NATALE
E IL MANTELLO DELLA COMPASSIONE
Mi
fermo nella notte a immaginare il bagliore degli occhi dei
profeti. Occhi dei profeti e occhi delle sentinelle. Mi
emoziona il loro guardare lontano, bucando la notte. Fino
a intravederne il minimo sussulto, fino ad avvistarne il
minimo intenerimento nel cielo. I loro occhi e la voce.
E la passione che ne riga la voce fino ad accenderla.
Mi
emoziona anche il loro destino. Il destino delle sentinelle
e dei profeti, spesso trattati come in vigilia di pazzia,
disturbatori dell'ordine, in genere poco ascoltati. Migliore
sorte per chi ripete i luoghi comuni, per chi non osa disturbare
il manovratore, per chi non si arrischia a negargli un credito,
un'autorità morale.
Oggi
li vado cercando. Cerco i profeti dell'antico e poi del
nuovo testamento. Cerco quelli della mia giovinezza, ancora
era una terra di voci alte, voci lungimiranti nella notte.
E poi con sete cerco oggi, cerco quelli del mio tempo. Io
che non ho occhi. Oggi, vedendo lo sfascio, mi va almeno
di ringraziarli.
Quando
sarà giorno e si converrà che i loro occhi
avevano visto lontano, qualcuno certamente, succede sempre,
si azzarderà a difendere la buona fede dei loro miopi
oppositori, con la giustificazione che i fatti vanno collocati
nel tempo e non si può con gli occhi di oggi condannare
le miopie del passato. Vi confesso che ho sempre ascoltato
con diffidenza le ragioni di chi trova facile giustificazione
ai silenzi di chiese e società adducendo la scusa
dei tempi.
Se
non altro perché in questi nostri tempi di miopie
ci è accaduto di udire per grazia voci di allarme.
Inascoltate! C'era chi aveva occhi per denunciare ciò
che stava avvenendo. Alcuni di noi alzavano la voce. Ma
le finestre erano chiuse e le porte sbarrate e le stanze
a prova di pareti desonorizzate. Poi il grido moriva in
gola, le finestre rimanevano chiuse, le porte sbarrate,
le stanze irrealmente ovattate.
Vorrei
oggi onorare le sentinelle e i profeti che lucidamente avvistavano
l'approssimarsi di un pericolo esiziale per la fede, quello
di un cristianesimo senza $volto. Il loro grido era: "Voi
dite Gesù. Ma non è il Gesù dei vangeli.
E' tutt'altro! E' solo un nome!". Li hanno guardati
come fossero contestatori. Ed era invece passione di Gesù,
passione del vangelo. Leggevano un allontanamento. Quello
a cui un Papa aveva pensato di dare sapiente rimedio con
un Concilio. Perché ci fosse ricongiungimento. Ricongiungimento
tra immagine di chiesa e vangelo.
Perché
può succedere di celebrare riti, di sfornare a getto
continuo e impressionante documenti, e di ritornare dalle
chiese con la faccia triste, come discepoli a cui non è
toccato di sentire ardere in petto il cuore. Giorni fa un'amica
mi raccontava di alcuni giovani da lei conosciuti, sinceri,
disarmanti nel confessarle che quando succede loro di uscire
dalle chiese senza che abbiano sentito ardere il cuore,
vanno a leggersi i discorsi di Obama, "perché
lì" le dicevano "finalmente troviamo qualcosa
che fa ardere il nostro cuore". Ascoltandola, alla
mente mi si affacciava una strada lontana, strada verso
Emmaus, con un sole obliquo in bagliore di annegamento e
due viandanti che sentirono passi diversi e voce e parole
diverse da un compagno di un viaggio di poche ore, compagno
di parole "che facevano ardere il cuore". Poi
lo riconobbero, era Gesù, nella locanda, lo riconobbero
in quelle mani, le sue, che spezzavano il pane. Purtroppo
noi alle sue parole abbiamo sostituito le nostre. E non
fanno ardere il cuore. Orpelli ad annegamento di vangelo.
Mentre la salvezza è la sua nudità, nudità
di parole e di vita. Quella nudità ti fa fermare
per improvviso sbalordimento. Anche a Natale.
Me
ne venivo, una sera di queste, per una via del centro, il
sole non arrivava obliquo, mi succedeva però in quell'ora
di sognare alle spalle passi diversi, voce e parole diverse.
E di augurarmi che a passare in incognito in mezzo a quel
serpentone di folla in striscio di vetrine fosse lui, il
viandante in incognito. Mi andavo chiedendo se avrebbe osato
la stessa domanda che osò con Cleopa e il suo compagno:
"perché ve ne andate con il volto triste?".
Guardavo il serpentone di folla in striscio e struscio di
vetrine. Pensai che avrebbe osato la stessa domanda. Perché
scrive Giovanni. "lui conosce ciò che c'è
nell'uomo" (Gv 2,25). Lui conosce. Vede oltre la vernice.
Legge solitudini dello spirito con tentativi ingenui di
annegamento.
E
gli occhi andavano alle vetrine, andavano e si ritraevano,
come portando colpa per sguardi a prezzi che suonano insulto
a una umanità impoverita. Andavano gli occhi, per
poi subito ritrarsi, ai manichini che oggi hanno preso forma
di corpi umani, siluette scintillanti a cattura di sguardo.
Per un attimo, ve lo confesso, mi parvero metafora del male
cui sopra accennavo.
