NATALE
"FUORI LUOGO"
Sono in cerca del Natale.
Non è così a portata di mano, come comunemente
si pensa. Paradossalmente non è così scontato
che sia nelle chiese, tantomeno nelle parole che io prete
vado declamando. E nemmeno nei simboli religiosi e non in
tutti i presepi.
Sono in cerca del Natale. Devono averlo seppellito sotto
cumuli, tonnellate di cose inutili. E dunque, d'ora in poi,
bisogna essere della razza dei minatori e scavare. Scovare
nei camminamenti oscuri della terra l'oro che riluce.
O essere della razza dei cani e augurarci che, per grazia,
ci appartenga il fiuto dei cani. "Fiutare l'invisibile"
-diceva sere fa un amico, Gion Gieli Derungs-: "fiutare
l'invisibile pur senza vederlo".
Anche il tuo Natale si è fatto invisibile, Signore?
Forse
lo fu dall'inizio. Non così sbandierato, non alla
luce del sole, non esibito, non nella forma seducente, ora
dominante, dei segni religiosi. Ma nascosto nella notte.
Il Vangelo è scarno di notizie e forse per questo
ci fa sognare. Le nostre dissertazioni religiose sono infinite,
per questo ci fanno addormentare.
Di sicuro, nel Vangelo della nascita, la notte, il "fuori
luogo", la non casa, la mangiatoia, le fasce. Sempre
le fasce, dall'inizio alla fine: nella mangiatoia della
grotta e nel sepolcro spalancato della risurrezione. Poche
cose.
Le poche cose rivelano, lasciano spiragli. Le molte cose
coprono, pesano, nascondono per sempre: le poche cose fanno
sognare, aprono domande anche sulla nascita.
Come
sarà stato quel parto? Quante le ore delle doglie
a segnare il volto di fatica? E tu, Giuseppe, le tenevi
teneramente la mano? E c'era acqua nel catino? E alla fioca
luce della tua lampada come ti apparve il viso di Maria
dopo la fatica e il volto di quel bambino, nato da madre
come tutti i bambini del mondo, sulle ginocchia della madre,
ma ora anche sulle tue ginocchia? Ora, finalmente, lo sentivi
anche tuo.
Io non so, non ho tempo per ricerche, non so indagare sulla
simbolicità degli atti. Non so se abbia uno o più
significati l'atto del tagliare il cordone ombelicale, né
so quale emozione e significato abbia rivestito quell'atto
nella grotta dimenticata del campo dei pastori.
A
me piace pensare che il gesto -tagliare il cordone ombelicale-
vada anche a significare che, quando un bambino nasce, non
è più tuo, non ti appartiene, appartiene all'umanità,
lo consegni all'umanità, alla terra.
D'ora in poi è consegnato. E c'è una vita,
una vita intera, per onorare il simbolo.
Il distacco fu, per Maria nella notte. Staccato con quel
taglio. Dalla sua carne, come un virgulto reciso da un albero.
E trapiantato. Trapiantato per sempre nella nostra terra.
Nato per tutti e non per una generazione, lui che era figlio
dall'alto. Non per un tempo ma per tutti i tempi. "Per
noi umani", sta scritto nel credo: "per noi umani
e per la nostra salvezza discese dal cielo".
E non sono aggiunte specificazioni, né di tribù
né di cultura né di razza, né di religione.
Per noi umani: consegnato alla nostra umanità, vincolato
per sempre. Ma per amore, solo per amore.
Io
non so se questo vincolo è ancora ciò che
rimane del Natale, l'oro lucente da scovare sotto cumuli
di esteriorità. O se il Natale ha perso spudoratamente,
tristemente, la faccia.
Sono anni che mi prende tristezza, quando mi capita di entrare
per il portone di piazza Fontana nel cortile della curia
diocesana e lo sguardo mi corre alla statua che veglia silenziosa
nell'angolo del cortile, statua di Sant'Ambrogio: "Ambrosius"
è scritto ai piedi. Ma di Ambrogio non esiste la
faccia, la statua ha perso da anni la faccia.
E le domande sono tante. Ha perso la faccia o l'ha rimossa?
La domanda suona provocatoria. Come per il Natale che stiamo
"consumando". Consumato dalle cose, come la statua
consumata dal tempo?
Le statistiche raccontano che oggi in Inghilterra meno,
molto meno del venti per cento dei ragazzi, fra gli otto
e i sedici anni, connette il Natale con la figura di Gesù
Cristo. E dunque un Natale senza faccia.
Salvo poi gridare che è in pericolo la fede cristiana
per sospetta invasione dei musulmani.
La
verità è ben altra. Siamo stati invasi per
anni da ben altro. Un altro che ha eroso il Natale, nella
pressoché totale indifferenza, purtroppo, delle chiese.
Ora può essere Natale, senza Gesù di Nazaret.
