DON LUIGI POZZOLI, IL PRETE
CHA AMAVA GLI ASINELLI
Prima
dello scorso Natale In una notte di metà dicembre
Don Luigi Pozzoli prese il largo che più largo
non si può. Lasciando molta commozione in coloro
che gli furono amici.
Mi è stato chiesto di scrivere di lui. L'ho fatto
per debito di amicizia, patendo tutta la povertà
delle mie parole.
Ho pensato di condividere questi pensieri con gli amici
che sostano "Sulla soglia": molti di loro lo
hanno ascoltato o ne hanno letto i libri, altri ne hanno
sentito raccontare.
Non
mi appartiene il dono di tenere commemorazioni né
quello, ancor più sofisticato, di radunare in sintesi
sapienti la vita di un uomo o di una donna. Le tappe di
una vita di un prete vengono annotate puntualmente sulle
guide del clero e spesso declamate altrettanto puntualmente
nelle lettere dei vescovi ai funerali dei preti. So anche
che se seguissi queste strade direi poco, molto poco di
Don Luigi.
Certo
lo potremmo ricordare come docente di lettere nei nostri
seminari, uomo di alta cultura, fine letterato. Lo era!
Ma nella vita, penso a tutti noi, è accaduto di
incrociare uomini di cultura, installati e immobili in
torri d'avorio, chiusi in una bolla impermeabile, quasi
al riparo delle interrogazioni della vita, inavvicinabili.
Al
contrario Don Luigi fu uomo di sconfinamenti, gli apparteneva
l'arte di esplorare, oltre i recinti. Già da alunno
in seminario e ancor più da professore, in fiuto
del vento. Negli anni di insegnamento gli toccò,
per grazia direi, di vivere intensamente la stagione del
Concilio che gli faceva sognare una chiesa meno distante
dal vangelo, meno arroccata in se stessa, più sensibile
ai segni dei tempi. Una chiesa in ascolto pronta a riconoscere
fermenti dello Spirito là dove solitamente se ne
denuncia il vuoto, quasi si fosse in presenza di terre
dimenticate dallo Spirito.
Così
ne parla in un suo piccolo libro pubblicato da Scheiwiller
"L' abito rosso": "Erano gli anni del Concilio,
si viveva una stagione ecclesiale ricca di entusiasmi
e di speranze. I dibattiti all'interno dell'aula conciliare
venivano seguiti con passione che talvolta raggiungeva
l'emozione, le novità erano salutate con un senso
di liberazione e di enorme sollievo. Essere in Seminario
in quegli anni, per chi insegnava, voleva dire poter seguire
i lavori del Concilio anche attraverso le numeroso riviste
che arrivavano in biblioteca e che offrivano significativi
commenti e approfondimenti.
E'
chiaro che queste novità dovessero costituire una
grande ragione di crisi all'interno della vecchia disciplina
del seminario, con i seminaristi impazienti di radicali
cambiamenti e i superiori troppo prudenti nel concederli.
Le richieste dei seminaristi miravano ad ottenere una
educazione più nutrita di motivazioni autenticamente
evangeliche, capaci di accendere la mente e il cuore,
di suscitare una risposta generosa ma anche gioiosa"
(Scheiwiller, Milano 2003, pp. 107-108).
Anni
di accensioni, ma anche di sofferenze, di incomprensioni,
di resistenze. Anni purtroppo anche di esilio. In cui
la fedeltà a uno stile evangelico poteva chiedere
un prezzo, un caro prezzo: caro prezzo essere fedeli al
vangelo, fuori da ogni sequestro. Nel segno della leggerezza
e non della pesantezza. Una duplice fedeltà al
vangelo e all'uomo che ha sempre affascinato Don Luigi.
