Sarai
beato perché non hanno da ricambiarti
A volte i pensieri nascono da una voce. Anche questi di
giugno.
Sento
la voce al telefono, vedo gli occhi. Eppure il mio è
un telefono normale. Senza sofisticate prestazioni.
Tu
mi perdonerai per questa premessa. Sento la voce, vedo gli
occhi. Sono i miracoli dellamicizia: vedere linvisibile,
vedere gli occhi. Mi sento fortunato. Non tutti, allascolto
di una voce, vedono occhi. O non tutti sanno che anche questo
è regalo: regalo è una voce che ti porti gli
occhi. Normale, direbbe qualcuno. Io non lo penso: mi sembra
regalo! È una questione di sguardo. Pulisciti gli
occhi, mi dico spesso. Che sono ingombri dellovvietà.
Ovvio? Tutto ormai sta diventando ovvio, fuorché
leccezionale. Che spesso è scintillio del vuoto.
Ovvio? No, dono. Dono anche una voce che ti porta gli occhi.
È
la voce di unamica. Parla di una fatica strana. Come
ne portasse il peso. Fatica, che paradossalmente chiamerei
fatica da regali. Lamica mi parla di cose
che sembrano piccole. Ma le cose piccole fanno la vita.
E ci si trova così, senza volerlo, a esplorare, per
telefono, territori che vanno disegnando costumi del vivere.
Siamo
alla fine di un anno, i bambini stanno terminando le scuole,
hanno fine i loro mille impegni. Ed ecco il rito, a volte
estenuante, dei regali. Ci si deve occupare del regalo allinsegnante,
del regalo alla catechista, del regalo alla rappresentante
di classe. E che ci sia una proporzione nei regali! Ma il
rito forse, senza forse, non è solo nei
giorni di fine anno. Basterebbe pensare agli inviti alle
feste dei bambini, feste di compleanni o di quantaltro:
sei stato invitato, devi invitare; hai dato ospitalità
a dei compagni di classe dei tuoi bimbi, lospitalità
va restituita. Tutto deve corrispondere, come se tutto dovesse
collocarsi in un incastro: a tanto tanto. È lo scambio.
Domina lo scambio.
È
come se stessimo assistendo - e non senza rischio di contagio,
lo dobbiamo riconoscere - a un processo, sempre più
invadente e devastante, di mercificazione. Tutto è
mercato, sembra la stagione del mercato, il grande mercato.
Stagione di imbonitori che urlano per indurti a comprare.
In tutti i campi.
Si
compra tutto. Con i soldi - si dice o si fa capire - si
può comprare tutto. Anche i sentimenti, le persone,
il pensiero, il futuro, lanima della gente. Domina
la legge del mercato: io ti do, tu mi dai. Nella più
pura proporzionalità. A prestazione deve corrispondere
prestazione. Abbiamo pareggiato i conti, siamo alla pari.
A prestazione corrisponde il giusto prezzo.
Si
riducono gli spazi della gratuità. Si cancella il
disordine della gratuità. Che racconta
una sproporzione, annuncia una dismisura. A tal punto si
riducono gli spazi della gratuità che, quando, per
avventura o per grazia, ti sembra, stropicciandoti gli occhi,
di sorprendere un gesto gratuito, subito qualcuno va a smorzare
il tuo entusiasmo, insinuandoti il dubbio: no
ti si dice non è possibile, ci sarà
un secondo fine, un interesse nascosto. Tanto il gratuito
sembra fuori paese, fuori del nostro paese.
Consumati,
pesantemente consumati, dal-lopinione che tutto si
paga, siamo arrivati al paradosso che se qualcosa viene
offerto gratuitamente, non ha valore. O ne ha ben poco nella
stima generale.
Eppure
sussulti verso la gratuità erano custoditi - lo dobbiamo
confessare - nel tesoro della fede. Dico erano custoditi,
perché a volte mi sembra di assistere alla seduzione
del mercato allinterno stesso del mondo ecclesiastico,
dove il Dio predicato sembra troppo spesso il Dio che va
soddisfatto con le prestazioni, comprato con le indulgenze,
con la pretesa di pareggiare i conti. Perdendo, a mio avviso,
posso sbagliarmi, il cuore dellannuncio della nostra
fede. Questo sì, annuncio da fare stropicciare gli
occhi: un Dio che ti ama comunque. Gratuitamente. Non in
misura delle prestazioni.
Molti
di noi ricordano come in un delizioso racconto, che ci è
stato tramandato, si parli di crociati che, nelle loro peregrinazioni,
un giorno si imbatterono in una donna, una mistica, che
se ne andava senza mai fermarsi, portando in un secchio
dellacqua e nellaltro del fuoco. A chi le domandava
perché se ne andasse senza soste, portando acqua
e fuoco, rispondeva che portava acqua per spegnere le fiamme
dellinferno e fuoco per bruciare il paradiso, perché,
diceva, nessuno più facesse il bene per meritarsi
il paradiso o per il timore dellinferno, ma gratuitamente,
solo per la gioia di farlo.
Lo
scandalo del vangelo è questo, è questa gratuità.
Lo scandalo per cui Gesù fu violentemente criticato.
Criticato per quel suo stare a mensa con pubblicani e peccatori.
A scandalizzarsi erano i benpensanti della religione. Il
mugugno era verso quello stile di accoglienza indiscriminata.
