfinava. Secondo loro ci voleva una misura,
era fuori misura. Fuori di testa. Chissà, mi chiedo,
se qualche volta lo siamo anche noi o se abbiamo anestetizzato
il vangelo, fuori da ogni follia. Una chiesa nei confini.
"E stando fuori" è scritto mandano a
chiamarlo. "Gli dissero: Ecco tua madre, i tuoi fratelli,
le tue sorelle sono fuori e ti cercano". Ma egli
rispose loro: "Chi è mia madre, chi sono i
miei fratelli e le mie sorelle?" Girando lo sguardo
su quelli che gli stavano seduti attorno disse: "Ecco
mia madre e i miei fratelli!". Sconfina in un'altra
casa, che non è di cattura.
Il Dio di Gesù Cristo, il Dio che vediamo e tocchiamo
in lui, è il Dio dello sconfinamento. Era ciò
che faceva sussultare di rabbia, inviperire il gruppo
intransigente dei gran capi dei sacerdoti e dei farisei.
Era un pericolo pubblico e andava fermato, lo hanno fermato,
fermato sulla croce. Pensavano di averlo fermato. Ha sconfinato.
Nella risurrezione.
Aveva messo sotto accusa, dicevo, una religione ridotta
a ideologia, dove non sentivi più pulsare il cuore
di Dio, un Dio che ha cuore di padre e di madre. Lui per
dirlo sconfinava.
Mangiava con pubblicani e peccatori facendo invelenire
gli uomini di una legalità spenta e senza cuore,
mangiava non con i perfetti, ma con peccatori
Lui a tavola con i peccatori, ancora non convertiti: mangia
con loro, che sono impuri. Non solo, ma si lascia ungere
e profumare dalla donna, una poco di buono. La difende.
E dice una cosa strabiliante, la dice con forza. Dice:
"In verità vi dico: dovunque sarà predicato
questo vangelo nel mondo intero, in ricordo di lei si
dirà anche ciò che ella ha fatto" (Mt
26,13). Noi non sappiamo il nome della donna, ma noi oggi
parliamo di lei, dopo duemila anni. Parliamo di una cosiddetta
impura, "peccatrice di quella città"
(Lc 7,37). Di lei Gesù dirà: "Ha amato
molto" (Lc 7,47). Ma pensate alle obiezioni dei nostri
moralisti, se non sapessero che a dire queste parole è
stato Gesù. "Ma come?" direbbero "ha
molto amato? Ha amato male". Gesù sconfina
da questa purezza legale, intesa come separatezza, quella
degli inquisitori. E la rimprovera a Simone nella sua
casa, lui così osservante. E così freddo,
così gelido! "Vedi questa donna ? Sono entrato
nella tua casa e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi,
lei invece mi ha bagnato i piedi con le sue lacrime e
li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato
un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato
di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di
profumo, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi"
(Lc 7,44-46).
Pensate alla rivoluzione operata da Gesù. Pensate,
la purezza, non come distacco, non come separatezza, ma
come passione!
Ma
perché tutto questo? Perchè mangiare con
peccatori che non hanno ancora fatto un atto che è
uno di pentimento? Perché lasciarsi ungere da donne
di dubbia, anzi meno che dubbia fama, senza esigere che
facciano almeno preventivamente una dichiarazione pubblica
di conversione? Perché così, solo così,
poteva raccontare la dismisura, l'eccesso, lo sconfinamento
dell'amore di Dio che non sta nelle nostre condizioni:
ti amo se tu mi ami, tanto quanto tu mi ami. Il cui Spirito
è come vento, sconfina, non sai di dove viene e
dove va, e non è certo nei tuoi recinti.
Enzo parlando di Francesco, il papa del cambiamento, ricordava
queste sue parole: "Uscire da se stessi è
uscire dal recinto dell'orto dei convincimenti considerati
inamovibili, quando questi rischiano di diventare un ostacolo,
quando chiudono l'orizzonte che è di Dio".
