DONO
E COMPITO
Chiesa
e dignità. Un invito limpido e forte a onorare e
rivendicare la dignità toccherebbe come annunzio appassionato,
inderogabile, alla chiesa. Un messaggio che la chiesa ha
ricevuto, da conservare e trasmettere, messaggio custodito
sia nelle scritture ebraiche sia nel vangelo del suo Signore.
Vado a sfiorare due pagine tra le prime delle scritture
ebraiche: in una di queste, del terrestre si dice che il
Signore Dio gli insufflò nelle narici un alito di vita,
dunque il suo spirito, e l'uomo divenne un essere vivente.
Nell'altra,
che la precede, è scritto che Dio "creò l'uomo a sua immagine,
a immagine di Dio li creò, maschio e femmina li creò". Indistruttibile
la sua immagine in noi, in noi abitati dal suo spirito.
La sua immagine, origine insopprimibile della nostra dignità.
Non distrutta nemmeno dalla efferatezza di un fratricidio.
Ricordiamo Caino nell'abisso della sua follia fratricida
e Dio che gli pone un segno sulla fronte, a difesa dalle
ritorsioni forse anche legittime, un segno sulla fronte
a segnalare una dignità non perduta, e dunque non violabile.
Scrive
Enzo Bianchi: "Contro ogni fondamentalismo e ogni tentazione
di dividere uomini e stati tra "buoni e cattivi", "volonterosi
e canaglie" - tentazione che pare sempre più diffusa a tutti
i livelli occorre non dimenticare questa verità cristiana
sempre affermata: l'essere umano, essendo stato creato "a
immagine e somiglianza" di Dio, è capax Dei, capace di conoscere
e di operare il bene. L'immagine di Dio, impressa nel cuore
di ciascuno, non può mai essere distrutta o messa a tacere,
neanche quando l'uomo la contraddice e la nega. Se nel mondo
opera il Male, è pur vero che l'uomo può contrastarlo in
virtù di quell'immagine di Dio che porta in sé, e in virtù
del fatto che Dio, attraverso Gesù Cristo uomo e Dio, "si
è unito in un certo modo ad ogni uomo", come ricorda il
Concilio Vaticano II".
Una
dignità legata all'opera creatrice di Dio, al soffio di
Dio che ti abita, e dunque, se stiamo alla rivelazione,
non legata ad altro se non al fatto che sei un vivente,
non dunque ai ruoli, alle possibilità economiche, agli studi
che hai fatto, a una vocazione o a un'altra, all'appartenenza
a una religione o a un'altra, all'appartenenza a un gruppo
o a un altro o a nessun gruppo, a un genere o a un altro,
a un orientamento sessuale o a un altro. Semplicemente al
fatto che sei uomo, donna. Basta questa dignità.
"Non
ho bisogno di nessuna tessera" diceva a David Maria Turoldo
suo padre, quando per via del fascismo si era obbligati
a prenderne una. "Non ho bisogno di tessere, mi basta la
tessera del battesimo che mi fa figlio di Dio". Bellissimo!
Ma forse, condotti dalla Bibbia, potremmo andare oltre:
basta il fatto che Dio creandoti abbia iscritto la sua immagine
in te. E potremmo continuare raccontando di Gesù e di come
la sua vita sia stata onorare questa dignità di ognuno,
non solo, ma un rivendicare con forza che dovesse essere
restituita a ciascuno la sua dignità, liberando spalle di
uomini e donne dal peso di cui le autorità religiose li
avevano caricati, affermando, senza timore di scandalizzare,
che l'uomo non può essere chinato al sabato ma che il sabato
deve chinarsi all'uomo, restituendo libertà e dignità, e
- anche questo dobbiamo riconoscere - pagando di persona
per questa sua difesa della dignità di ognuno contro le
varie forme di oppressione delle coscienze.
