Di
che colore sono i tuoi occhi?
Ho letto parole. Parole di vangelo, vangelo di Matteo. Era
come se le ascoltassi. Avevano un timbro, non erano pura
grafia, si accendevano. Rimangono accese, a dispetto dell’usura
del tempo.
Ancora
oggi, dopo duemila anni e più, risuonano nella liturgia,
risuonano nelle nostre chiese le beatitudini del monte.
E hanno il colore della grazia dentro visioni di ore grigie
e deprimenti che tolgono fiato al-l’anima.
Che
sia una mia fissazione, un’ossessione e niente più, questo
sentirmi soffocare alla punta dell’anima? La sensazione
dura purtroppo da giorni. Così che ti viene da ringraziare
Dio quando i testi della Liturgia, per fessure a volte impercettibili,
lasciano filtrare brezza di vento.
Mi è successo nel giorno dell’Epifania, mi succede oggi
con il vangelo delle beatitudini. Pagine che hanno il potere,
dico il miracolo, di farci respirare. E io ho bisogno di
aria, ho bisogno, lo confesso, di respirare. Perché a volte,
e non così raramente, la sensazione patita in certi ambienti,
di fronte a certe prese di posizione, ascoltando certi discorsi,
è che ti manchi l’aria. Hai la sensazione di vivere in un
mondo angusto, in piccinerie dello spirito, in meschinità
di visione. E ti manca l’aria. E senti un bisogno impellente,
urgente, di respirare. Respirare boccate d’aria. A cielo
aperto. E nel racconto dei magi trovi dune infinite, un
cielo che nessuno può derubare della sua luminosità e ampiezza.
E questo Dio dei cammini, nell’immensità. Finalmente respiri.
Oggi
respiro ascoltando le parole del monte. Ascoltandole, mi
verrebbe da chiedermi come fossero i suoi occhi, di che
colore fossero i suoi occhi, quando quel giorno sedette
sul monte e disse le otto parole. Mosè su altro monte disse
le dieci parole. Otto le sue, come a dire che cominciava
un tempo nuovo, una nuova settimana, una nuova stagione
del mondo. Parole per un tempo nuovo. Quello che il primo
Testamento aveva indicato come un tempo futuro, come il
tempo del regno di Dio che sarebbe accaduto un giorno, ora
accadeva. Ebbene quelle parole, le otto, erano per il regno
di Dio che stava accadendo: accadeva sulla terra il sogno
di Dio. Come sarà stato il colore dei suoi occhi?
E come saranno stati gli occhi di coloro che lo ascoltavano
quel giorno sul monte, quale sarà stato il colore dei loro
occhi? Perché i poveri erano loro, gli afflitti erano loro,
i miti erano loro, gli assetati di giustizia erano loro,
loro i puri di cuore, loro i misericordiosi, loro gli operatori
di pace, loro i perseguitati per la giustizia. E lui diceva:
felicità a voi, avanti voi, il regno di Dio lo si costruisce
con gente come voi. Immaginate i loro occhi. A quelle otto
parole.
E
noi? Ecco la domanda. Noi oggi ascoltandolo? Ascoltando
le sue otto parole? Noi dentro un tempo, in una società
che, non diversamente da allora, esalta altre parole: esalta
l’arroganza della forza, il luccichio della ricchezza, la
furbizia delle cordate, l’incenerimento del nemico? Noi,
ecco la domanda, noi che cosa proviamo all’ascolto delle
otto parole?
Abbiamo
fatto forse l’abitudine. Quante volte le abbiamo sentite.
Non ci si accendono più gli occhi. O forse le consideriamo
ormai un’utopia, parole utopiche, di cui riempire le chiese,
ma poi la vita è un’altra, il comportamento è un altro,
lo stile è un altro. Un altro nella stessa chiesa. Di che
colore sono i nostri occhi al suono delle parole del monte?
Eppure
intuiamo che, alla punta più desolata dell’anima e nella
landa più arida della terra, un tempo nuovo, una nuova stagione
potrebbero accendersi, dietro queste otto parole. E, insieme,
intuiamo - nessuno ce la dà a bere - che niente nasce di
nuovo - è una menzogna! - lontano da queste otto parole,
le otto parole del monte. Che sono, se le ripercorriamo
lentamente, lucidamente, le otto parole scritte nella carne
di Gesù, nella vita di Gesù: tu le leggi e in trasparenza
leggi Gesù. Lui, pienamente così!
Ma
le otto beatitudini hanno un inizio che non è casuale, un
inizio nella prima beatitudine. Che è come l’anima, l’anima
segreta di tutte. Beati coloro che hanno uno spirito da
poveri. Da poveri e non da padroni. Solo da uomini e donne
che portano scritto in sé uno spirito da poveri nascerà,
come attesta il profeta Sofonia, una umanità nuova, la terra
in cui non si commetterà più ingiustizia né si proferirà
menzogna, la terra ove si potrà pascolare e riposare senza
che nessuno molesti (cfr. Sof 3,12-13). Abbiamo sotto gli
occhi a quale esito conduce l’aver cancellato da noi stessi
un cuore da povero e averlo sostituito con un cuore da padrone.
