La
Chiesa di Francesco
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Tanto si è detto e scritto - a proposito e non - sulla
figura di Francesco in questo primo anno di pontificato.
Una forse delle manifestazioni meno esplorate del suo ministero
è stata la sua capacità di indignazione. Ne parliamo con
don Angelo Casati, presbitero della diocesi di Milano, per
più di vent'anni nella parrocchia di San Giovanni in Laterano,
autore di numerose pubblicazioni che spaziano dalla poesia,
a commenti alla Parola, a riflessioni spirituali (e storica
firma di Servitium). Di fronte a qualcosa che minaccia o
addirittura ferisce la dignità umana, Francesco ha spesso
levato forte la sua voce. Con la sua capacità di indignarsi
Francesco si è scagliato forse, prima di tutto, contro l'incapacità
di comprendere di chi reca l'offesa, in quanto non sa valutare
che mette in gioco qualcosa che pure lo riguarda. Come vedi
lo "stile Francesco" su questo punto?
AC Concordo: tanto si è detto in questo anno di Francesco,
il vescovo di Roma. Secondo alcuni troppo. Ma sarebbe anche
opportuno chiederci perché il mondo ne abbia parlato e ne
stia parlando ancora così tanto. Personalmente ritengo che
in gran parte accada perché è come se in lui, e non semplicemente
nelle sue parole, donne e uomini di oggi intravvedessero
qualcosa del vangelo, come se il mondo avvertisse che per
mezzo di lui si sta introducendo nella chiesa un clima nuovo,
più evangelico, un atteggiamento non di condanna ma di sostegno,
un invito ad avere più fiducia in Dio, nella vita, nelle
possibilità dell'essere umano. Questa osservazione mi introduce
a osare un frammento di risposta alla domanda sullo "stile
Francesco" a proposito di "indignazione". La tua domanda
infatti sullo "stile", a mio avviso, coglie lucidamente
il nodo del problema. Un po' rozzamente mi verrebbe da dire
che parole di indignazione, anche se non forse nel numero
che ci saremmo aspettati, ne sono state pronunciate lungo
i tempi dagli uomini di chiesa. Ma la novità mi sembra di
scorgerla nello stile della indignazione di Francesco. Lo
stile che non è un dettaglio, come a volte si è tentati
di pensare, ma è già per se stesso annuncio e messaggio
evangelico. Le indignazioni del passato, non tutte certo,
spesso ci sembravano venire dall'alto nella forma della
declamazione, una declamazione apparentemente a occhi asciutti.
Era come se gli uomini di chiesa lo facessero senza metterci
volto, come se la cosa riguardasse la chiesa in astratto.
Non dico che le parole di Francesco non siano un pronunciamento
della chiesa, ma mi sembra di avvertirle come abitate da
una sofferenza personale, come di uno che ha visto, ha toccato,
e parla dopo aver visto e toccato. Ha visto e toccato l'offesa
della carne e la porta negli occhi dolenti, nella voce che
implora difesa. Uno che, per stare all'immagine, si porta
addosso l'odore delle pecore.
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Francesco, nelle sue varie denunce - sia intra che extra
ecclesiali,- non si è tanto soffermato solo su un singolo
diritto violato, ma ha sottolineato forse più ciò che in
quella violazione viene potentemente alla ribalta, ciò che
quel diritto dichiara come valore da preservare e che invece
viene misconosciuto. È quello che in tante occasioni Francesco
ha denunciato sotto il motto: "Peccatori sì, corrotti no!",
contro cioè il rischio di accettare lo stato di corruzione
come fosse solo... un peccato in più. Spesso il papa ha
evidenziato come il corrotto compaia nel Vangelo come colui
che gioca con la verità. Come vedi su questo punto il Francesco-pensiero?
AC
Mi sembra di cogliere in quello che tu chiami "Francesco-pensiero"
quasi lo sgomento davanti a un assurdo che ha per lui dell'incredibile",
davanti a un concentrato di disumanità che ha dell'inimmaginabile,
quasi una sfigurazione dell'immagine di Dio abissalmente
inconcepibile. Quasi che nel suo pensiero Francesco potesse
in qualche misura capire, pur non giustificandolo, un peccato
che parla di una debolezza umana, un peccato che vive di
un momento, che viene riconosciuto come tale. Mentre diventa
umanamente radicalmente devastante, per lui inconcepibile,
il peccato di chi a occhi aperti, senza un minimo di esitazione,
con efferatezza, piega tutto ai propri disegni, incurante
del grido di sangue che sale a Dio dalla terra. Per di più
dentro un sistema che si rigenera imperterrito nel tempo.
Dentro un sistema inquietante anche per questo: perché,
per paradosso, si avvale strumentalmente di riti, di parole,
di libri, di gesti che appartengono alla fede, assurdamente
abusati, per dire e difendere ciò che alle radici sconsacra
e violenta il messaggio della fede. Un sistema che non ha
nessuna relazione, né potrà mai averla, con Dio. È la vittoria
della cecità interessata. A volte mi capita di riandare
nella memoria alla indignazione di Gesù. Il mio è un pensiero
molto personale, posso sbagliarmi, ma nel Vangelo i "guai!"
più duri, apparentemente senza pietà, di Gesù sono stati
indirizzati a chi, da un lato, abusava della religione per
fini personali o di gruppo e, dall'altro, a chi abusava
di piccoli e di poveri. Gli stessi toni sembra di ritrovare
nelle parole di Francesco contro i corrotti, i corrotti
politici, i corrotti ecclesiastici, i corrotti affaristi.
