GIORNI
DELLA DESOLAZIONE O DELLA RICOSTRUZIONE?
alla vigilia delle elezioni
Stiamo discendendo. Che sia discesa agli inferi? Ti confesso
che sono giorni che tento invano di fuggirli. Fuggo da un
canale, me li ritrovo su un altro. Soffro persecuzione Non
mi riconosco nei loro volti. Truccati. Intuisco che mi vogliono
comprare. Come un giorno le vacche sulle piazze del mercato.
Ma allora c'era più colore di vita e più fantasia.
Più allegria, mi dicono. Sulle piazze del mercato.
Le furbizie erano scoperte, svelate, davano allegria.
Oggi,
sul "mercato" televisivo i volti sono senza fantasia.
E non è furbizia ingenua, quella che traspare oggi,
è corruzione. E più soldi hanno, più
li vedo. Trionfanti dagli schermi: Ampiamente pagati. Una
fiera di venditori.
Per
contraccolpo, come li vedo, mi si accendono a refrain le
parole di un vecchio proverbio -antica sapienza! - che non
finisce di rimuginarmi dentro, nella mente. Sapienza dialettale,
ma sapienza. Sapienza di come va la vita: "chi vusa
pussè" dicevano i nostri vecchi "la vaca
l'è sua". Parole che tradotte vengono a dire:
"chi urla di più, la vacca è sua".
Come a dire che le vacche se le prendono gli urlatori. Le
vacche. E i risultati elettorali?
Ma
come mai - mi chiedevo - come mai siamo finiti in mano ai
venditori? Fino allo scempio cui stiamo assistendo? Ci hanno
venduto una civiltà che è inciviltà,
un benessere che è malessere, un progresso che è
regresso. E hanno avuto anche la spudoratezza di chiamarla
civiltà, di chiamarla civiltà cristiana.
Ci
hanno rubato l'anima. Mentre mettevano in prigione i ladri
di quattro soldi, ci hanno rubato l'anima. Dentro un clima
- e avviso di reato viene a noi - dentro un clima di assuefazione
generale. Dentro il sonno della ragione, dentro l'afasia
assordante delle gerarchie, interessate ad altro. E si fa
scempio dell'anima. Nemmeno abbiamo udito, per sordità
dello spirito, l'urlo dei profeti, dei profeti di tutti
i tempi, che si levava a notte , a monito, dalle tombe.
Per questo sfregio, per questo scempio d'anima. D'anima
e d'umanità. Un panorama desolante. Dove la fatuità,
l'artificio, la menzogna, la corruzione, la furbizia dei
disonesti, lo scempio dei sentimenti, lo svilimento della
donna, la devastazione del suo corpo, la seduzione dell'adolescenza
per miti di carta colorata, fanno scuola, nei salotti del
vuoto, dalle tribune e dai palchi di satrapi e sultani.
E la corte a incensare. A incensare il vuoto, il vuoto d'anima.
Come
mai siamo finiti in mano ai venditori? Per mancanza - così
penso - di sussulti di pensiero. Ci ha rovinati la mentalità
della delega, quella che ci insegna che il dono di pensare
l' hanno altri, a noi tocca seguire. Ciecamente. Non ci
hanno mai, quasi mai, commentato l'invito di Gesù
a giudicare. Molto commentato e giustamente l'invito a "non
giudicare", nel senso di non emanare sentenze di esilio
o di morte nei confronti di qualcuno. Ma poco, o quasi mai,
ricordato l'invito a giudicare, e da noi stessi! E non per
imbeccate dall'alto! A giudicare ciò che è
giusto. Rimprovero severo: "e perchè non giudicate
da voi stessi ciò che è giusto?" (Lc
12,57)
Di
qui l'appiattimento. Ingoiamo tutto. O pensando che non
è poi così male o non rendendoci nemmeno conto
di ciò che ci viene propinato. Ho letto di un bambino
che riempie di botte un suo compagno semplicemente, drammaticamente,
perché ha un colore del viso diverso. "Perché
non giudicate?" ci direbbe Gesù. Noi ingoiamo,
nella sovrana indifferenza. L'esempio è piccolo.
Ma, sbaglierò, è sintomatico. Di una malattia.
Giudicate da dove viene. E perché non giudicate da
voi stessi ciò che è giusto? Sollevate indignazione.
