APPUNTI
PARZIALI SULLO STILE DI FRANCESCO
Posso parlare del vescovo di Roma, Francesco, solo per approssimazioni.
Sento difficoltà a radunare un turbinio di immagini in un
numero ristretto di parole che ne raccontino lo stile? Come
parlarne senza cadere nel già detto o nel già celebrato?
So di non sfuggire al pericolo: i miei, come spesso mi accade,
sono semplicemente appunti. Lo stile di Francesco? D'istinto
mi verrebbero al cuore alcune parole di Gesù nei vangeli:
"Imparate da me che sono mite e umile di cuore".
Non
penso di essere molto lontano dal vero immaginando che se
lui, Francesco, se le sentisse attribuire, subito cancellerebbe
l'"imparate da me", un'introduzione, che solo Gesù, penso,
poteva permettersi, anche se poi ci hanno tentato altri,
forse non pesando la devastazione dell'inganno. Uno stile
mite ed umile che d'immediato mi richiama la promessa di
Gesù: "Beati i miti… erediteranno la terra". Con una mia
bizzarra interpretazione, di cui chiedo perdono, oso dire
che uno stile mite ha il potere di guadagnare la terra,
perché i miti entrano nel cuore dell'intera umanità.
E
in questo orizzonte sarei tentato di interpretare, arbitrariamente,
l'evento di un papa entrato con immediatezza nel cuore della
sua chiesa, non solo, ma del mondo: lui già in eredità di
terra. Un'umiltà che ha sorgente: appartiene a chi si sente
piccolo davanti a Dio, a chi mette la sua forza in Dio e
proprio perché la mette in Dio e non in altro, diventa
sorprendentemente coraggioso. Forse anche questo spiega
l'estrema libertà di papa Francesco. Come se non avesse
paura. Mi seduce il suo stile mite e umile, che è tutt'altro
che passività e resa, è confidare in Dio. E' confidare sempre
e comunque, nella forza disarmata e disarmante del vangelo.
Per molti di noi, lo confessiamo, è come se assistessimo
al prendersi corpo non solo del vangelo, ma anche dei sogni
nati con il Concilio.
Dai
tempi del Concilio nel cuore di molti di noi erano nati
sogni. Che ora sembrano avverarsi. Tra questi il sogno di
una chiesa che si svestisse dei molteplici appesantimenti
di cui i secoli l'avevano tristemente caricata, per uno
stile più libero, più sobrio, più sciolto, alla fin fine
più evangelico, meno in contraddizione con il messaggio
del suo Signore. Il sogno di una chiesa non "domina", ma
"serva". Ora il titolo di "servus servorum Dei", cui sembravano
contraddire troppe manifestazioni ecclesiastiche e pontificie,
sembra riprendere colore. E lo stile del papa diventa messaggio
evangelico, richiamo alla chiesa, perché appaia, anche visibilmente,
serva.
Di
qui, o anche di qui, il forte richiamo contro la mondanità.
Un richiamo che, già prima dell'elencazione delle quindici
malattie mortali della Curia, aveva trovato uno spazio con
accenti di una sincerità disarmante nella esortazione apostolica
"Evangelii gaudium", là dove papa Francesco parla della
mondanità della chiesa e scrive: "Questa oscura mondanità
si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente opposti
ma con la stessa pretesa di "dominare lo spazio della Chiesa".
In
alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della
dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi
il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei
bisogni concreti della storia. In tal modo la vita della
Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso
di pochi. In altri, la medesima mondanità spirituale si
nasconde dietro il fascino di poter mostrare conquiste sociali
e politiche, o in una vanagloria legata alla gestione di
faccende pratiche, o in un'attrazione per le dinamiche di
autostima e di realizzazione autoreferenziale. Si può anche
tradurre in diversi modi di mostrarsi a se stessi coinvolti
in una densa vita sociale piena di viaggi, riunioni, cene,
ricevimenti.
Oppure
si esplica in un funzionalismo manageriale, carico di statistiche,
pianificazioni e valutazioni, dove il principale beneficiario
non è il Popolo di Dio ma piuttosto la Chiesa come organizzazione.
In tutti i casi, è priva del sigillo di Cristo incarnato,
crocifisso e risuscitato, si rinchiude in gruppi di élite,
non va realmente in cerca dei lontani né delle immense moltitudini
assetate di Cristo" (EG 95). Nel passaggio sembra risuonare
una parola che contraddistingue lo stile di papa Francesco,
la parola "semplicità", la semplicità evangelica. Uno stile,
il suo, semplice, perché concentrato, senza ondeggiamenti
o vaneggiamenti, sull'unicum, il suo Signore e, con lui,
le sorelle i fratelli cui si sente mandato, specialmente
i poveri...