Ora andando per case puoi trovare chi ti mostra scandalizzato
un foglietto preso da una chiesa di Liguria, deciso a protestare,
per il contenuto, con il cardinale. E guarda caso, quando
l'hai tra le mani, scopri, sbalordendo, che il testo incriminato
è un testo di Vangelo. Il pericolo cui oggi dobbiamo
reagire, su cui dobbiamo vigilare, è quello di un
Natale senza Gesù, di un cristianesimo senza Vangelo.
Le parole, queste mie, possono suonare forti, persino dure.
Ma a dettarle è la passione, la passione per Gesù
e per questa terra.
La passione per Gesù e per questa terra, per il vincolo
scritto per sempre nella sua nascita, dovrebbe renderci
vigilanti sul futuro del Natale.
E
perché non avvenga dall'interno lo svuotamento, ci
rimane come strada privilegiata, strada, oserei dire, obbligata,
il ritorno alle Scritture.
Ritornare dunque a leggere il Natale secondo Matteo, secondo
Luca, secondo Giovanni. Leggere il racconto così
come suona, ripulendo il Natale, come si fa per gli affreschi.
Ma, accanto alla strada privilegiata delle Scritture, strada
che rimarrà sempre prioritaria al fine di ritrovare
il vero Natale, potremmo forse aggiungere un'altra strada,
certamente più povera, ma anche questa emozionante
-ne ho fatto esperienza in questi giorni- quella di ascoltare
racconti. Racconti del Natale di un tempo, di un tempo meno
consumato del nostro dal mito del denaro, del successo,
del potere, i luoghi dove non succede il Natale.
Raccontare i Natali di un tempo, non per rimpiangere i tempi
passati ma per raccogliere qualche luce e una spinta all'immaginazione
per l'oggi, una immaginazione evangelica.
Racconto
del Natale di altri tempi, dalla lettera di una donna che
vorrei chiamare per affetto Manuela, nome vicino al Natale,
Emmanuele, Dio con noi.
Dalla lettera, che va ad aggiungersi ad altre di intensa
emozione, trascrivo alcuni passi:
"...Ho nostalgia di quei sentimenti forti che i miei
genitori mi hanno donato quando ero piccola. Ringrazio Dio
per essere nata in una famiglia disagiata, dove papà
e mamma ad ogni spesa contavano i soldi sul lettone e davano
la precedenza prima ad una cosa, poi all'altra, e sentivo
che ogni regalo di Natale, ogni pacchettino era veramente
una "grazia" di Gesù, che aveva aiutato
i miei genitori a rendere felice me ed i miei fratelli.
Questa "grazia" non l'hanno ricevuta i miei figli,
né potranno più riceverla, nonostante i miei
sforzi.
Ricordo quel Natale in cui avevo scritto a Gesù che
volevo un orsetto a pile, che si muoveva e camminava. Non
lo ricevetti.
Sotto l'albero c'era il "solito" libretto da colorare
e la scatola di colori nuova, che serviva anche per la scuola.
Ma mia madre aveva messo una "letterina di Gesù":
" Non ho potuto portarti l'orsetto a pile, perché
ne avevo solo uno, e me l'aveva chiesto anche un altro bambino
che vive in un orfanatrofio ed è molto povero. Ho
preferito darlo a lui. Spero che non ti arrabbi troppo.
Gesù".
Ero contenta perché pensavo a quel bambino tanto
felice con quell'orsetto che desideravo tanto, ma ho apprezzato
tanto di più la mia famiglia perché io la
famiglia l'avevo e quel bambino no.
Evidentemente i miei genitori non avevano i soldi sufficienti
per quell'orsetto! Costava troppo, però è
stata molto bella l'idea, indelebile nel tempo, di mia madre.
Ancora l'apprezzo. I miei figli non crescono come vorrei.
Sono sola a lottare. In parrocchia c'è un'aridità
ed un vuoto incredibile".
Le
cose allora erano poche ed erano leggere, ma in filigrana
si intravedeva il volto vero del Signore. Oggi sono tante,
forse troppe e pesanti e il suo volto è come coperto
e soffocato.
In questi giorni di lunga vigilia, mentre vado con emozione
per case e case, mi rimane negli occhi e nel cuore il lettone
di quella casa di poveri e le mani che contano i pochi soldi,
le mani che contano -lo sanno fare le nostre?- la vera ricchezza
della vita.
Mi rimane nel cuore la "letterina di Gesù",
un condensato di vangelo, la sapienza dei poveri.
Le mamme di oggi non hanno meno cuore, ma le molte cose
stanno loro prosciugando mente ed energie. Come a tutti
noi.
E
ritorno, impenitente, a sognare. A sognare che le nostre
mamme, come la mamma di Manuela, scrivano letterine, passino
messaggi abitati da quella sapienza, letterine e messaggi
che raccontino il vero Natale, quello povero del Signore,
il Natale che ci fa attenti alle povertà del mondo.
"Se nascesse oggi Gesù, dove nascerebbe?":
si chiedevano ieri i ragazzi di una terza elementare. Uno
di loro disse: "Nascerebbe a Kabul".
Forse per dirci su che cosa, su chi, possiamo piegarci,
nel giorno in cui il Signore si è piegato su di noi.
don
Angelo
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