"CERCAMI
NELLE PAROLE CHE NON HO TROVATO"
Lettera aperta al Card. Carlo Maria Martini
Forse questa non sarà la mia ultima lettera, prima
che tu parta. Non so -pretendo troppo- se tu ricordi la
prima. Eri appena arrivato tra noi e ti scrissi di P. David
M. Turoldo. Immaginando l'affollarsi impietoso di lettere
sulla tua scrivania, ti dispensavo (!) dal rispondermi.
Tu invece mi rispondesti con la tua grafia sottile, minuscola.
Leggevo e mi si apriva il cuore.
Scrivo una lettera che non ti manderò. Forse scrivo
per me, per ricordare a me stesso, agli amici, a noi che
in questi anni abbiamo camminato con te, che cosa sei stato
per noi.
Sei un vescovo come tutti, ma diverso. Nel coro, ma anche
un po' fuori del coro.
Anche questo tuo dire in faccia a tutti: "Ancora un
poco e me ne vado" non è così comune
negli ambienti ecclesiastici, forse l'hai imparato da Gesù.
Non è così comune sentirsi dire da un vescovo:
"Ditemi che cosa è rimasto di questo cammino".
I vescovi di solito sanno loro che cosa dire, sanno loro
che cosa scrivere.
Io
non sono uomo -tu lo sai- di grandi sintesi. Sono uomo di
immagini e di emozioni più che di classificazioni.
E anche in questi giorni, pensando a te, venivo abbagliato
dalle immagini. Una su tutte era dominante, forse ti si
addice, anche se a volte l'abbiamo svigorita con un eccesso
di sdolcinature, l'immagine del pastore, il pastore di Palestina.
Ho gli occhi, questi miei occhi, abitati, quasi sedotti
da una visione, quella di un gregge che passava lontano
sull'orizzonte di sabbia, le sabbie colorate del deserto
di Giuda. Era quasi tramonto e le pecore sembravano avere
la lentezza dei secoli. Le precedeva un pastore. Eri tu.
Per me sei quel pastore.
Questa mattina, lunedì della quarta settimana di
Pasqua -te lo confesso- leggendo nella liturgia il Vangelo
ho pensato a te e, nonostante tutto, non credo sia stata
una distrazione da confessare. Quando penso a te, penso
a questo Vangelo.
So, così facendo, di ridurti, perché tu non
stai in una sola immagine né stai in una sola pagina
del Vangelo, ma penso che altri ricorderanno altre immagini,
altri ricorderanno altre pagine. E si comporrà il
mosaico.
Il Vangelo di questa mattina di maggio parlava del pastore
che arriva al recinto delle pecore: "Il guardiano gli
apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue
pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto
fuori tutte le sue pecore cammina innanzi a loro e le pecore
lo seguono, perché conoscono la sua voce" (Gv.
10, 3-4).
Cammina
davanti a loro.
È stata l'immagine dell'inizio. È stato il
tuo "in principio" e mi è rimasto nel cuore.
Mi è rimasto negli occhi quel giorno del tuo ingresso
così inusuale in diocesi: non era processione, era
cammino. Sei venuto in mezzo a noi camminando tra la gente.
Confuso e non confuso, perché la tua statura ti fa
emergere e vederti, anche da lontano, crea direzione, crea
riferimento, infonde energie, infonde fiducia nel cuore.
Non sei stato uomo di spettacolo, non hai fatto teatro,
non ti si addicono i palchi.
Quando ti fanno interviste, non guardi fisso dentro l'obiettivo,
lo sfuggi, quasi per una sorta di timidezza. Ti sta a cuore
il problema, vai oltre. Ti interessa la direzione, dove
muovere oggi i passi. Tu conosci la complessità della
nostra vita, non la sfuggi. Cerchi con noi, davanti a Dio
un'uscita.
Sei diverso. In un mondo di teatranti, di parole vuote ed
effimere, tu cerchi sempre una luce, uno spiraglio di luce
dal Vangelo. Sei fuori del coro.
Ricordo la sera di quel giorno in cui la città, la
nostra, fu scossa dalla notizia di un ordigno rinvenuto
tra le guglie del Duomo. Dentro un coro disgustoso di politici
che cavalcavano strumentalmente la notizia, tutti a sdottorare
alla ricerca di voti, loro la vera bomba, velenosi ed eversivi,
detonanti più della bomba sul Duomo, tu l'unico a
indicare sentieri di unità, tessuti di umanità
e di comprensione. Tu diverso, unica luce in un panorama
di squallore.
Cammini
davanti, come pastore che sa dove scaturisce, quasi per
miracolo, l'acqua del deserto. Il tuo cammino sotto il segno
della Parola di Dio, fonte che disseta a differenza delle
cisterne vuote e screpolate.
Siamo pecore lente, a volte distratte, ma nel cuore dopo
vent'anni di strada con te, ci è rimasta nel cuore
la sete, la sete dell'acqua viva della Parola di Dio.
