A
VELE SPIEGATE
Vorrei chiamarla paura da viaggio. "Incredibile congiungimento"
potrebbe obiettare qualcuno: paura-viaggio. E storcere
il naso al solo nominarlo. Può apparire un assurdo:
i viaggi si desiderano, si mettono in programma con mesi
e mesi di anticipo, ci si svena per i viaggi e poi c'è
il rito di declamarli al ritorno, e, più esotici
sono, più gusto a declamarli.
Può
sembrare strano congiungere viaggio e paura, strano o
raro congiungimento! Eppure oggi una dimensione, se pure
piccola, di paura o di apprensione affiora anche alla
partenza di questi viaggi: niente è più
così sicuro, così garantito! Si sprecano
ormai le tutele assicurative.
Ma
non a proposito dei viaggi dell'estate mi venne alla mente
questo strano congiungimento, bensì a proposito
del viaggio della vita. Che è uscire, viaggio.
Fin dal grembo materno, quando un cucciolo d'uomo al suo
sgusciare è messo fuori dalla tutela del tenero
grembo, messo sulle ginocchia di una donna, sulle ginocchia
della vita. Da cui partire, per essere messi alla luce
ogni giorno, ogni giorno al risveglio.
Messi
alla luce della vita ogni giorno e dunque al viaggio,
viaggio e paura. Appartiene infatti alla vita la dimensione
della imprevedibilità, che noi troppo spesso vorremmo
esorcizzare con l'azzardo di un sogno, il sogno che oggi
e domani nella vita tutto avvenga secondo i nostri illuminati
programmi e che la vita sia al riparo da sconfinamenti
o deragliamenti. Non sarà che proprio per un desiderio
di non rischiare oggi si colga pure una fatica a sposarsi?
Non vorrei ingenuamente ridurre il problema, che è
ben più vasto e articolato, a questo, quasi questa
fosse l'unica ragione, ma forse una delle ragioni sì.
Che
cos'è dunque questa paura di avventurarsi al largo?
Meglio sarebbe dunque stare con i piedi per terra? Strana
immagine della sicurezza: le vele perpetuamente in rada,
immobili, afflosciate, chiuse ad ogni pulsare e fremere
di vento, quando invece la vita, la nostra, potrebbe essere
suggestivamente evocata sotto l'immagine affascinante
di una traversata di bracci di mare. Ogni giorno ci è
chiesto di lasciare la terra ferma delle cose codificate,
prevedibili e di partire. Conosceremo la bellezza delle
traversate, ma anche l'aggressione delle bufere. La fede
non ce ne mette al riparo. Fede è sorprendere tra
l'urlo delle acque e le raffiche del vento una voce quasi
sommersa, quella del Dio della barca che rincuora, fa
tacere il vento, non sempre quello degli eventi, ma il
vento che scuote dentro, quello che sferza il cuore. Udrai
la voce del Dio della barca, a sovrastare sorprendentemente
quella della tempesta, e sarà energia come sangue
nuovo che scende nelle vene delle braccia e delle mani
e poi dilaga nel legno dei remi, in un battere inesausto,
quasi sfida dei remi su onde limacciose livide del mare.
Non
è del Dio della barca sostituirsi all'uomo, lui
crede negli uomini e nelle donne della barca, conosce
di noi braccia e cavo di mani. Fa tacere la paura, la
bestia nera, bestia delle bestie, che ha il potere di
immobilizzarci, anticamera di ogni paralisi: "Perché
temete?". E dunque benedette le voci, quella segreta
di Dio e quelle, meno segrete ma pure sempre sottili,
lontane da enfasi, di amiche e amici, compagni di traghettamenti,
voci che hanno sapore e forza di spinta, spinta di traversate.
Non
so spiegarmi, se non come effetto di una paura, paura
del rischio, della fatica, del sacrificio, questa declamazione
della vita come tranquillità immobile, salva da
spaesamenti. Oggi come ieri, ma forse ancor più
di ieri, siamo chiamati allo spaesamento, e dunque fuori
dalla prigione di un'unica immagine, di un unico paese.
