TRA
MILLE CIELI CHIUSI
Ho vissuto per giorni l'oppressione dei cieli chiusi.
In tutti i sensi. Mi andavo chiedendo per quale segreta
ragione un cielo livido, plumbeo ci contagiasse a tal
punto da lasciare nei volti quasi un'ombra inquieta di
paura. E parallelamente mi succede di chiedermi per quale
altra ragione in altri giorni un cielo aperto, con brividi
di azzurro, quasi con immediatezza si specchi nella gioia
dei volti che vado incrociando. Sarà forse perché
un cielo chiuso sembra raccontare un respingimento. Di
preghiere. Di comunicazione. Di accoglienza. Quasi una
sordità impenetrabile. Simile a quella delle nostre
coste chiuse, precluse all'azzardo dei barconi, dimore
malferme di legno per gli impoveriti della terra.
C'è
dunque una paura dei cieli, declinata come paura di Dio.
Come se il cielo chiuso perpetuasse il racconto di un
Dio che avrebbe chiuso. Chiuso con gli umani. Come se
lo spazio al di là della volta cupa fosse abitato
dagli occhi irati di Dio. Un Dio di cui avere paura.
Mi
sembra di ricordare che la parola "paura" fa
il suo ingresso nella Bibbia come paura di Dio. La paura
s'infiltrò già in quell'"in principio"
dei giorni: "udirono" è scritto "il
rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino
alla brezza del giorno, e l'uomo con sua moglie si nascose
dalla presenza del Signore, in mezzo agli alberi del giardino.
Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: 'Dove
sei?'. Rispose: 'Ho udito la tua voce nel giardino: ho
avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto'"
(Gn 3, 8-10). Paura nel cuore del terrestre e della sua
donna. Paura per nudità, per rumori di passi. I
passi attesi, di un Dio che passeggia alla brezza del
giorno, mutati in passi di paura.
Siamo
rimasti al pensiero che, se Dio ti cerca dopo il tuo smarrimento,
è per incenerirti, o per svelare agli occhi di
tutti la tua nudità. Siamo rimasti a un'immagine
di paura. Anni fa, sfogliando un libro regalo, ripercorrevo
pagina dopo pagina le opere emozionanti di Michelangelo.
Chissà perché, gli occhi mi corsero a una
cacciata dal paradiso terrestre. La spada fiammeggiante
dell'angelo puntava incutendo terrore alla nuca di Adamo,
mentre la donna si ritraeva impaurita e curva. Volti dolenti,
spalle ricurve per eccesso di vergogna. Mi ricordo che
gli occhi mi corsero allora a un particolare: il terrestre
e la donna erano ritratti nudi. Se la memoria della Bibbia
non mi tradiva, Michelangelo, ma non solo lui, era in
errore. Dio al terrestre e alla donna aveva cucito teneramente
tuniche di pelle. E perché l'insistenza, non solo
dei pittori, sulla spada fiammeggiante e non sulle tuniche
che Dio aveva loro cucito? Sono innamorato di un Dio che
cuce tuniche di pelle. Non mi fa più paura. È
un Dio che apre i cieli non a scarica di fulmini, ma a
ricerca di chi si è smarrito.
Eppure
fatica a morire la paura quando si aprono i cieli. A ricordarcelo
è stata da poco la memoria della nascita di Gesù.
Il Vangelo di Luca ci ha raccontato del cielo che si apre
con un volo di angelo sui fuochi dei pastori, al loro
bivacco di notte. Fu come se su quel campo, mescola di
fuoco, di vesti ruvide e di odori, si intenerisse anche
la notte. È scritto: "una luce li avvolse".
I primi a meravigliarsi furono i pastori, loro a temere
che quel balenare di luce dal cielo fosse un avvertimento
funesto. Non glielo avevano sempre predicato che gente
come loro non si meritava se non fulmini dal cielo, loro
che appartenevano alla categoria dei guardati male, razza
sospetta cui venivano addebitati i furti e quant'altro,
loro cui era precluso l'accesso al tempio, come a dire
scomunicati, irregolari?