Sconfina lo Spirito, dice, Gesù, ma sconfinano
anche i credenti in lui. Anzi questo paradossalmente sembra
essere il loro segno: "Così è"
dice "di chi è nato dallo Spirito". Sembra
il loro segno. Non l'inquadramento - forse che lo inquadri
o lo catturi il vento? - ma lo sconfinamento. Gesù
dice a Nicodemo che i nati dallo Spirito sono come il
vento, che non sai di dove viene e dove va. Mi è
capitato di pensare che se siamo troppo prevedibili, se
tutti intorno a noi indovinano da dove veniamo e dove
andiamo con i nostri pensieri, con le nostre scelte, con
i nostri progetti, se tutti sanno, c'è da mettere
più di un dubbio sulla nostra testimonianza cristiana.
Il vento non sai di dove viene e dove va, così
è di chi è condotto dallo Spirito.
Mi rimane a volte nel cuore un'immagine, quella delle
imbarcazioni in rada. Niente regata, non soffia il vento,
vele afflosciate. Se siamo fermi, sempre allo stesso punto,
sempre attorcigliati alla stessa riva, non sarà
perché non fiutiamo il vento, da dove spira e dove
va, e non gli facciamo spazio nelle vele, perché
si gonfino e possiamo uscire finalmente al largo?
Vorrei ricordare un passo di una lettera pastorale del
Card. Carlo Maria Martini, "I tre racconti dello
Spirito", lettera per gli anni 1997-1998, dove l'arcivescovo
parla di questo sconfinare dello Spirito. Una convinzione
profonda, la sua, maturata, dice, in lui presto, ma verificata
attraverso l'intero percorso della sua vita, questa: "la
convinzione che lo Spirito c'è" scrive "anche
oggi, come al tempo di Gesù e degli apostoli; c'è
e sta operando, arriva prima di noi, lavora più
di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo
né svegliarlo, ma anzitutto accoglierlo, assecondarlo,
fargli strada, andargli dietro. C'è e non si è
mai perso d'animo rispetto al nostro tempo, al contrario
sorride, danza, penetra, investe, accoglie, arriva anche
là dove mai avremmo immaginato". Così
lo Spirito: sconfina. Così di conseguenza coloro
che sono condotti dallo Spirito: sconfinano.
Ai tempi di Gesù purtroppo, ma forse anche oggi,
e tanto nei circoli alti, c'è dominante una mentalità
da confine. Starei per dire che per qualche aspetto non
fu facile staccarsene nemmeno per Gesù. Permettete,
anzi perdonatemi, che io legga con questa mia discutibile,
discutibilissima interpretazione, un episodio del vangelo,
con la conseguenza, immagino, di qualche rimprovero più
che giustificato da parte che so io di Enzo e della stragrande
moltitudine degli esegeti sani. Mi riferisco all'episodio
della donna dei cagnolini.
Da dove veniva Gesù quel giorno in cui incontrò
la donna cananea? Lui usciva dalla casa di un fariseo,
usciva da una discussione durissima su puro e impuro,
una discussione provocata dai suoi discepoli che mangiavano
pane con mani impure. Esce e si dirige verso la terra
degli impuri, Tiro e Sidone. Quasi volesse respirare aria
nuova, fuori da quell'aria pesante. Dunque passi di sconfinamento.
Secondo Matteo, prima che Gesù varchi il confine
degli impuri si vede avvicinare da una donna cananea.
Lei il confine lo ha già oltrepassato, la donna
gli chiede un segno di compassione per la sua figlia tormentata
da un demonio. Gesù dapprima resiste, fa come non
la sentisse, poi reagisce dicendo che non si getta il
pane ai cagnolini. E la donna a dirgli: "D'accordo,
ma anche i cagnolini si sfamano delle briciole che cadono
dalla mensa dei loro padroni". Gesù ascolta
la sapienza teologica di quella donna e sconfina. Per
opera di donna. Passa, passa una volta per tutte il confine.
Le dice: "Donna, la tua fede è grande".
Sembra di capire che anche per Gesù non era stato
facile. Per scoprire la grande fede, egli dovette - e
dovremmo farlo anche noi, condizione preliminare! - dovette
buttare alle spalle ogni pregiudizio, ogni incasellamento
degli umani, ogni principio astratto e avvicinarsi. Togliere
la distanza, guardarla e ascoltarla. Stare in ascolto
della sapienza dei cagnolini.