Mi
chiedo se la chiesa è stata fedele a questa predicazione,
nel dire che la tua dignità non la devi vendere a nessuno,
la puoi solo concedere a Dio che ne è il garante ultimo:
non la puoi vendere né al potere politico, né al potere
economico e nemmeno al potere religioso. Che anzi tutti
questi poteri trovano la loro legittimazione nel difendere
e nel lavorare per la dignità di ciascun uomo e di ciascuna
donna, di ciascun popolo. Una predicazione che andrebbe
ripresa con forza oggi. Quante cose cambierebbero se andando
per case, per strade o pigiati nella metropolitana, guardando
la persona accanto, andassimo oltre l'apparenza, a pensare
al mistero che abita ciascuno, a rivendicare la dignità
di ciascuno, ciascuno portatore della misura di Dio, che
è la dismisura. E dunque nell'uomo e nella donna è scritta
in modo indelebile una dismisura, la dismisura di Dio.
Molti
di noi, penso, avvertono quanto urgente sia questo richiamo
in tempi in cui la sfigurazione, l'occupazione, l'invasione
lo sfruttamento sono purtroppo attentato quasi quotidiano
ai volti, ai popoli, alle classi sociali, alle minoranze,
ai deboli, ai diversi. Occorre creare un arrovesciamento.
Se ti incanti alla dignità di un volto, non ti succederà
di sfigurarlo; se ti incanti alla dignità di un'anima, non
ti succederà di occuparla; se ti incanti alla dignità della
terra, non ti succederà di sfruttarla.
Voi
avete scelto questo tema che mi sembra di una importanza
cruciale, al punto da farmi chiedere perché è un tema così
marginale all'interno della chiesa mentre è così centrale
secondo la Bibbia e il vangelo, un tema poco dibattuto,
evitato. O enfatizzato con il rischio di renderlo innocuo
con le proclamazioni verbali, solo verbali. Mentre al contrario
potrebbe essere un interrogativo che fa da verifica della
autenticità della vita cristiana e della vita ecclesiale,
sociale. Ma la passione per la dignità di ogni uomo per
essere sincera deve essere in tutta la sua ampiezza. Perdonate
a questo riguardo un ricordo molto personale.
La
penultima volta che incontrai il cardinal Martini a Gallarate,
e già si faceva fatica a interpretare la sua voce ridotta
a un filo, non so come, non ricordo come, si venne a parlare
dell'insistito appello da parte dei vertici ecclesiastici
ai cosiddetti "valori non negoziabili". Ricordo che a quel
punto, con molta lucidità ma anche con molto coraggio, il
cardinale disse: "Con queste battaglie non siamo affatto
credibili. Per essere credibili bisognerebbe ricordare tutti
i valori non negoziabili e non insistere sempre solo su
alcuni". Una chiesa dunque che annunci e difenda la dignità
nella sua interezza, non parcellizzando. Ma lasciatemi subito
aggiungere, e andrò solo per accenni che chiederebbero sviluppi
per i quali non ho tempo ma soprattutto competenze, che
la chiesa , lei per prima, dovrebbe interrogarsi sul suo
rispetto della dignità al suo interno e al suo esterno,
nei confronti di chiunque.
Perché
non basta già declamare. Non possiamo dimenticare le ferite
inferte alla dignità della persona dall'inquisizione delle
coscienze con metodi di morte fisica un tempo e di morte
morale oggi. Non possiamo non ricordare come oggi non raramente
si venga inquisiti all'interno della chiesa senza il rispetto
dei più elementari diritti di una difesa, quei diritti che
sono garantiti nel mondo della laicità. In questo orizzonte
mi verrebbe da esplorare - non sono tutti, né sono nominati
con un minimo di gerarchia - alcuni ambiti della vita della
chiesa.
Un
primo ambito la dignità dei poveri. Che, secondo le pagine
delle scritture ebraiche e del vangelo chiederebbe una attenzione
particolare, una volta si diceva: "l'opzione preferenziale
per i poveri". Che cosa stava sotto quella scelta? Non certo
un moto di partigianeria, ma il fatto che gli impoveriti
non hanno nessuno che difenda la loro dignità, fino a far
loro pensare di non averne, di non esistere per nessuno.
Ecco perché la Bibbia invitava il re a difendere orfani
vedove, stranieri. Ecco perché il libro del Deuteronomio
per esempio invita chi va a chiedere la restituzione del
mantello dato in prestito a non entrare nella casa del povero,
per non violare la sua intimità.