Permettendo a lui l'avventura di avvicinare gli ambiti
più diversi, di cui troviamo una suggestiva recensione
nelle pagine dei suoi diari cui volle dare il titolo di
"Pensieri vagabondi". "Vagabondi",
si faccia attenzione, nel segno "della leggerezza
degli uccelli e non della leggerezza delle piume, in una
dimensione sconfinata di libertà senza mai perdere
l'orientamento". Uomo vagabondo, lo vedi attraversare
paesi e terre, non è un uomo di un solo paese o
di una sola terra, come rischiano di diventare molti,
in particolare gli ecclesiastici. Lo vedi attraversare
paesi anche geograficamente altri, ma soprattutto territori
dello spirito altri, con una poliedricità che fa
dolce invidia al cuore. Con ininterrotti sconfinamenti
negli spazi della fede, della letteratura, dell'arte figurativa,
della musica. Non è un uomo fermo. E benedetta,
verrebbe da dire, la parrocchia che lo ha avuto parroco.
Le parrocchie che hanno parroci fermi hanno cieli negati
o ristretti. A prova di asfissia. Con lui respiravi, respiravi
la libertà. La libertà che respiri a pieni
polmoni da uomini e donne che hanno messo al centro della
loro vita Gesù come l'unico Signore e il suo vangelo
come buona notizia, la vera autentica buona notizia. A
volte dimenticata purtroppo o sottostimata, soffocata
da una moltitudine di documenti e orpelli che hanno come
risultato quello di farci dimenticare che al mondo come
chiesa esistiamo per Gesù, per affascinare di lui
e del vangelo. Gli capitava talvolta di ricordare con
un disarmante sorriso un aneddoto, che racconta di una
parrocchia e di tutto il da fare che si fece quell'anno
in quel paese all'arrivo del Corpus Domini. La processione
doveva essere degna dell'evento. Ed ecco i preparativi:
i giorni passati a pulire viali e strade, a dare lucentezza
ai cantari e al baldacchino, a scovare paramenti solenni.
Viene il giorno, si avvia la processione, canti e profumo
di incensi e petali di rosa sulle strade al passaggio.
Ed ecco un uomo lasciare la processione, avvicinarsi timido
al parroco che impettito porta l'ostensorio sotto il baldacchino
e sussurrare: "Signor parroco, manca l'ostia nell'ostensorio".
Risposta del parroco: "D'accordo! Ma non si può
avere tutto!". Ed era l'essenziale.
Di
questo sguardo di Don Luigi all'essenziale, Gesù
e il vangelo, sono prova i suoi numerosi sapienti commenti
alle letture bibliche della Liturgia: lo vedi chino sulle
pagine sacre come lo scriba del vangelo che dal tesoro
estrae cose nuove e cose antiche.
Ricercatore
di tesori preziosi, don Luigi sembrava riservare una simile
cura anche alle pagine che forse troppo presuntuosamente
liquidiamo come non sacre, penso al suo sostare come su
una soglia, là dove fede e letteratura possono
fecondamente incontrarsi e reciprocamente arricchirsi.
Non era questa la cura che Francesco riservava senza preclusioni
alle parole umane, indiscriminatamente, in qualunque libo
o foglio fossero ospitate? Di Francesco di Assisi infatti
si racconta che raccogliesse da terra ogni pezzetto di
carta scritto. Diceva che in esso poteva esserci il nome
di Dio e perciò non lo si poteva distruggere. Ma
si comportava così anche con gli scritti pagani.
E quando qualcuno gli faceva notare che lì sicuramente
il nome di Dio non era scritto, dichiarava che vi erano
pur sempre presenti le lettere, con cui si poteva comporre
il nome di Dio.
Ci affascinava di Don Luigi il suo stile evangelico, quell'arte
di coniugare franchezza e assenza di clamore, quel suo
rifuggire da ogni ombra di ostentazione, quella sua divertita
ironia per le vanità mondane, di cui purtroppo
anche il mondo ecclesiastico non è esente.
Pensando
a lui, mi ritrovo istintivamente negli occhi l'icona di
Gesù e del suo ingresso su dorso d'asino in Gerusalemme.