A
farlo sconfinare da un lato era la passione per Dio: voleva
raccontare con la sua vita l'immagine di un padre, il
suo, legato a un eccesso: fa piovere sul campo dei giusti
e su quello degli ingiusti, sconfina. Ma a farlo sconfinare
era anche la passione dell'altro, il desiderio di incontrarlo.
E l'altro, se non esci, se non sconfini non lo incontri,
dunque un bisogno di cuore. Che mi viene quasi sempre
di ricordare quando leggo nel vangelo di Giovanni l'incipit
del racconto dell'incontro di Gesù al pozzo di
Sicar. Per arrivarci, per arrivare alla donna del pozzo,
anche quel giorno sconfinò.
Anche quel giorno veniva da un'aria soffocante, irrespirabile.
Da dove veniva? Dalle solite beghe clericali. Leggete
i primi versetti del capitolo. Viene dalla Giudea. E di
cosa si discuteva in Giudea? Del fatto che lui battezzava
più di Giovanni. Meschinità, piccinerie,
i soliti sondaggi. Il racconto dice: "Lasciò
la Giudea e andò di nuovo nella Galilea. Doveva
perciò attraversare la Samaria". Stranezza
del verbo: "doveva". Non era una necessità
di strada, era normale anzi che dalla Giudea alla Galilea
si andasse non passando dalla Samaria, ma lungo il Giordano:
viaggio più sicuro, tanto più per un giudeo
che era guardato dai samaritani come un nemico e la cosa
era reciproca. Eppure è scritto: "Perciò
egli doveva attraversare la Samaria". Era dunque
un'altra necessità che lo spingeva, una necessità
dettata dal di dentro e questo è bellissimo. Era
una necessità dettata, potrei dire, dal cuore.
Una necessità non geografica, ma di cuore.
Allungò a rischio, a rischio di insicurezza e di
fatica, il viaggio per quella sua volontà di sconfinare.
Sconfinare per ricerca, per ricerca di noi umani, la ricerca
insonne di Dio che ha attraversato tutta la storia, finché
ci ha trovati sulla croce. La fatica della croce. Ritornano
alla memoria le parole del "Dies irae", spesso
evocate con paura e sgomento. Forse qualcuno di noi ricorderà,
tra quelle parole, questa struggente preghiera, che potrebbe
essere di ciascuno di noi, preghiera ispirata, penso,
al brano che stiamo commentando:
Recordare, Jesu pie,
quod sum causa tuae viae,
ne me perdas illa die.
Quaerens me sedisti lassus,
redemisti crucem passus
tantus labor non sit cassus.
"Gesù, tu che sei compassionevole, ricordati
che io sono causa del tuo viaggio: non mandarmi perduto
in quel giorno. Nel tuo continuo cercarmi ti sei seduto
stanco. Pur di redimermi hai patito la croce. Così
grande fatica non sia inutile, Signore".
Lo sconfinamento se è vero ha dentro a volte anche
una fatica, una passione d'amore, a rischio non solo di
stanchezza, ma di ferita.
Questo dirottamento di strade ci rimane come un pungolo
nel cuore, perché viene a chiederci se anche noi
come Gesù siamo, quasi per una necessità
interiore, spinti, irresistibilmente spinti, ad andare
fuori dai percorsi abituali, ad attraversare territori
dello spirito giudicati spuri, presso pozzi in territori
samaritani. "Per incontrare chi?" ti dicono
i sedentari. " Una donna dei cinque mariti"?
Sì, la donna
Dei cinque marito.
Quando leggo il Vangelo provo questa impressione che dal
Dio dello sconfinamento che era all'origine del messaggio
cristiano siamo in qualche misura ritornati nella mentalità
di quel gruppo, di quel gruppo intransigente che lo contrastava.
Diciamo di difendere Gesù, il cristianesimo, ma
mettiamo confini, sospettiamo su quelli che passano i
confini.