La durezza dell'indignazione per il disprezzo dei piccoli
e dei poveri sembra allora accendere le parole del papa:
"Scandalizzano, perché sfruttano quelli che non possono
difendersi, schiavizzano". Essi, dice, "hanno sfruttato
gli innocenti, coloro che non possono difendersi e lo hanno
fatto con i guanti bianchi, da lontano, senza sporcarsi
le mani". Eco dell'indignazione di Gesù per l'ipocrisia
trionfante.
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La forza profetica del vangelo è per Francesco ciò che
ci colloca nella verità delle cose. Egli la "utilizza" però
non per condannare ma per invitare alla conversione chi
è slegato dalla relazione con Dio. Quanto la missione di
Francesco può su questo punto correre dei rischi?
AC
Nella durezza dell'indignazione, quella di papa Francesco
come quella di Gesù, sembra di vedere un estremo tentativo
di svegliare una coscienza assopita e comatosa. Lo sguardo
non è inceneritore, lo sguardo svela un desiderio, nonostante
tutto, di salvezza. Il suo riferimento va ad Acab, a Zaccheo.
C'è una porta di uscita, una porta di uscita per i corrotti?
Sì! "Quando sentì tali parole, Acab si stracciò le vesti,
indossò un sacco sul suo corpo e digiunò. Si coricava con
il sacco e camminava a testa bassa. Cominciò a fare penitenza."
Questa, sottolinea il papa, "è la porta di uscita per i
corrotti, per corrotti politici, per i corrotti affaristi
e per i corrotti ecclesiastici: chiedere perdono!". Aggiunge:
"Dio perdona, ma perdona quando i corrotti fanno quello
che ha fatto Zaccheo: "Ho rubato, Signore! Darò quattro
volte quello che ho rubato! ". Siamo lontani da un buonismo
a basso prezzo, il prezzo davanti all'accadere della misericordia
non può essere se non la conversione. Questo rimane in assoluto
il cuore dell'evangelo che non può essere impallidito: "Dio
ha tanto amato il mondo da dare per noi il suo figlio, l'unico".
Dovremmo scriverlo sulle pareti delle chiese, e forse ancor
più sulle pareti dell'anima. L'amore e l'ampiezza: "Ha amato...
il mondo". Se c'è un pericolo per la chiesa d'oggi - e ce
ne mette in guardia papa Francesco, nella Evangelii gaudium
- è quello di una fede che insiste su aspetti secondari
e non si concentra sull'essenziale, su ciò che è più bello,
più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario.
Succede - dice - quando si parla più della legge che della
grazia, più della chiesa che di Gesù Cristo, più del papa
che della parola di Dio. Se tale invito non risplende con
forza e attrattiva - dice il papa -, l'edificio morale della
chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte,
e questo è il nostro peggior pericolo. Poiché allora non
sarà propriamente il vangelo ciò che si annuncia, ma alcuni
accenti dottrinali o morali, che procedono da determinate
opzioni ideologiche. Il messaggio correrà il rischio di
perdere la sua freschezza e di non avere più "il profumo
del vangelo" (nn. 35.38.39). Nemmeno il grido dell'indignazione
può velare il cuore del vangelo. Nessuna cella è così isolata
da escludere il Signore, nessuna; lui è lì, piange con loro,
lavora con loro, spera con loro; il suo amore paterno e
materno arriva dappertutto. (Ai cappellani del carcere,
23.10.2013) Così lo scorso anno Francesco denunciava - con
parole forse inusuali come tono - la realtà carceraria italiana.
Quale il valore anche "politico" di pronunciamenti come
questo o come la prima lavanda dei piedi nel carcere minorile
di Casal di Marmo? Quanto la verticalità intreccia l'orizzontalità?
Il valore "politico", a mio avviso, sta nell'attenzione
che il papa suscita con i suoi gesti. Mi viene fatto di
pensare che immediatamente lui non compia i gesti per insegnare,
li compie perché è la sua natura, è la natura stessa del
vangelo. Gesù ha lavato i piedi sporchi di sabbie e stanchi
di cammino dei suoi discepoli e lui, perché la cena del
giovedì santo sia nella verità, va a celebrarla nel carcere
minorile di Casal di Marmo e durante la liturgia lava i
piedi a dodici giovani detenuti di nazionalità e confessioni
diverse, tra cui due ragazze, una italiana di religione
cattolica e una serba, nata a Roma, di fede musulmana. "Questi
ragazzi mi aiuteranno di più a essere umile, a essere servitore,
come dev'essere un vescovo" dice al termine della visita
all'istituto. "Quando mi è stato chiesto dove volevo andare
in visita, la scelta di Casal di Marmo mi è venuta dal cuore"
ha aggiunto, "le cose del cuore non hanno spiegazione".