Dove i tuoi occhi puntavano, l'abbiamo intuito all'inizio
del tuo ministero, quando il Duomo prendeva ai nostri occhi
un'immagine inconsueta, indimenticata. Diventava come il
grande prato del Vangelo, invaso da uomini e donne, giovani
soprattutto, che vi si affollavano fin dai punti estremi
della diocesi, seduti per terra, aggrappati alle colonne
ad ascoltare un vescovo che leggeva il Libro.
In
questi vent'anni spesso mi sono perduto a guardarti: mi
incantava lo sguardo che andava oltre.
Noi così spesso, nei nostri ambienti ecclesiastici,
attardati su battaglie di corto respiro, accaniti su controversie
che muoiono all'alba, non sempre capaci di riconoscere il
dono di un magistero che mirava all'essenziale. Questo,
e non altro, il genio dei veri pastori: non quello di raccattare
cianfrusaglie lungo le piste assolate del deserto. Se mai
quello di sbarazzarsi di ciò che attarda il cammino
di una chiesa, in tempi che sono segnati da un'urgenza.
Cammini con noi. Ma sei davanti. Non sei della razza dei
pastori che stanno nelle retrovie, mandano gli altri allo
sbaraglio.
Cammini
davanti. Forse anche per questo alcune volte ti giudicano
distante. Sono quelli che la vicinanza di un pastore la
misurano dai nastri che ha tagliato nelle parrocchie, dalle
udienze che ha concesso.
Forse te ne sei accorto, non ti abbiamo mai chiamato a tagliare
nastri. Ma non per questo abbiamo accusato distanza. Paradossalmente
non ti abbiamo mai sentito così vicino come quando
visitavi, come sai fare tu, paesi lontani dell'Africa, dell'Asia,
dell'America Latina, come quando sedevi, fuori Italia, alla
Conferenza dei vescovi europei.
Fedele all'immagine del pastore del Vangelo, ci hai portati
fuori del recinto.
Permane, purtroppo, radicata la mentalità del recinto,
dettano legge ancora strategie pastorali che ci sequestrano
asfitticamente al chiuso, permane il risentimento verso
coloro che non giudichiamo dei "nostri", ritorna
la nostalgia di una cristianità che conti con il
suo potere terreno nella città degli uomini.
"Alzati e va a Ninive, la grande città",
era il titolo di una delle più belle lettere pastorali.
E noi, come Giona, a fare lamento. Ora ci si mette anche
qualche vescovo. Prove di ateismo pratico.
Tu ci hai insegnato a contemplare. A contemplare, a inseguire,
ad assecondare l'azione di Dio nella storia, a scoprire
i segni di uno Spirito che, là dove arriviamo, già
ci ha preceduti.
"Senza questa visione" -ci dicevi- "il nostro
operare si fa ansioso, affannoso, sempre meno pacifico,
sempre più irritato, sempre più pieno di giudizi
amari su noi e sugli altri. È un operare in fondo
ateo, incredulo, pur se apparentemente buono" (Briciole
dalla tavola della Parola, pag. 101).
Ci
volevi fuori dal recinto, ma forse ci siamo rimasti. Se
usciamo per lo più è per fare crociate. Non
certo per stupirci dell'opera di Dio in Ninive, la grande
città. Siamo rimasti crucciati e irritati come Giona.
Qualcuno -credimi, ma tu lo sai- qualcuno dei vicini, è
urtato da questo coro di voci, fuori del recinto, che chiedono
che tu rimanga con noi, urtato da questa udienza, sempre
colma di attenzione e di stima nei tuoi confronti da parte
del cosiddetto "mondo laico". Succedeva anche
ai tempi di Gesù: le accuse più astiose venivano
dai vicini ed erano per quel suo mangiare e bere con i peccatori.
Non mi interessa -e tu lo sai- leggere questo coro di voci
in termini di pressione perché tu rimanga, né
mi appartengono le sottigliezze dei teologi che sono soliti
disquisire sull'autenticità della fede degli altri.
Mi appartiene la gioia, la gioia di chi legge con emozione
l'aprirsi dei cuori, lo schiudersi dei recinti chiusi. Mi
appartiene lo stupore per le fessure dello spirito.
Mi appartiene la convinzione -tu me l'hai insegnata e qualcuno
l'ha messa per iscritto- che "gli uomini e le donne
d'oggi vedono chi ha nel bagaglio cose autentiche, acqua
che disseta, cibo che nutre e capiscono che la sicurezza,
pur umile, ha una ragione profonda, ben diversa dalla rumorosa
ostentazione del venditore di cianfrusaglie".
Perdonami.
Le troppe parole hanno scolorito l'immagine, quella del
Pastore che "conduce le pecore fuori del recinto, cammina
innanzi a loro, le pecore lo seguono perché conoscono
la voce".
Chiudo con la poesia di una donna, un suo verso: "Cercami
nelle parole che non ho trovato".
don
Angelo
P.S.
per chi legge:
Se vuoi ricordare con noi il cammino dell'Arcivescovo, vieni
a festeggiare con noi giovedì 31 maggio, alle ore
21.
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