Non è forse vero che dallo sbilanciamento di Gesù
verso i cosiddetti lontani, siamo giunti allo sbilanciamento
verso i vicini, non è forse vero che al comandando
ampio, pensate quanto ampio del Signore, mandato sul monte
a discepoli dubitanti "andate" siamo passati
a una pastorale del "venite", venite da noi?
Una pastorale dei gruppi connotati dall'ansia dell'appartenenza
al gruppo. Andate!
E' rimasto qualcosa di questo sbilanciamento, vissuto
da Gesù, nella chiesa? Non è forse vero
che sino a qualche tempo fa eravamo sotto accusa per questo,
perché frequentavamo quelli che erano fuori? A
voi sembra che la chiesa sino a poco tempo fa fosse criticata
come Gesù per il suo essere fuori dei confini?
E' un mio parere, discutibilissimo, ma leggendo in questi
giorni un articolo dal titolo significativo. "Questo
papa non ci piace", mi sono sentito attraversare
da un dubbio, questo: che l'astio avesse come origine
ben meschina il fatto che il Papa avesse concesso l'intervista
non a loro, i professionisti di Dio , ma, sconfinando,
a un giornalista ateo. Non si può.
Di confini e di cristiani sui confini parlava già
anni fa il card. Martini in un piccolo gioiello, una lettera
sul tema della città, un libricino prezioso dal
titolo significativo. "Alzati e va' a Ninive, la
grande città", là dove scrive: "Sono
molti oggi a Milano coloro che ogni giorno silenziosamente
passano l'arduo confine tra l'oscurità e la luce,
tra la penombra e il calore del sole, come tanti sono
quelli che nello stesso tempo passano silenziosamente
la frontiera tra la verità e il buio, tra la certezza
e l'incertezza, il dubbio, la sfiducia. La presenza di
molte e volonterose guide, preti e laici, attenti alle
frontiere della fede, scoprirà questi sconfinamenti,
consiglierà gli smarriti, conforterà gli
sfiduciati. Sui confini tra fede e incredulità
si può attuare uno straordinario apostolato del
dialogo, del confronto, dell'esempio".
L'urgenza di uomini e donne del confine, come voi, radicati
ma liberi, gente di frontiera, quasi una necessità
del nostro tempo.
Per fedeltà a Gesù e al suo vangelo dobbiamo
come singoli e come comunità riappropriarci dell'arte
di Gesù: la cura dell'uomo e della donna che stanno
sul confine o sulla soglia, o, se volete, nelle periferie
che non è solo un termine geografico, ma esistenziale.
Dove essere sui confini prima ancora che esserlo geograficamente,
significa un esserci con la mente e con il cuore. Sto
per dire che forse tutto dipende da uno sguardo, da come
tu guardi l'altro, o l'altra: dal vuoto o dallo Spirito
che li abita?
E allora vorrei chiudere queste mie riflessioni con una
storia che forse dice meglio delle troppe parole fin qui
usate, la storia di Alessia. Perché? Perché
il suo viso mi si è affacciato mentre racimolavo
pensieri. Che cosa l'aveva potata in parrocchia quel giorno,
proprio lei che ai nostri ambienti ecclesiastici proprio
non ci era abituata. Lei che non aveva nessuna frequentazione
di preti. Non era battezzata e nemmeno lo è oggi.
Mi chiese di parlarmi. E già è dono - penso
che tutti voi conveniate - già è dono che
qualcuno ti chieda di parlarti. Ancor più che un
uomo, una donna, ti sveli il suo cuore. Sentiva dentro
di se, mi disse, come un'attesa, un bisogno. E si eri
chiesta se quello fosse un luogo in cui esplorare il bisogno,
se la fede potesse avere a che fare con l'attesa da cui
era abitata. Che la abitava e la metteva in cammino. Vi
devo confessare che sono queste - e sono quasi quotidiane,
non sono l'eccezione - le storie che mi emozionano. Arrivava
da lontano. O da vicino? Come un giorno era successo ai
Magi, scrutatori di stelle. Da lontano o da vicino? Loro
venivano dall'Oriente. E dov'è l'oriente di un
uomo o di una donna? E che cosa trovano nei nostri ambienti
i cercatori di stelle, loro in cerca di qualcosa che abbia
a che fare con un senso? Trovano brividi o pesantezze?