E
pochi - mi sembrano pochi! - a reagire. Pochi a insegnare
che l'onestà è ancora una virtù, che
la giustizia è ancora una virtù, che il rispetto
è ancora una virtù. Ma non nel senso del peso
che ti affatica, ma della bellezza tua e dell'umanità,
della bellezza che rende luminosi i volti. Onestà.
Giustizia, rispetto che vanno onorati. Ci rendono belli.
E luminosi. Rendono bella una terra.
Dove
mai ancora s'insegna a un figlio che tu sei veramente, grande
e bello e beato, sì proprio tu, che a uno che si
permette, per "grande" che sia, di sedurti con
basse volgari sirene, tu abbassi il telefono, tu chiudi,
tu resisti. Perché tu della dignità hai un'idea
diversa, così come hai un'idea diversa dell'altro,
che sia italiano o marocchino, della donna che sia italiana
o slava o africana, del corpo che sia di un uomo o di una
donna, del denaro e del lavoro, della società e della
terra, del tuo popolo e degli altri popoli. Della vita.
Tu hai un'idea diversa. E non la baratti. E non la cambi
secondo che l'aria dei sondaggi spinga in un senso o nell'altro.
Non la cambi. Perché tu il sondaggio lo fai nella
coscienza. E a condurti è questa voce che ti parla
dentro. A condurti, se sei un credente, è la parola
del tuo Dio. Che non può benedire menzogna e falsità,
corruzione e vanità. Perché tu hai un'altra
immagine di umanità e, se credi, un'altra immagine
di Dio. Che non muta al mutare dei sondaggi. Tu non metti
il cervello all'ammasso dei sondaggi. E' giunta l'ora di
dire: io non ci sto.
Chiudevo
il televisore. Era, tu mi capisci, un bisogno di aria, di
aria nuova, che mi faceva chiudere. Chiudere e cercare.
Cercare altrove. Era un bisogno di fissare altro. Sono andato
a cercare altro. Ho aperto il Libro, per un bisogno quasi
fisico di udire la voce, la sua , che mi ridicesse le beatitudini
del monte. Mi sono ripreso in mano il vangelo. Per desiderio
di lavare gli occhi. Me li sentivo sporcati. Forse, perdona
se ti coinvolgo, forse un po' tutti ci sentiamo gli occhi
sporcati. Ce li hanno sporcati. Ho riaperto il Libro. E
lui, non cambiava né parole né tono di voce.
Ho respirato. Meno male, mi sono detto, che almeno le sue
parole, quelle scritte, loro che trasformano la realtà
in base ai loro interessi e ai loro sondaggi, non hanno
il potere di cambiarle. Né le parole né il
timbro della sua voce. Lui continuava a dire beati quelli.
E non gli altri. A memoria.
Sono
andato a cercare altro, tra i miei libri. Era troppo il
bisogno di aria. Di aria nuova. Sono andato a rileggere
alcune delle "Lettere dei condannati a morte della
resistenza". Una l'avevo sentita rileggere da Gustavo
Zagrebelsky giorni prima ad una trasmissione televisiva.
Era la lettera di un giovane scritta poco prima di morire
al suo padre adottivo:
Caro
Papà,
benché non sia nato nel tuo stesso letto e non porti
il tuo nome, sono riconoscente di quanto hai fatto per me
nella vita terrena.
Sono sull'orlo della vita terrena e mi involo nel più
alto dei cieli. Tu che sei un uomo di alti sentimenti, sappi
che tuo figlio muore per un alto ideale, per l'ideale della
Patria più libera e più bella. Di' al mio
vero papà che lo perdono di tutto il male che ha
fatto e che questo lo stimoli ad essere un uomo onesto nella
vita. Caro papà, tutta la mia riconoscenza te la
esprimo col mio cuore. Caro papà, sappi che non ho
amato come mio insegnante di vita laboriosa ed onesta altro
che te. Scusami se ti scrivo in questa maniera ma queste
sono parole che mi escono dal cuore in questo triste e nello
stesso tempo bel momento di morte. Col cuore straziato ti
lascio baciandoti caramente.
