LETTERA
A UN'AMICA
Ed è l'otto di marzo
In
questo mese, dopo che il sito www.sullasoglia.it ha ospitato
una mia lettera "agli amici per il bisogno di confidarsi
pensieri in ore diverse di una giornata", la giornata
in cui Eluana ha compiuto il suo transito, sono stato raggiunto
da un fiume ininterrotto di lettere, gorgogliare di acqua
e di pensieri e di emozioni, quasi a testimonianza dell'urgenza
di quel bisogno. Bisogno incontenibile, in alcune ore della
storia, di amici con cui confidarsi e sostenersi.
Tra
le molte lettere, di cui potrei parlare, una in modo particolare
vorrei ricordare in questo mio scritto, per la bellezza
che vi respira. Leggendola, mi prese come un desiderio forte,
impellente di condividerla. Sempre con amici. Ma come fare?
Non puoi violare la segretezza di una confidenza. Ho osato.
Ho chiesto alla mia interlocutrice che ancora non conoscevo,
se mi consentiva di parlarne, sommessamente, come appartiene
al nostro stile. Senza turbare il suo silenzio. Chiamerò
questa giovane donna semplicemente - semplicemente, si fa
per dire! - "amica", e dunque "lettera a
un'amica". In risposta alla sua lettera o forse solo
in un desiderio di svelamento reciproco di pensieri e emozioni.
Ecco la sua lettera. Il nome è cancellato. Sulla
pagina. Ma rimane, negli interstizi, tra sillaba e sillaba,
tra parola e parola:
Caro
don Angelo le scrivo per ringraziarla delle sue parole..
Per caso ho letto il suo intervento, la sua riflessione
sulla vicenda di Eluana.. Non è per la vicenda in
sé, ma le sue parole.. Io mi ritengo, sebbene non
abbia certezza, dato che non conosco verità assolute
e indiscutibili, una non credente.. o comunque una persona
alla ricerca, di un modo per leggere il mistero della vita..
Ma nel suo scritto ho sentito per la prima volta il vangelo,
la parola di Gesù.. non l'ho letta, non l'ho interpretata,
ma l'ho sentita dentro, l'ho sentita nel cuore, una luce,
qualcosa di più grande di me e mi sono sentita bene,
davvero bene.. Commossa di avere sentito il profumo di qualcosa
di buono, che ho condiviso con gli amici... quelli veri...
in silenzio, perchè solo nel silenzio si può
percepire il mistero della vita e talvolta abbiamo bisogno
che qualcuno all'improvviso ci presti i suoi occhiali per
capire la direzione... Grazie, infinite grazie... per i
suoi occhiali, ma non glieli rendo... sono certa che ne
ha una scorta infinita!!
Cara
amica,
nella tua lettera scrivi: "Per caso ho letto il suo
intervento, la sua riflessione sulla vicenda di Eluana
".
E così mi fai pensare, ancora una volta e non senza
stupore, alla corsa delle parole, alla fuga delle parole,
quelle di Dio ma anche le nostre, quelle scritte ma anche
quelle solo parlate. Gesù, lo sai, non ne ha scritta
una. Una, forse, un giorno. Ma sulla polvere, quando gli
osservanti della legge volevano cancellare, sotto un cumulo
di pietre, una donna sorpresa in adulterio. Erano le sue,
sulla sabbia, parole o erano solo un diramare di segni su
pulviscoli fatti di silenzio?
Ti dicevo della fuga delle parole: una volta che le hai
parlate o scritte è come se non ti appartenessero
più. Se ne vanno, come i figli in autonomia. Non
sai più dove arrivano o come arrivano, se stanche
o impetuose o forse anche un poco smarrite. Non sai nemmeno
che cosa nasce o che cosa muore, dietro la tenerezza o l'urto
che le sospinge.
Ti dicevo che a volte rimango stupito per il diramare anche
delle mie parole. Dove mai sono arrivate? E chi le ha fatte
correre di una corsa silenziosa, imprevedibile? Chi ha loro
scavato solchi? E volesse il cielo che contenessero acqua
che gorgoglia e non acqua stagnante!
Ora,
dobbiamo riconoscerlo, a scavare solchi alle parole si sono
messi anche i mezzi della comunicazione sociale. Devo confessare
che ho fatto fatica a rassegnarmici. Nulla, secondo me,
può sostituire il guardarsi negli occhi, il percorrere
sul viso le emozioni, lo svelamento di pensieri e emozioni
nel trasalire silente dei corpi. Nulla.
Ma
devo pur riconoscere che attraverso internet, per esempio,
i canali che fanno solco all'acqua si sono inimmaginabilmente
moltiplicati, al punto di non riuscire più a sorvegliarne
le ramificazioni. Penso che alla fine anche questo sia motivo
di turbamento, e non da poco, per il potere, civile, politico,
religioso: la rete è fuori controllo. Passano anche
le parole inermi, quelle che tu dici fatte di silenzio,
quelle che nessun fragore di pubblicità sosterrebbe,
ma solo il silenzio che le abita.