Chissà perché, quando vedo arrivare i cercatori
di stelle, anche uno solo, uno solo come lei, Alessia,
mi prende dentro come un desiderio di protezione, di protezione
dei semi che portano nel cuore, semi troppo spesso in
pericolo di asfissia nei nostri ambienti.
Tra parentesi vi dirò che quando mi capitò
per caso strano di parlare dei cosiddetti lontani, dei
ricercatori di stelle, in un'aula di una facoltà
teologica, mi parve di sentire nell'aria una sorta di
compassione: il parroco non era attrezzato teologicamente,
raccontava storie, storie di vita, si perdeva, come succede
agli innamorati, dietro volti. Riposi quel giorno gli
appunti in una busta trasparente, scesi le scale, portavo
il peso delle mie ingenuità. Ma poi, fuori, all'aria
aperta, testa dura, dice qualcuno, non mi riuscì
di disamorarmi delle storie, che vengono guardate con
distanza e sufficienza dentro le aule asettiche del sapere,
aule che meritano ben altro. Le storie hanno il difetto
di non essere nella forma delle sistemazioni didattiche,
sono nella forma della vita, sono cammini al sole. Sconfinano.
Ebbene quel giorno fuori, all'aria aperta, per reazione
forse, sentii farsi ancora più prepotente in me
un desiderio di protezione nei confronti dei cercatori
di stelle. Che siano protetti da asfissia, da pesantezze,
da corte visioni.
Come al contadino a volte succede anche a noi di scrutare
atterriti le nubi alte nel cielo. Ci succede di guardare
in alto e di augurarci che non sia scroscio a devastazione
di steli e germogli, non sia aria amara di crociate e
dogmatismi, di esclusioni e condanne, vento di tempesta
dai cieli. Abbiamo visto come anche Gesù si trovò
spesso a difendere dal gelo della rozzezza e della miopia
gli inizi dei cammini dello spirito. Ci sono passati nella
memoria volti e volti del vangelo.
Ritorno a Alessia. Che cosa avrei potuto proporre a una
ragazza come lei, abitata da un'attesa se non la Bibbia,
il Vangelo, che, come dice la parola, è buona notizia
e colui che è un vangelo, una buona notizia, Gesù
di Nazaret? Rimasi sorpreso - erano passati solo alcuni
giorni - sorpreso e commosso, dalle sue parole. "Finalmente"
diceva "Milano si è tinta di sole. Continuo
a leggere la Bibbia, con a volte la sensazione di comprendere,
di sentire e che non ci sia quasi bisogno di pensare troppo,
di capire. Succede semplicemente che delle cose risuonano,
mi commuovono, mi fanno venire una gran voglia di vivere,
un gran desiderio di avventure umane, della propria avventura
umana". E io con l'attesa in cuore di capire che
cosa avesse incantato una come lei dietro le pagine che
raccontano di Gesù. "Sono rimasta affascinata"
mi disse "dalla libertà di Gesù, dalla
libertà che dà Gesù. Non ho mai trovato
qualcosa di simile. Respiro la libertà". Sì,
la respiri ad ogni pagina. Ed è sconcertante che
chi tocca le pagine per la prima volta ne rimanga segnato,
sedotto, mentre noi, che le abbiamo ricevute da tempo,
in tante nostre espressioni siamo per lo più confinati
nella figura di chi vive l'assuefazione e non nella figura
della libertà di Gesù, una libertà
che gli veniva dalla sua passione per Dio e per l'uomo.
La passione per Dio e per l'uomo lo rendeva luminosamente
libero. Libero di sconfinare.
Mi chiederete di Alessia, non è ancora battezzata,
ma da qualche anno si è aggiunta a un gruppo di
giovani coppie che si raduna una domenica al mese, sarà
la prossima, a leggere pagine della Bibbia. Se le poppate
del suo ultimo bambino glielo consentiranno - sì,
perché da qualche anno si è sposata - sì,
se le poppate glielo consentiranno, se il suo impegno
di lavoro non la frenerà lontano, lei ci sarà.
E dov'è il confine? Dove passa il confine?
Angelo Casati