Padre
Dominique Barthélemy, ripercorrendo le Scritture, nel suo
libro "Il povero scelto come Signore" sottolinea come proprio
coloro che in qualche misura non esistono nel nostro immaginario
perché confinati in una condizione di miseria materiale
o morale, siano paradossalmente quelli che esistono per
Dio, esistono nella stima di Dio. Nel suo sguardo dunque
una stima che li fa essere. Di questa stima che fa essere
noi dovremmo essere i testimoni sulla terra. Non possiamo
sfuggire dunque alla domanda sul nostro sguardo: com'è il
nostro sguardo nei loro confronti? Posso sbagliare ma questa
sottolineatura è ancora, a mio avviso, poco riconosciuta,
poco presente in discorsi e iniziative che si esibiscono
come azioni di solidarietà nei confronti dei poveri.
Leggo:
"l'amore autentico è quello che lancia l'altro nell'esistenza
e lo rende libero e preparato per viverla, libero e autonomo.
Questo suppone che si sia capaci di stimare gli altri. Essere
aiutati è sempre molto ambiguo. Essere aiutati, se non si
è stimati, può essere umiliante. Se si è stimati, l'aiuto
prende un senso positivo e lo si può accettare senza essere
umiliati, certi della stima" (cfr. Dominique Barthélemy
"Il povero scelto come Signore"pagg. 44-45).
Ebbene
una sincera verifica alla luce della parola di Dio ci condurrebbe
a chiederci se le nostre forme di solidarietà sono rispettose
della dignità umana. E' la stima che fa essere l'altro.
E il discorso si allargherebbe a ogni altro. Nella chiesa,
nella società, nella famiglia. Una chiesa racchiusa al suo
interno non onora la dignità, non la avvista al di fuori
di sé, al di là dei suoi confini, dai quali esce solo per
proclamare e mai per attingere, quasi che lo spirito avesse
fatto di lei la dimora esclusiva e fuori non ci fosse che
il vuoto.
Ebbene
una indagine, mi sembra puntuale, come quella che Saverio
Xeres e Giorgio Campanini fanno della Chiesa italiana negli
anni dal dopo Concilio ad oggi, nel loro libro dal titolo
"Manca il respiro", mette in evidenza come nella chiesa
italiana ci si sia allontanati dal Concilio passando da
una chiesa che dialoga a una chiesa concentrata su di sé,
che, quando esce, esce per proclamare, in un movimento a
senso unico, senza ascoltare ciò che accade fuori, senza
far tesoro di ciò che viene dal di fuori. La documentazione
è precisa, a mio avviso inoppugnabile.
Avviene
che si declami dall'alto, senza entrare nelle case, senza
osservare con amore quello che sta avvenendo. Senza avvertire,
per esempio, che se il matrimonio è uno, le modalità di
essere famiglia oggi, e quindi degne di rispetto, voi me
lo insegnate, sono molteplici. Chi non è ascoltato è come
se fosse derubato della dignità, come se non esistesse.
Una chiesa monocorde risucchiata da gerarchia e clero non
onora di certo la dignità, la dignità del laicato. Non potremmo
dunque ravvisare all'interno stesso della chiesa meccanismi
e situazioni, che, in controtendenza con le dichiarazioni,
denunciano un effettivo scippo della dignità? Sto pensando
per esempio all'avventura pallida e triste dell'apporto
del laicato.
Se
non lo si associa in pari dignità, se non si dà ascolto,
se non lo si rende veramente partecipe, se lo si guarda
come un esecutori di ordini, se è oggetto di sospettoso
controllo, viene meno il rispetto della dignità. Saverio
Xeres segnala come "la lacuna più clamorosa, come il punto
sul quale maggiormente il Concilio è stato disatteso nella
chiesa italiana del postconcilio, la insufficiente responsabilità
riconosciuta ai laici. Sono i laici infatti la componente
ecclesiale che costituisce il collegamento tra la chiesa
e la società; essi peraltro sono parte di gran lunga preponderane
del popolo di Dio, non solo numericamente, ma anche nel
senso di identificare il "soggetto" proprio dell'azione
della chiesa nel mondo".