Ma
non è forse questo l'"incipit", il passo
originario fondativo della fede? Primo passo di colui
che ci è padre nella fede, Abramo? "Esci!".
"Esci dalla tua terra e va'". Uscita di viaggio.
Verso lo sconosciuto.
L'aver
dato alla vita l'immagine della immobilità, l'averla
rinchiusa nell'orizzonte asfittico delle nostre rigide,
piccole o grandi che siano, programmazioni, ci fa donne
e uomini del risentimento. Risentiti nei confronti della
vita nei giorni in cui essa fuoriesce dalle all'immobilità
e dalle programmazioni e prende il colore del distacco
da rive sicure, dentro il mare dell'imprevedibilità.
Quando
dai miei confratelli sento declamare con enfasi i giorni
sereni della famiglia di Nazaret, mi chiedo se questa
operazione, che alla luce della Bibbia appare palesemente
come un falso storico, non sia anche alla fine perdente:
una famiglia simile che cosa potrebbe insegnare alle nostre
che vivono l'inquietudine quotidiana del viaggio? Quanta
sapienza di vita avrebbe invece da comunicare solo che
la sorprendessimo nelle pagine vere dei vangeli, che ci
rimandano pressantemente l'immagine del viaggio, e quindi
anche dello spaesamento, la fede nello spaesamento, lungo
le vie inedite di Dio!
Protagonisti
di viaggi gli angeli. Io non so che cosa siano le apparizioni
degli angeli, ma di certo erano un segno di un Dio che
veniva e andava. Veniva e andava e metteva in viaggio.
Mette in viaggio e dice: "non temere" .Non temere
per il viaggio. Penso all'angelo che a Maria chiede di
uscire dalle vie normali in cui una ragazzina può
sognare di diventare madre. Immaginate che cosa abbia
significato quella maternità "fuori"
dalle vie "normali", nell'inedito. Ma pensatela,
ragazza con quel gonfiore nel corpo. Quel gonfiore che
la abitava era la cosa più bella del mondo, ma
vi immaginate gli occhi del paese su di lei, immaginate
i commenti?
Anche
a Giuseppe l'angelo dirà di non temere, di non
temere per il "viaggio" - e quale viaggio! -
quello di prenderla in moglie. Spaesamento, per un uomo
giusto che un figlio, cui dare il nome, se lo sarebbe
aspettato per vie ordinarie. E poi per lui tutti quei
sogni e quelle voci nella notte, voci di angeli, sempre
a mettere in viaggio: "Alzati, prendi con te il bambino
e sua madre e va' in Egitto" . E poi: "va' nel
paese di Israele".
Il
messaggio è trasparente: è la sconfessione
dei nostri sogni di costruire paradisi artificiali, o
isole dorate, ove appartarci, dove non giunga l'eco dei
drammi dell'umanità, o, nel caso giunga, giunga
attutita.
A
Giuseppe, a ciascuno di noi è detto: "Alzati,
prendi con te il bambino e sua madre e va'". Alzati,
la vita è viaggio. Alzati. Che cosa stava davanti
agli occhi di Giuseppe? Niente di sicuro, niente di programmato,
niente di prevedibile. E non è forse questo figura
della nostra vita, di una stagione in cui davanti agli
occhi abbiamo orizzonti sempre più incerti, imprevedibili?
Non recriminiamo: "alzati e va". Il viaggio!
Ma pure la custodia: "Prendi con te il bambino e
la madre". Bellissimo il verbo, che dice custodia,
tenera custodia: e dunque custodirci a vicenda nel viaggio.
E poi, come Giuseppe, inventa. Tocca a Giuseppe inventare
i percorsi, i luoghi, le tappe, le soste, le partenze.
Tocca a lui fiutare i pericoli e inventare soluzioni per
sfuggirli. La voce dice la direzione del viaggio, ma non
è prontuario in cui tutto è già scritto.
Il Dio della barca non ti vuole in stato di minorità
permanente, come un bambino o come uno schiavo. Sei libero
e protagonista. Libero! Ma vegliato. Paternamente vegliato
nel viaggio dall'alto.
don
Angelo