Mi
colpiva che fossero figure senza volto, derubate di connotati
precisi, di occhi, di labbra di cui ci innamoriamo. Figure
senza volto. A cui oggi puoi dare un vestito, domani un
altro, accolgono tutto senza ribellioni, un vestito ad ogni
stagione. Manichini per tutte le stagioni. Per un brivido
di secondo mi prese la paura che a tanto fossimo arrivati
con il cristianesimo, a un Cristo ridotto a manichino senza
volto, senza la sua vita concreta, senza le sue scelte concrete,
senza le sue parole e i suoi gesti, e ognuno vi attacca
impudentemente il suo vestito. Non è forse quello
che sta capitando?
Il
pericolo, ma ormai non è più un pericolo,
è spettacolo sotto i nostri occhi, è quello
di non confrontarci più con la vita reale di Gesù.
E allora può succedere che si pretenda di difendere
il Natale, il mistero di un Dio che condivide, che annulla
le distanze, esiliando uomini e donne che hanno un diverso
colore della pelle! E che, nel giorno di una nascita in
cui Dio sconfina e chiede di sconfinare, ci si ubriachi
nell'orgoglio di innalzare muri! O ci si impalchi a difensori
del crocifisso, il mistero di un Dio che dall'alto della
croce ha abbattuto il muro della separazione e della inimicizia,
dicendo "Li possano tutti ammazzà!". Cristo
e cristianesimo come i manichini che scintillavano dalle
vetrine illuminate a giorno. Guardavo e ritraevo gli occhi,
quasi avessero sorpreso un male del cristianesimo, forse
il vero male perché lo svuota, un male segnalato
da sentinelle inascoltate.
Ma
a soccorso della tristezza, a scudo da invasione d'anima,
miracolosamente mi sentii attraversare quella stessa sera,
traversata di grazia, da pensieri in controtendenza. Pensieri
di speranza che vorrei oggi affidarvi. Augurio di Natale?
Pensieri che mi sollevavano. Io sono innamorato, lo confesso
di Gesù, Gesù di Nazaret, anche se non sempre
mi riesce di seguirne la limpidezza della voce. Innamorato
di lui, mi commuovo quando per grazia incrocio uomini e
donne che in lui hanno trovato un pozzo d'acqua che disseta.
Mi
era capitato nel giorno dei santi, e non ho vergogna di
dirlo, di commuovermi alle parole scritte da un non credente,
dietro uno scambio di pensieri tra lui e un cardinale, il
cardinale Carlo Maria Martini. L'occasione era stata la
lettura dell'ultimo libro del cardinale "meditazioni
sulla preghiera". Giustificando il tema inusuale del
suo editoriale Eugenio Scalfari scriveva: "Mi sentivo
stanco di visitare e rivisitare problemi importanti ma ripetitivi,
che per di più dimostrano un tale stato di degradazione
da esser diventati ripugnanti per ragioni estetiche prima
che ancora morali e politiche. Sicché mi sono assai
confortato leggendo la prosa del cardinale. Ho pensato di
cogliere l'occasione che il suo scritto mi offriva e intervenire
anch'io sullo stesso argomento. Penso che i miei lettori
ne saranno contenti. Il tema del cardinale riguarda la preghiera
dei vecchi. Detto in altro modo - e lui stesso ne fa menzione
- si tratta d'una meditazione sulla morte da parte di chi,
pur in buona salute, la vede approssimarsi incalzata dal
calendario. Martini è profondamente religioso, ad
un punto tale da potere e volere colloquiare anche con i
non credenti e mettere in comune esperienze così
disparate. Io sono per l'appunto uno di quelli e meditare
assieme a lui mi ha dato grandissima pace tutte le volte
che tra noi è accaduto".
E a conclusione dell'articolo ecco le parole che allora
lessi e oggi rileggo con emozione:
"La vecchiaia restringe la nostra vitalità,
limita le capacità del corpo e concentra quelle delle
mente. In alcuni il desiderio del potere soverchia gli altri.
È patetico vedere come alcuni vecchi restino aggrappati
al potere, la loro zattera di salvataggio che non li porterà
ad alcuna salvezza, la loro rabbia nel vederselo strappato
brano a brano, la solitudine del loro io denudato giorno
per giorno dagli orpelli dei quali l'avevano rivestito.
Altri si effondono nell'amore. Non dico nell'erotismo, dico
amore. Amore per gli altri e per quelli a loro più
prossimi, quelli dai quali hanno ricevuto amore e ai quali
l'hanno restituito. Quando questo avviene, l'io non è
solo, non è denudato, non è disperato, anzi
è più ampio e più ricco. Non ha nessun
bisogno di chiamarsi e di sentirsi io ma si sente noi e
quella è la sua ricchezza.
Oggi
è il giorno di tutti i santi, ma non ci sono santi
laici, ci sono soltanto anime amorose che lasciano lungo
la strada il pomposo mantello dell'egoismo e indossano quello
della compassione con il quale ricoprono sé e gli
altri. Lei, carissimo cardinale Martini, ha un amplissimo
mantello di compassione, di passione per gli altri. Col
suo mantello ricopre anche me talvolta come il mio può
ricoprire anche lei. Per questo la Nera Signora non ci spaventa.
È per questo sia lei che io sentiamo nel cuore il
messaggio che incita all'amore del prossimo. A lei lo invia
il suo Dio e il Cristo che si è incarnato; a me lo
manda Gesù, nato a Nazareth o non importa dove, uomo
tra gli uomini, nel quale l'amore prevalse sul potere".
Come
non ringraziare il non credente che con accenti commoventi
mi ha ricordato il mantello? Il presepe, quello vero, quello
dei vangeli, non ci ricorda forse il mantello di Dio, il
mantello della sua compassione e della sua passione? E che
altro ci rimane se non ricoprirne noi stessi e gli altri?
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