OCCUPARE
LA TERRA O EREDITARLA?
ovvero la paura della mitezza e dell'umiltà
Mitezza
e umiltà, parole in esilio. E fossero solo le parole
in esilio. In esilio sembrano essere le donne e gli uomini
che ancora osano impenitenti scommettere su mitezza e
umiltà. Quasi fossero degli alieni nella stagione
dell'urlo. Ti è mai capitato di chiederti assistendo
ai dibattiti televisivi ridotti a salotti del nulla, se
a qualcuno di coloro che ormai vi hanno dimora pressoché
permanente, rimanga un briciolo che è un briciolo
di umiltà e mitezza. Moneta fuori corso. Incenerire
l'altro sembra ormai il sogno estremo.
Non
vorrei essere troppo pessimista, ma i salotti televisivi
sono semplicemente simbolo, simbolo inquietante di una
stagione, dove costume diffuso è celebrare, osannare,
adorare l'uomo forte, quello che fa sfoggio di muscoli
forti: muscoli forti, pensiero debole. Le due cose frequentemente
camminano a pari passo: forza arrogante e debolezza di
pensiero., mescola frequente, congiungimento purtroppo
inquietante.
I
miti, sembrano dirci i nuovi "sapienti", non
hanno futuro. La beatitudine del vangelo: "Beati
i miti
" lasciala raccontare, fa tenerezza,
nelle chiese. Poi fuori, inutile essere ingenui, è
un'altra cosa. Lascia che nelle chiese qualcuno ancora
cantileni con i salmi: "Chi fa affidamento sui carri
e sui cavalli: noi invochiamo il nome del Signore. Quelli
si piegano e cadono, ma noi resistiamo in piedi e siamo
saldi" (Sal 20,8-9). Poi, quando usciamo dai canti
e ci tocca fare i conti con la realtà, il nostro
aiuto ce lo cerchiamo sulla terra, in appoggi e privilegi,
che non ci vengono certo dalla frequentazione di Dio.
Da ben altre frequentazioni e protezioni. Ci accorgiamo
che in ultima analisi ci fa paura uno stile mite ed umile.
E
ci accorgiamo, ed è triste dirlo, che una sorta
di paura della mitezza e dell'umiltà ha contagiato
perfino le chiese. Anche se non ci rimane l'onestà
e il coraggio di confessarlo. Sembrano razza in esilio
coloro che nella chiesa persistono a dare il cuore a uno
stile di mitezza e di umiltà. Si è giunti
a pensare che servono i toni forti. E bando mostrare l'altra
guancia! Metti alle corde il tuo avversario. Rispondi
colpo su colpo. Non puoi avere che uno sguardo di benevola
commiserazione per coloro che persistono a confidare nella
fionda e nelle pietruzze di Davide e non invece nella
più sicura spavalda arrogante corazza di Golia.
Osservo
e, lo confesso, mi prende tristezza. Eppure mi ritornano,
nonostante tutto, quasi messaggio di sfida e di resistenti
in tempi di distanza, le parole del monte, ad assicurami
che. a dispetto di quanto ci dicono, saranno i miti a
ereditare la terra. "Beati i miti
avranno in
eredità la terra" (Mt 5,5). E le parole allora
rimasero a memoria nel cuore di qualcuno, pur se apparivano
parole sconfitte. Rimasero e furono scritte. A memoria.
A memoria dei resistenti.
Era
buona notizia, era notizia buona che il rabbi di Nazaret,
lasciasse, quasi penultima sua icona, quell' assurdo ingresso,
poi chiamato trionfale, su un asino da soma, ripudiando
la frenesia spavalda dei cavalli. Notizia buona che il
rabbi di Nazaret lasciasse a insegnamento e cosa da fare,
ultima icona, quel suo cingersi i fianchi di grembiule
e chinarsi su piedi sporchi di sabbie e di fatiche. Era
il suo racconto di Dio, era la sua indicazione su come
ereditare la terra.
Come
ereditare quaggiù una terra degna di essere sperata?