Tuo per sempre figlio. Renzo
"Le
Lettere" scrive Gustavo Zagrebelsky nella nota introduttiva
"contengono la voce di un altro popolo; di uomini e
donne, appartenenti a tutte le età e a ogni classe
sociale, consapevoli del dovere della libertà e del
prezzo ch'essa, in momenti estremi, comporta. Chiunque anche
oggi le leggerà, vi troverà un'altra Italia
e non potrà non domandarsi se davvero non ci sia
più bisogno di quella voce o se, al contrario, non
si debba fare di tutto per tramandarla e mantenerla viva
nella coscienza, come radice da cui ancora attingere forza".
C'è
bisogno di quelle voci. C'è bisogno oggi. Ho letto,
ho attinto forza. Ti confesso che oggi, in presenza di questo
scialo di sentimenti e di onestà, a volte mi prende
la sensazione che mi prendeva da piccolo, alla fine della
guerra, davanti alle nostre terre bombardate. Era sì
desolazione, ma negli occhi respirava una voglia, una passione
di ricostruire. Quella che oggi non mi sembra di vedere.
Voglia e passione di ricostruire su altri modelli. Ognuno
cominciando là dove la vita lo ha chiamato.
Nei
mesi scorsi, a seguito di una lettera forse venata di un
eccesso di pessimismo, qualcuno rispose con l'invito a resistere
e a ricostruire, là dove si è. Vorrei ricordare
due lettere che mi hanno molto colpito. Una di Filippo,
l'altra di Antonella. Aria buona.
Scrive
Filippo:
E'
una risposta negativa, anarchica, di chi ha perso la speranza
dell'altezza.
E chi ce l'ha in questo paese? Chi pensa che possa evolversi
e passare da essere lo slum del capitale mondiale a una
casa? Io penso. Mettersi in discussione sul lavoro, nei
rapporti con gli altri, coltivare il senso del dubbio, guardare
in faccia l'incertezza non per conviverci ma per trovare
una alternativa. Rischiare. Lavorare. Creare delle cellule
di legalità, di professionalità, che tra loro
si parlano, che costruiscono sinapsi, come ho contribuito
a fare anche io con il mio lavoro.
Nel mio piccolo ho sperimentato che è possibile.
Con altri quattro colleghi abbiamo alimentato a Monza un
sistema di formazione continua (gratuito) per i professionisti,
abbiamo creato un mercato per gli immobili venduti in sede
d'asta che ha coinvolto oltre che altri tribunali, anche
(per alcuni aspetti) il legislatore del 2006. Ora che ho
lasciato quel lavoro, la "creatura" vive di vita
propria, si autoalimenta. Non è finita come Mani
Pulite. Ed è fonte di nuove occasioni di riflessione,
di approfondimenti per chi è rimasto. Alla vigilia
di questo 25 aprile inviterei tutti a comunicare qualcosa
che li ha fatti sentire orgogliosi di questo paese. Filippo
D'Aquino
Risponde
Antonella:
Mah
l'orgoglio nazionale non è il mio forte.
Spesso penso che sarebbe meglio andarsene altrove e basta.
.
Tuttavia cogliendo l'invito di Filippo vorrei raccontarvi
la mia giornata dell'8 marzo di quest'anno. L'ho passata
a Brugherio nell'Aula Consiliare in cui si firmava pubblicamente
un protocollo d'intesa contro la violenza alle donne. .
Il progetto ha coinvolto l'Amministrazione Comunale, una
fitta rete di associazioni di volontariato da anni attive
in questo settore, le forze dell'ordine, i ragazzi e le
ragazze del CAG (che hanno seguito un percorso informativo
con il Centro Antiviolenza di Monza e hanno messo in scena
una performance di musica e poesia sulle tematiche del femminile).
Il pubblico era davvero numeroso. .
Ho incontrato persone da anni impegnate per trasformare
una realtà di prevaricazione e ingiustizia (paradossalmente
evidente e latente nello stesso tempo; ho ascoltato discorsi
pieni di competenza e privi di ipocrisia ( nel riconoscere
ad esempio che la stragrande maggioranza di casi di violenza
alle donne si dà tra le mura domestiche ad opera
di italianissimi insospettabili signori e molto più
raramente per strada ad opera del solito sporco rumeno);
soprattutto si è davvero fatto qualcosa, costruito
in modo intelligente e condiviso. Beh ecco, in quel pomeriggio
io avevo il cuore più leggero; ho pensato che forse
è ancora possibile vivere in questo paese. Ciao.
Antonella
Segni che invitano a resistere. E a costruire.
don
Angelo
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