La
religione era stata loro insegnata come la religione di
un Dio corrucciato. "Essi" annota il testo "furono
presi da grande timore". E invece, cosa da stropicciarsi
gli occhi, l'annuncio era di gioia: "Non temete,
ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà di
tutto il popolo. Oggi è nato per voi nella città
di Davide un salvatore che è il Cristo Signore".
È
nato per voi. E i pastori nella notte, si guardavano in
volto, i volti della fatica, della dura veglia nella notte,
volti di irregolari. Eppure l'angelo diceva: È
nato per voi, per voi che non contate per nessuno. I pastori
guardavano i vestiti delle loro fatiche, le pecore accucciate
nella notte, il telo steso a raccogliere le poche gocce
di rugiada, tutto così povero e disadorno. E l'angelo
diceva: "È nato per voi". Ora sentivano
la paura sciogliersi come la neve a un tepore leggero
di sole. Anche per via di quel segno stupefacente che
era stato dato: "Questo per voi il segno: troverete
un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia".
Lo videro! Lo videro adagiato nella ruvida paglia di una
mangiatoia. Segno di una grande benevolenza. Inimmaginabile
per loro che il Messia stesse nella ruvida paglia, nella
mangiatoia, come quando nasceva uno dei loro bambini.
Né più né meno come loro. Si sentivano
guardati dal basso e si scioglieva la paura. Perché
la paura è sentirsi guardati dall'alto in basso,
con occhi che ti inceneriscono. Da allora le fasce, la
mangiatoia, la paglia raccontano a noi la benevolenza
di Dio, che ci guarda dal basso.
Ma
se Dio non si fa temere e ha il volto della benevolenza,
anche tu non farti temere, mostra il volto della benevolenza.
Anche tu combatti ogni sguardo che dall'alto in basso
incute terrore e paura, ogni sguardo che soffoca creatività
e fiducia. Questo sguardo dal basso sposta l'idea del
mondo, l'idea di una società costruita sulle gerarchie,
sul terrore, sulla paura.
Quando
i rapporti tra umani e umani, tra popoli e popoli vedono
uno sotto e uno sopra, non mettere mai il nome di Dio:
Dio si è portato in basso perché ogni forma
di superiorità e di soggezione, ogni forma di paura
si sciogliesse come la neve al sole. Mi ritorna alla mente
un midrash della letteratura rabbinica. Racconta: Quando
ero un ragazzino il signor Maestro stava insegnandomi
a leggere. Una volta mi mostrò nel libro di preghiere
due minuscole lettere, simili a due puntini quadrati.
E mi disse: "Vedi, Uri, queste due lettere, una accanto
all'altra? È il monogramma del nome di Dio; e,
ovunque, nelle preghiere, scorgi insieme questi due puntini,
devi pronunciare il nome di Dio, anche se non è
scritto per intero". Continuammo a leggere con il
Maestro, finché non trovammo, alle fine di una
frase, i due punti. Erano egualmente due puntini quadrati
solo non uno accanto all'altro, ma uno sotto l'altro.
Pensai che si trattasse del monogramma di Dio, perciò
pronunciai il suo nome. Il Maestro disse però;
"No, no, Uri. Quel segno non indica il nome di Dio.
Solo là dove i puntini sono a fianco l'uno dell'altro,
dove uno vede nell'altro un compagno a lui uguale, solo
là c'è il nome di Dio. Ma dove i puntini
sono uno sotto e l'altro sopra, là non c'è
il nome di Dio".
Dio
non è là dove c'è dominio dell'uno
sull'altro, là c'è solo paura. Dio è
dove uno vede nell'altro un compagno a lui uguale e lo
scioglie da ogni paura.
don
Angelo