La piccola folla del Vangelo fece festa per le strade
nel giorno di quell'inusuale ingresso: celebrava un Messia
che aveva avuto cuore per tutti, anche per i piccoli e
i deboli, per i peccatori, uno che non aveva tenuto le
distanze. Così diverso dalle autorità che
sorvegliano e incutono paura, che tengono le distanze.
Era finito il tempo della paura, era cominciato il tempo
della libertà.
Ma come non capire che inseguendo altre strade, il risultato
è che si defrauda la terra della buona notizia
del vangelo. Quando una chiesa dimenticò il grembiule
e indossò le modalità dell'impero, cancellò
dal mondo la notizia buona, divenne ovvietà sulla
terra. Oggi rimandiamo immagini e immagini di chiesa che
richiamano da vicino da troppo vicino, fino a una sacrilega
identificazione, le esibizioni, i riti, le macchinazioni
del potere. Dove la mitezza e l'umiltà? Ma così
è perdita di terra, è chiesa senza eredità.
Gli arroganti possono sì conquistare una terra,
ma è terra di occupazione I miti al contrario l'hanno
in eredità, in benedizione.
Una
benedizione che sembra allontanarsi di questi tempi.
Scrive
Enzo Bianchi : "Quelli in cui viviamo sono "giorni
cattivi" per coloro che credono nel dialogo tra credenti
cristiani e non cristiani e tra cattolici e laici. Troppo
spesso alcuni cattolici sembrano voler costituire gruppi
di pressione in cui la proposta della fede non avviene
nella mitezza e nel rispetto dell'altro. Dove prevale
l'intransigenza e l'arrogante contrapposizione a una società
giudicata malsana e priva di valori".
Lo
stile, ci ricorda ancora il priore di Bose, è tanto
importante quanto il contenuto del messaggio, conta quanto
il messaggio: "Lo stile con cui il cristiano sta
nella compagnia degli uomini e è determinante:
da esso dipende la fede stessa, perché non si può
annunciare un Gesù mite e umile, che racconta Dio
nella mitezza, nell'umiltà, nella misericordia
e farlo con stile arrogante, con toni forti o addirittura
con atteggiamenti mondani che appartengono a stagioni
della politica o della militanza sociale".
La testimonianza ha bisogno di stile, ma in questo momento
c'è poco stile. Quando i cristiani non hanno più
l'attenzione alla mitezza e all'umiltà, cioè
allo stile evangelico, sono dei militanti, non sono più
dei discepoli del Signore". E i militanti occupano
le terre, i miti e gli umili ereditano la terra del cuore,
la ereditano anche in altre terre.
Mi
viene spontanei ricordare la vicenda dei sette monaci
trappisti uccisi in Algeria nel 1996, rapiti nella notte
del 26 marzo, per due mesi nessuna notizia, il 21 maggio
i fondamentalisti islamici annunciano: "Ai monaci
abbiamo tagliato la gola". Il 30 vengono trovati
cadaveri.
Nel
suo testamento frère Christian, uno dei sette aveva
scritto: "Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere
oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra coinvolgere
ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei
che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia
si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo
paese
E anche per te, amico dell'ultimo minuto che
non avrai saputo quello che facevi, anche per te voglio
questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che
ci sia dato ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se
piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! Insc'Allah".
In
una lettera al vescovo mons. Henri Teissier una donna
musulmana, scriverà: "Dopo la tragedia e il
sacrifico vissuto da voi e da noi, dopo le lacrime e il
messaggio di vita, di onore, di tolleranza trasmesso a
voi e a noi dai nostri fratelli monaci, ho deciso di leggere
il testamento di Christian ad alta voce e con commozione
ai miei figli, perché ho sentito che era destinato
a tutti e a tutte".
Ritornano
al cuore le parole di Gesù: "I miti avranno
in eredità la terra". I sette monaci, i sette
miti hanno ereditato la terra, la terra del cuore di questa
donna e dei suoi figli, di molti musulmani di Algeria.
Oggi la nostra. La ereditano con la loro mitezza e umiltà.
Con l'arroganza non si eredita una terra, si eredità
una giungla.
don
Angelo