E
ci sono creature in attesa: tu me lo hai ricordato, perché
ne sei un segno. A sbugiardamento di quanti, soprattutto
nei circuiti ecclesiastici, vanno proclamando la sordità
e l'accecamento dei molti. E non li sorprende il benché
minimo sospetto che sia sordità per parole religiose
vuote e declamate e accecamento per fuochi fatui senza incandescenza.
La
tua lettera, senza che tu lo potessi lontanamente immaginare,
mi risuona da giorni nel cuore come una dolce conferma,
per un poveruomo come me, bisognoso, come molti di noi,
di conferme. Tanto più in una stagione ecclesiale
come questa dove si tende prevalentemente a dividere in
modo netto il campo tra credenti e non credenti, dove il
futuro della fede viene legato a filo stretto alle rigide
appartenenze, alle crociate del fanatismo. E mi prende a
volte, e te lo confesso, paura di essere un ingenuo nel
pensare che altre sono le vie cui dovremmo affidarci. Per
fedeltà al vangelo.
Gesù
era uno scavatore di canali, li scavava lentamente, lontano,
lontanissimo, dalla furia di coloro che credono di dare
acqua alle terre squarciando l'invaso delle dighe. Te lo
immagini davanti alla donna samaritana con l'aria di un
fustigatore di costumi, della razza di coloro che dicono:
o di qua o di là, senza il benché minimo dubbio
di dove stia il di qua o il di là? Lui no, scavava
solchi, lentamente, chiedendo da bere, si faceva mendicante,
ascoltava le attese, le più segrete. I suoi erano
svelamenti per fessure. Scavava solchi e fissava il viso,
vi leggeva grafie dell'anima. E non gli passò, nemmeno
nel pensiero più lontano, di chiedere alla donna
se fosse di qui o di là. Lui sapeva che l'acqua,
quella che zampilla per la vita eterna, conosce l'arte di
bagnare di fecondare che è propria della pioggia.
La pioggia che imbeve teneramente i terreni. A misura di
sete. La tua lettera, dolce conferma, a questo stile, lo
stile di Gesù.
Ogni
volta che ritorno a leggere nel vangelo di Giovanni al capitolo
quarto il racconto dell'incontro tra Gesù e la donna
samaritana mi ritorna al cuore una domanda, cui gli esegeti,
non sembrano dare molta importanza: chi mai avrà
raccontato l'accaduto dell'incontro, Gesù o la donna
e in quale intimità, perché sono parole e
sono sguardi che sfuggono ad ogni esibizione, parole e sguardi
da disseppellire in una intimità inviolata, quella
in cui ad accendersi è il cuore, quella di cui tu
mi racconti quando parli di Gesù: "nel suo scritto"
mi dici " ho sentito per la prima volta il vangelo,
la parola di Gesù... non l'ho letta, non l'ho interpretata,
ma l'ho sentita dentro, l'ho sentita nel cuore, una luce,
qualcosa di più grande di me e mi sono sentita bene
davvero bene... Commossa di avere sentito il profumo di
qualcosa di buono, che ho condiviso con gli amici... quelli
veri... in silenzio".
E
se vicino al regno di Dio fosse chi ha sete e lontano dal
regno chi non ha sete? Questo mi sembra di capire leggendo
il vangelo, ed è forse piccola scintilla in risposta
alla tua lettera là dove confessi di non definirti
credente. Nel racconto del pozzo non trovi condanne da parte
di Gesù. Trovi desiderio di capire dove è
sconfinata per la sua sete la donna. Quasi ci venisse insegnato
che è meglio aver sete e sbagliare piuttosto che
essere irreprensibili ma non aver sete.
Più
leggo la Scrittura Sacra e più mi si rafforza la
convinzione che veri credenti non siano gli uomini che sbandierano
arroganti certezze assolute. Per i veri credenti è
sacrilegio, è impoverire Dio, legarlo a un monte
o a un altro. Sono cercatori di senso, lo vanno a scavare
insonnemente nelle miniere del mondo, il volto annerito,
ma lo stupore negli occhi nel sorprendere qualcosa che riluce
dietro la loro lampada nel buio che avvolge le viscere della
terra.
Stupore,
commozione. E desiderio di condividere che ritrovo nel tuo
scritto: " Commossa di avere sentito il profumo di
qualcosa di buono, che ho condiviso con gli amici... quelli
veri... in silenzio, perchè solo nel silenzio si
può percepire il mistero della vita".
Le storie non sono finite. La donna samaritana, commossa
dal profumo del profeta che le aveva parlato al cuore, andò
in città. A invitare. "Venite a vedere
".
Il profumo andava condiviso.
La
storia della donna del pozzo di Sicar. La tua storia. Storie
di donne che condividono il profumo. Ed è l'otto
di marzo.
Con affetto e gratitudine.
don
Angelo
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