Giorni fa mi è stata regalata una foto suggestiva
di Don Luigi, che in un giardino, seduto su una sedia
a sdraio, accarezza sorridendo, tenero, un asinello. L'asinello,
un'immagine cara a Don Luigi. Non la ritroviamo, forse,
sul frontespizio dei suoi due volumi di diario? E non
ci meravigliavamo forse per le centinaia di raffigurazioni
di asinelli nella sua casa, quasi una collezione? E non
ricordiamo forse il suo sorriso divertito quando li contemplava?
Perché gli asinelli? Mi sembra di capire. Perché
Don Luigi, dote rara, nella sua vita fu sempre fedele,
quasi fosse per lui un punto di onore, a questo stile
evangelico. Non gli interessavano le vuote esibizioni.
Altro gli interessava, non gli interessava fare carriera.
Potremmo dire che gli interessava portare sulla groppa
il suo Signore. Dentro una stagione ecclesiale in cui
a lui, ma, penso, non solo a lui, sembrava che ci si affannasse
e tuttora ci si affanni, per tante cose, troppe cose,
dimenticando che la cosa più importante era ed
è il Signore, cui prestare umilmente teneramente
la groppa.
E
accarezzava l'asinello. Anche questo ancora una volta
sorprendeva in Don Luigi: la cultura non aveva, neppure
di un grumo, cancellato la sua intensa umanità,
non gli appartenevano spiritualità gelide e rarefatte.
Un prete curvo sulle realtà più comuni,
compagno di viaggio nella carovana di innumerevoli volti,
per i quali aveva uno sguardo di tenerissima vicinanza.
Sguardo affettuoso. Sguardo affettuoso anche, persino,
per i suoi libri. I suoi libri! Una persona, a lui molto
cara, mi ricordava con quale cura glieli affidasse da
riporre nella libreria, non senza averli prima teneramente
accarezzati.
I
libri e, ancor più, le persone! Sulla groppa non
solo il suo Signore, ma anche i suoi amici. Gli amici
di Don Luigi, una tribù! Una carovana di amici.
Sino all'ultimo fedele ai suoi amici, nella gioia più
trasparente. Gliela vedevamo brillare negli occhi quando
stava con loro, quando era a cena o a pranzo con loro,
un altro rito, o lo stesso rito dell'eucaristia. Si illuminava
forse come si illuminava l'asino di Betfage quando portava
il Signore.
I
suoi amici. Dentro stagioni e ambienti dove a volte l'amore
è a tal punto spiritualizzato da cancellare ogni
sentimento e passione, impallidito fino a contravvenire
il comandamento del Signore. Che si è fatto uomo
anche perché da lui imparassimo ad essere più
umani.
Sacra
per don Luigi l'amicizia. Tenera, la toccava e si lasciava
toccare. Grande dono, dono sacro, "ottavo sacramento".
Gli capitava spesso di ricordare le parole di Sorella
Maria di Campello sull'amicizia: "Che mezzo, che
sacramento di ogni momento, l'amicizia; è il sacramento
di Gesù per eccellenza: "Non vi chiamerò
più servi ma amici". Quanto dobbiamo all'amicizia,
all'affetto! Ah! io credo proprio che il sacramento più
possente sia quello dell'amicizia. Possiamo riceverlo
fino all'estremo, e sentirne il debito! Io considero l'amicizia
una delle più grandi forze del mondo. Si può
dubitare di tutto, ma non dell'amico fedele. Quanto si
può ricevere attraverso l'amicizia! Se si giunge
all'amicizia con Gesù tutto si crede, tutto si
spera, tutto si affronta. Raramente la fede altrui serve;
più spesso infastidisce. Quello che aiuta quando
si soffre è il cuore amico, sul quale si sa di
poter contare sempre".
La
tribù degli amici, dentro e fuori la chiesa, gliene
rende merito. Ringraziando.
Angelo
Casati