Che Gesù difendeva con tutte le sue forze, perché
ne andava dellimmagine di Dio, che con la sua vita
andava raccontando. Non raccontava un Dio che, se sei giusto
ti ama, ma se sei peccatore ti fulmina: questa era la visione
meschina dei suoi oppositori, che non si sarebbero certo
scandalizzati per una cena con peccatori, purché
fossero dei convertiti! Con quelli ancora non convertiti,
come faceva Gesù, no. E Lui invece a raccontare un
Dio che non è stretto nel criterio del calcolo, io
ti do, tu mi dai.
Per
questo, anche per questo, il vangelo è notizia buona,
sorprendente. Che buona notizia sarebbe un Dio che dà
secondo le prestazioni? È quello che succede normalmente,
saremmo nellovvietà assoluta. Stupore del vangelo
è la grazia, che poi abbiamo ridotto
a una cosa, a una quantità da ottenere, dimenticando
che è la bellezza della gratuità
di Dio. Una bellezza che finisce per contagiare anche i
figli, i figli di un Padre che è lo splendore della
gratuità: un Dio che quan-danche tu perdessi
la fede, lui non ti perde, lui rimane fedele.
Dovremmo
più spesso ricordare che la gratuità, la parola
grazia, ha nella sua radice anche il significato
di bellezza. La chiesa che mercanteggia perde la bellezza
del suo Signore. Succede purtroppo anche di questi tempi:
si va a contrattare con coloro che contano. E si va a circoscrivere
linfinito del gratuito, linfinito della grazia.
Questa,
a mio avviso, può essere una, anche se non la sola,
una delle ragioni della pesantezza della chiesa. Talora
si respira un clima pesante, che risente di una perdita,
la perdita della gratuità: pesantezza della predicazione
di un giudizio di Dio che non è a salvezza, è
a incenerimento: incenerisce con linferno; pesantezza
del nostro giudizio, che ci fa inquisitori delle coscienze.
E tutto ciò non può avere come risultato se
non quello di renderci corposamente pesanti sia come singoli
sia come comunità, privi cioè della leggerezza,
della scioltezza, della libertà di Gesù e
del vangelo.
Pesantezza
della chiesa e pesantezza della società, pesantezza
del nostro vivere quotidiano, dove a regalo deve corrispondere
regalo, a tanto tanto. E perché avvenga la proporzione
- la proporzione, e non la sproporzione, non la grazia,
non la gratuità - ci si perde in corse sfibranti
al punto di rimanerne pesantemente prosciugati.
Una
domanda mi bussa al cuore: e se ci scambiassimo la gioia?
La domanda può suonare persino provocatoria: e se
ci scambiassimo la gioia?
Ma
non era forse un provocatore anche Gesù? Non era
forse stato provocatore il giorno in cui, in casa di uno
dei capi dei farisei che laveva invitato, rivoluzionò
la mappa degli inviti dicendo: Quando offri un pranzo
o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi
fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini,
perché anchessi non ti invitino a loro volta
e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un
banchetto, invita poveri, storpi, zoppi ; e sarai beato
perché non hanno da ricambiarti (Lc 14, 12-15).
E non era certo, il suo, un invito a escludere parenti e
amici, metteva invece in guardia da un costume, da una legge
asfissiante, quella del contraccambio, che sta segnando
pesantemente questa nostra stagione. Alzava il velo sulla
beatitudine della gratuità. Legge evangelica, lasciata
in eredità ai discepoli di tutti i tempi. Quasi fosse
questo il modo di prolungare la sua memoria sulla terra:
prolungate la mia memoria con uno stile di gratuità.
Stiamo prolungando la sua memoria?
Il
mio amico Vincenzo, frugando tra i ricordi della vita nei
campi, giorni fa parlava di un altro rito che
si celebrava, tra stalle e prati, nelle stagioni passate,
quando i contadini, al sopraggiungere della festa dellAscensione,
non era detto che mettessero piede in chiesa, però
in quel giorno distribuivano latte a tutti gratuitamente.
Latte per tutti e non era acquisto per vendita. E il latte
in avanzo, dopo quella universale gratuita abbondante distribuzione,
non doveva essere venduto, veniva offerto alle bestie nelle
stalle. Mi colpiva nel racconto quella connessione sorprendente
tra lAscensione e la gratuità del latte. Mi
veniva spontaneo pensare che vi fosse custodito un messaggio:
ora che Lui se ne è andato per i cieli, tieni viva
sulla terra la gratuità del tuo Signore.
E
sarà via di beatitudine, di felicità. Quella
felicità che tutti stiamo inseguendo. Alle beatitudini
del monte Gesù, lungo la vita, ne aggiunse altre.
Questa è una. Dimenticata: Sarai beato perché
non hanno da ricambiarti.
La
legge del contraccambio, la legge della proporzionalità
non ci mette al riparo dalla tristezza, che fa capolino
in noi ogni volta che non abbiamo il contraccambio. E chi
ci potrebbe garantire che sempre e comunque avremo nella
vita il contraccambio?
Sarai
beato perché non hanno da ricambiarti. E se
incominciassimo a insegnare ai figli, e prima di tutti a
noi stessi, la beatitudine della gratuità? Forse
vedremmo volti meno grigi per le strade.
Pensieri
nati da una voce. Sento la voce. Vedo gli occhi.
don
Angelo
|