Sono gesti che dicono che l'altro è di più della colpa che
lo può aver condannato, è persona con cui si può coltivare
una relazione. Ai cappellani delle carceri ha confidato
di tenere rapporti con i detenuti del carcere di Buenos
Aires, continua a ricevere lettere da loro e li chiama per
telefono. Tocca alla politica rilevare quanto le condizioni
delle carceri suonino sconfessione aperta della dignità
di chi è incarcerato. Dirà: Anche Dio è un carcerato, non
rimane fuori dalla cella. Lui è un carcerato, dei nostri
egoismi, dei nostri sistemi, delle tante ingiustizie che
è facile applicare per punire i più deboli, mentre i pesci
grossi nuotano liberamente nelle acque". Sempre rivolgendosi
ai cappellani dirà loro: Recentemente avete parlato di una
giustizia di riconciliazione, ma anche di una giustizia
di speranza, di porte aperte, di orizzonti, questa non è
una utopia, si può fare". L'invito è a fare!
FC
L'attenzione agli ultimi sembra uno dei leitmotiv anche
nella - scelta dei viaggi di Francesco. In Italia sembra
che finora abbia scelto soprattutto terre di sofferenza
dove alta si leva - o si dovrebbe levare - una voce di indignazione:
la Lampedusa dei profughi, la Sardegna della disoccupazione
epidemica, la Calabria e la Campania dove la sfida delle
mafie è massima. Sono tappe che indicano una sensibilità
nuova?
AC
Franca Giansoldati de Il Messaggero in una sua recente intervista
chiede a papa Francesco dove stia andando la "chiesa di
Bergoglio". Risposta: Grazie a Dio, non ho nessuna chiesa,
seguo Cristo. Non ho fondato niente dal punto di vista dello
stile non sono cambiato da come ero a Buenos Aires. Sì,
forse qualcosina, perché si deve, ma cambiare alla mia età
sarebbe stato ridicolo. Seguo Cristo. E sembra di cogliere
in Francesco, oserei dire, una meraviglia o meglio uno sconcerto
per una chiesa che non ascolta il grido dei poveri. Parole
forti le sue che prendono di petto i "difensori dell'ortodossia"
che poi risultano gravemente colpevoli di complicità con
situazioni di ingiustizia. Parlando dell'opzione per i poveri,
così scrive nella Evangeli gaudium, al n. 194: È un messaggio
così chiaro, così diretto, così semplice ed eloquente, che
nessuna ermeneutica ecclesiale ha il diritto di relativizzarlo.
La riflessione della chiesa su questi testi non dovrebbe
oscurare o indebolire il loro significato esortativo, ma
piuttosto aiutare a farli propri con coraggio e fervore.
Perché complicare ciò che è così semplice? [...] Gesù ci
ha indicato questo cammino di riconoscimento dell'altro
con le sue parole e con i suoi gesti. Perché oscurare ciò
che è così chiaro? Non preoccupiamoci solo di non cadere
in errori dottrinali, ma anche di essere fedeli a questo
cammino luminoso di vita e di sapienza. Perché ai difensori
dell'ortodossia si rivolge a volte il rimprovero di passività,
d'indulgenza o di colpevoli complicità rispetto a situazioni
di ingiustizia intollerabili e verso i regimi politici che
le mantengono. Sempre in Evangelii gaudium Francesco scrive:
"Dio ci liberi da una chiesa mondana sotto drappeggi spirituali
o pastorali! Prosegue il papa: "Questa mondanità asfissiante
si sana assaporando l'aria pura dello Spirito santo, che
ci libera dal rimanere centrati in noi stessi, nascosti
in un'appartenenza religiosa vuota di Dio".
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Recentemente il vescovo Bregantini ha affermato: "Corriamo
il rischio di una chiesa che ammira papa Francesco ma non
lo segue". Si corre veramente il rischio di uno "scarto"
e di una chiesa che però non sia neppure in grado di andare
oltre l'indignazione?
AC
Questa mi sembra la sfida e questo il rischio che stiamo
correndo, quello in cui largamente e scandalosamente siamo
incorsi lungo i secoli, quello della declamazione, una chiesa
che declama dall'alto; come dice mons. Bregantini, una chiesa
che "ammira il papa ma non lo segue". Abbiamo visto troppo
spesso piazze affollate, esaltate in una "appartenenza religiosa
vuota di Dio": così ne parla Francesco. Una chiesa centrata
su se stessa, preoccupata di sé, dei suoi beni e dei suoi
successi e dunque una chiesa che sbandiera il papa come
il suo fiore all'occhiello, quasi le fosse offerta una chance
insperata di dare lustro a se stessa. Come non augurarci
che questo sia invece, per grazia, il momento, l'occasione
da non lasciarci sfuggire, l'occasione di un papa "cristiano"
- tale definiva papa Giovanni XXIII Hannah Arendt in un
suo minuscolo libro - per rivedere noi stessi, la chiesa
in ogni sua espressione e articolazione, alla luce del vangelo.
Per una sequela più fedele del Signore. E pregare che il
sangue scorra nelle vene.
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