Semplice
e dunque libero, libero da incrostazioni. Libero da un eccesso
di organizzazione, che a volte tenta di soffocare anche
la sua naturalezza. Come accadde quel giorno in cui volle
dare realizzazione al desiderio di incontrare a Caserta
un suo amico, il pastore pentecostale Giovanni Traettino,
amico dai tempi di Buenos Aires, e si ritrovò che gli organizzarono
una visita in diocesi. Dal suo amico andò il giorno dopo,
rimase a pranzo con lui, incontrò la sua comunità. Fuori
da ogni ufficialità.
Uno
stile libero che rivendicò come importante per esempio il
1° giugno delle sorso anno parlando al popolo del Rinnovamento
Carismatico. "State attenti a non perdere la libertà che
lo Spirito Santo ci ha donato! Il pericolo per il Rinnovamento
è quello dell'eccessiva organizzazione: il pericolo dell'eccessiva
organizzazione. Sì, avete bisogno di organizzazione, ma
non perdete la grazia di lasciare a Dio di essere Dio! Tuttavia
non c'è maggior libertà che quella di lasciarsi portare
dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto,
e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti,
ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c'è
bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama
essere misteriosamente fecondi!" (Evangelii gaudium, 280).
E
quello stesso giorno segnalò un altro atteggiamento in contrasto
con la libertà dello spirito, disse. "Un altro pericolo
è quello di diventare "controllori" della grazia di Dio.
Tante volte, i responsabili (a me piace di più il nome "servitori")
di qualche gruppo o qualche comunità diventano, forse senza
volerlo, amministratori della grazia, decidendo chi può
ricevere la preghiera di effusione o il battesimo nello
Spirito e chi invece non può. Se alcuni fanno così, vi prego
di non farlo più, non farlo più! Voi siete dispensatori
della grazia di Dio, non controllori! Non fate da dogana
allo Spirito Santo!".
Uno
stile libero, aperto, fiducioso, il suo, uno stile che spinge
anche noi ad uscire. Si va fuori dei confini, "alle periferie
del mondo" direbbe papa Francesco. Alle periferie per abbracciare
ogni terra, ogni condizione di vita. "Periferie", una parola
tra le più ricorrenti negli inviti del Papa. Che nel grande
raduno dei movimenti a Roma disse: "Non chiudersi, per favore!
Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con
gli amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo
le stesse cose… ma sapete che cosa succede? Quando la Chiesa
diventa chiusa, si ammala, si ammala! Pensate ad una stanza
chiusa per un anno; quando tu vai, c'è odore di umidità,
ci sono tante cose che non vanno. Una Chiesa chiusa è la
stessa cosa: è una Chiesa ammalata. La Chiesa deve uscire
da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi
esse siano, ma uscire. (…) Io vi dico: preferisco mille
volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che
una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite!
Pensate anche a quello che dice l'Apocalisse. Dice una cosa
bella: che Gesù è alla porta e chiama, chiama per entrare
nel nostro cuore (cfr Ap 3,20). Questo è il senso dell'Apocalisse.
Ma fatevi questa domanda: quante volte Gesù è dentro e bussa
alla porta per uscire, per uscire fuori, e noi non lo lasciamo
uscire, per le nostre sicurezze, perché tante volte siamo
chiusi in strutture caduche, che servono soltanto per farci
schiavi, e non liberi figli di Dio?".
Vorrei
concludere - o forse aprire? -ricordando come uno stile
di semplicità si sveli, quasi come esito ineludibile, nella
semplicità del linguaggio, che non richiede chissà quali
mediazioni, ma tocca tutti, tocca tutto, lo spirito e il
corpo, senza le schizofrenie del passato. Di questa immediatezza
simpatica e spontanea sono permanentemente segno gli innumerevoli
interventi di Francesco. Ricordo uno degli ultimi, che mi
evocò d'istinto alcune mie riflessioni di anni fa, quando,
ancora parroco, ero solito dire che il chiacchierare e il
piangere dei bambini durante le celebrazioni erano per me
voce e suono d'organo nella mia chiesa e nessuno attentasse
a zittire questo organo meraviglioso.
Proprio
qualche giorno fa in occasione dell'amministrazione del
battesimo a 33 bambini nella cappella Sistina papa Francesco
sembrò rompere un ultimo tabù. Rivolgendosi alle mamme,
disse con estrema semplicità e con luminosa umanità: "Voi
mamme date ai vostri figli il latte - anche adesso, se hanno
fame e piangono, potete dare loro il latte". Parole di una
semplicità disarmante! Parole che toccano i corpi, toccano
e accolgono in tutta la sua ampiezza la realtà della vita
quotidiana. Mesi fa aveva dichiarato che a infastidirlo
non erano i pianti o le grida dei bambini, bensì la gente
che manifestava insofferenza verso dii loro durante la messa.
"I
bambini" disse "piangono, fanno rumore,vanno da una parte
e dall'altra... e a me dà tanto fastidio quando in chiesa
un bambino piange e la gente vuole che se ne vada fuori".
"Il pianto di un bambino" soggiunse "è la voce di Dio! Mai,
mai cacciarli via dalla chiesa,davvero!".
Appunti, parziali, sullo stile di un papa chiamato Francesco.
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