I
laici per lo più ridotti a esecutori di ordini, o cooptati,
per benigna concessione, a ruoli all'interno della chiesa,
dell'istituzione ecclesiale a fronte della mancanza dei
preti. E' venuta meno la consapevolezza che "un laico è
veramente cristiano non quando insegna catechismo o distribuisce
la comunione, bensì quando vive la propria fede nel quotidiano
e nei più diversi ambienti della società. All'interno della
comunità cristiana poi i laici si trovano spesso in grande
difficoltà, non dico a far valere la loro corresponsabilità
nelle decisioni, bensì anche a far intendere la loro voce".
Pensate che cosa è avvenuto in campo politico "dove i vescovi,
anzi gli organismi di vertice della conferenza episcopale
si sono attribuiti un ruolo di intervento diretto sulle
sfere politiche e governative". La stessa osservazione da
parte del teologo Severino Dianich "Nell'area pubblica risuona
forte la comunicazione dei vescovi e del papa diretta ai
fedeli e alla società civile, mentre è solo mormorata la
comunicazione dei fedeli ai vescovi, al papa, alla società
civile. Questo non fa bene alla chiesa né contribuisce alla
sua missione …quando i giornali cattolici saranno i luoghi
dell'opinione pubblica dei fedeli e non solo i portavoce
dei vescovi la chiesa sarà veramente un corpo vivo" (www.vivailconcilio.it)
Una chiesa di solo uomini non onora la dignità, perché nella
realtà cancella la dignità delle donne. È diventato luogo
comune dire che le donne hanno spazio nella comunità ecclesiale,
che delle donne oggi sono piene le chiese. Ci si dovrebbe
però chiedere se la presenza sia prevista sì, ma per lo
più per una funzione di servizio e di conservazione.
Di
tanto in tanto mi succede di osservarle nella chiesa e la
mente mi corre alla casa di Betania, alla lezione dimenticata
di quella casa, dove il Rabbi di Nazaret non sopporta che
una delle sorelle, Marta, sia confinata e impoverita in
un ruolo di servizio, nel ruolo di donna affaccendata: "Tu"
sembra dirle "sei molto di più: tu, come tua sorella, puoi
stare con me in una relazione diversa, in una relazione
di scambio interiore, e non primariamente in una relazione
di scambio di servizi. Tu sei molto di più, tu puoi condividere
con me pensieri, orizzonti, e sogni".
Vi
immaginate che cosa succederebbe nella chiesa se papi, vescovi
e preti chiamassero le donne a condividere pensieri, orizzonti
e sogni? Vedo e soffro. Soffro la distanza, in una chiesa
dove il pensare e il decidere è riservato ai maschi e, contrariamente
alla lezione del Maestro, le donne sono chiamate ad eseguire.
Si pensa e si decide nelle stanze alte. Là non c'è spazio,
nemmeno nell'immaginario, per un sedere alla pari, donne
e uomini mescolati. Mescola sacra sarebbe, perché evangelica.
Da dove nascono i pronunciamenti, i documenti, gli orientamenti,
i piani pastorali? Da dove vengono se non da un mondo maschile?
E, respirando fin dal loro incipit a un polmone solo, quello
maschile, come potrebbero non denunciare fiato corto e asfittico?
Permane in non pochi ambiti ecclesiastici il pregiudizio,
duro a morire, che la mente sia privilegio dei maschi: gli
uomini la mente, le donne il cuore.
Quanto
lontani ancora dall'intuire che ci sia un pensare, non intriso
di fredda razionalità. Causa, questa, e non ultima, dell'aridità
dei molti documenti ecclesiastici. Quanto lontani ancora
dall'intuire che c'è un pensare che conduce a sconfinamenti.
Negarlo è negare la dignità delle donne. Ho accennato ad
alcuni ambiti, ma penso che tutta la vita della chiesa andrebbe
esaminata alla luce di questo aspetto che non è marginale,
ma cruciale. Ne va dell'annuncio del vangelo.
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