Cerchiamo
di chiarire: uno spirito da povero è uno spirito umile,
è lo spirito di chi non confida in se stesso, ma nel suo
Dio.
Un
cuore da povero è uno spirito umile, è lo spirito di chi
in mezzo agli altri sta con quest’unico anelito, l’anelito
di poter essere utile a qualcuno, sta come colui che serve
la vita, serve gli altri, lontano dallo spirito di chi invece
si serve, sfrutta, si approfitta. Della vita e degli altri.
La beatitudine della povertà evoca una terra dello spirito,
un mondo di uomini e donne che non si sentono padroni. Né
di Dio, né della verità, né degli altri. Né delle loro posizioni,
né dei loro beni. Lontani da ogni forma di dispotismo culturale,
sociale o religioso. Liberi e aperti. Nello spirito e nella
vita.
Sono
coloro che cercano in verità Dio. E Dio, ci ricordano i
profeti, non ci si può illudere di cercarlo e di servirlo
se non si cerca e non si serve la giustizia, se non si cerca
e non si serve l’umiltà. “Cercate il Signore” ammoniva un
giorno il profeta “cercate la giustizia, cercate l’umiltà”
(Sof 2,3).
I
credenti, solo che onorassero ancora l’intelligenza che
Dio ha loro data - a tutti è stata data - solo che sostassero
a riflettere su ciò che accade, su ciò che oggi passa sotto
i loro occhi, ancora troverebbero forza di resistere alla
seduzione delle parole, spesso verniciate del nome di Dio.
Verniciate, solo verniciate!.
Guarda,
ascolta e rifletti. Guarda, ascolta protagonisti dello “spettacolo”
quotidiano, fissali in volto, ascolta il tono della voce,
misura le proposte. Ti sembra che cerchino la giustizia?
Ti sembra che cerchino l’umiltà? Avremmo un criterio stringente.
Avremmo un motivo, e più d’uno, per resistere alla seduzione.
La seduzione che, ancora oggi, come agli inizi, è nella
voce di un Serpente incantatore, il grande Venditore, vende
frutti dell’albero in cambio di adorazione. Venditore all’inizio,
quando promise un posto da Dio, seggi da Dio, a chi avrebbe
mangiato del frutto dell’albero: “Sarete come Dio”. Venditore
il Serpente, non cambia pelle, quando a Gesù spudoratamente
offrì “tutti i regni del mondo con la loro gloria” in cambio
di adorazione: “Se prostrandoti” disse “mi adorerai”.
Razza di venditori suadenti che i credenti, se fossero tali,
avrebbero il potere di smascherare solo che si chiedessero:
“cercano la giustizia? cercano l’umiltà?”. E il re sarebbe
nudo. Nudo su ogni terreno, non escluso quello dichiaratamente
religioso.
Il
regno, quello vero, quello di Dio, dove è espulsa ogni ombra
di dominio, accade, secondo le parole del monte, ad opera
di coloro che non si sentono padroni di niente e di nessuno,
essi cercano giustizia, cercano umiltà.
Tu
li guardi e ti si colorano gli occhi. Tu li guardi e respiri
brezza di vento.
E ringrazi Gesù per il vento delle otto parole. Oggi lo
ringrazio per quest’aria aperta e nuova che colora gli occhi
di donne e uomini del nostro tempo. Che bello che ci siano.
E che siano al di là di ogni steccato. Disegnano un mondo
diverso. Che non è chissà dove. Non lo vedi se gli occhi
sono a rincorrere il mito dell’eccellenza. Te ne accorgi
se guardi nella piega della vita della gente. Allora ti
innamori degli occhi, degli occhi delle donne e degli uomini
delle beatitudini.
Perché
il vangelo delle beatitudini non è innanzitutto una serie
di norme. Disegna la bellezza di un progetto in costruzione,
che qualcuno di noi chiama “regno di Dio”.
Che
bello che, in un mondo di feriti ed esclusi, ci sia qualcuno
che si china e lenisce.
Che bello che, in un mondo di prepotenze e arroganze, ci
sia qualcuno che crede nella mitezza d’animo e di cuore.
Che bello che in un mondo di fame e ingiustizie ci sia qualcuno
che ancora non ha cancellato la sete di giustizia.
Che bello che, in un mondo di durezze e spietatezze, ci
sia qualcuno che ha il volto della tenerezza e della compassione.
Che bello che, in un mondo di corruzioni e intrighi, ci
sia qualcuno integro e retto di cuore.
Che bello che in un mondo di guerre e di violenze, ci sia
qualcuno testardo costruttore di ponti. Di comprensione,
di rispetto e di pace.
Che bello che in un mondo di convenienze e opportunismi
ci sia qualcuno disposto a pagare di persona per la difesa
della verità e dell’altro.
Ora
guardi. Forse anche tu respiri. Di che colore sono i tuoi
occhi?
don
Angelo
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