FORSE
I SUOI OCCHI SONO TRISTI
Forse
erano tristi i suoi occhi.
Forse erano tristi gli occhi di Gesù, quando andava
ripetendo: "Una generazione perversa e adultera pretende
un segno. Ma nessun segno le sarà dato, se non il
segno di Giona profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni
e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio
dell'Uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore
della terra" (Mt. 19, 39-40).
Cercavano segni. Il segno di Dio era nascosto in quell'uomo
apparentemente normale. Ma loro cercavano altrove.
Forse erano tristi i suoi occhi.
Forse erano tristi gli occhi di Gesù, il giorno in
cui si sentì dire -ed era a casa sua, tra i suoi,
quelli del suo paese!-: "Quello che abbiamo udito che
accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria"
(Lc. 4,23).
Cercavano miracoli. Il miracolo di Dio era in quell'uomo
apparentemente normale. Ma loro cercavano altrove.
Forse sono tristi i suoi occhi.
Forse sono tristi gli occhi di Gesù, oggi, oggi più
di ieri, per questa generazione, la nostra, che va rincorrendo
segni e miracoli. Più miracoli che segni. I segni
infatti sono più impegnativi, chiedono conversione.
Sta diventando sempre più folla il numero di coloro
che rincorrono spasmodicamente visioni e messaggi, mentre
i verbi "vedere" e "toccare" vanno sempre
più sostituendo un verbo, povero di visioni, il verbo
"credere".
OSSERVO
SGOMENTO
Osservo
a volte sgomento l'importanza data sempre più a guaritori
e veggenti, ad apparizioni e guarigioni, un fenomeno che
ha ben poco da spartire con la fede, se sta la parola di
Gesù: "Tommaso, perché hai visto, hai
creduto. Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno"
(Gv. 20,29).
Provo simpatia per questi beati, i beati della "normalità".
Ma provo anche sgomento per questa voglia di toccare e di
vedere, una voglia che richiama prepotente alla mente l'idolo
e quelle parole -anche quelle tristi- di Gesù: "Quando
il Figlio dell'Uomo tornerà, troverà ancora
la fede sulla terra?" (Lc. 18,8).
Penso agli occhi tristi di Dio.
Come non rimanere senza parola per esempio, di fronte alla
richiesta del sacramento della Cresima da parte di un adulto
e la richiesta ha un'urgenza: "Che sia presto"
-ti si dice- "perché così poi nel mio
gruppo potrò ricevere l'effusione dello Spirito Santo".
Guardo trasognato e mi chiedo a quali lidi di religiosità
stiamo approdando: l'impallidimento del sacramento ridotto
a mero lasciapassare per le "effusioni" quelle
vere, quelle che contano.
Rimango -lo confesso- senza parole, quando, gli occhi ubriacati
di esaltazione, ti vengono a chiedere: "Allora, ti
è piaciuta la nostra Messa? Non è come nelle
altre chiese. Avrai pur provato qualcosa di nuovo!".
Ti stropicci gli occhi e ti vai chiedendo se Dio e il suo
mistero debbano essere "qualcosa che piace" e
se l'esaltazione debba essere la prova che ne sei stato
sfiorato.
UNA
LUMINOSA NORMALITÀ
È
allora che con il cuore e con la nostalgia ritorno a quei
cristiani "normali" -loro sì beati, secondo
il Vangelo- quelli che credono senza vedere e senza toccare,
quelli della messa domenicale, loro che l'effusione dello
spirito non la vanno a cercare chissà dove o chissà
quando, ma sanno crederla ogni volta che un prete "normale"
in una celebrazione "normale" per la quale non
ci sono manifesti di invito con tanto di scritta "ingresso
libero" (sic!), sul pane e sul vino dice la preghiera
"normale": "Manda il tuo Spirito, Signore,
su questo pane e su questo vino, perché il tuo Figlio
sia presente in mezzo a noi con il suo corpo e con il suo
sangue... Donaci la forza dello Spirito Santo, perché
diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito".
APRIRE
LA FINESTRA
Cercare
i segni o leggere i segni? Questo sembra essere lo spartiacque
del problema.
Gesù, che da un lato diffidava dal "cercare"
i segni, dall'altro invitava a "leggere" i segni:
"Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché
il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché
il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare
l'aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei
tempi?" (Mt. 16, 2-3).
Leggere i segni. Non sarà che, malati come siamo
dell'eccezionalità, diventiamo sempre più
analfabeti nella vita di ogni giorno?
Leggere nella normalità: "Ogni mattina apro
la finestra" -mi diceva giorni fa una psicanalista-
"e guardo con stupore".
Aprire ogni giorno la finestra della vita e perdersi a guardare,
convinti, se abbiamo fede, di non avere davanti agli occhi
il vuoto.
È una vita che cantiamo nelle chiese: 'I cieli e
la terra sono pieni della tua gloria'. Ma poi facciamo come
se fossero vuoti e andiamo a cercare altrove.
LÀ
DOVE CI SI TROVA
"Là
dove ci si trova": così Martin Buber intitola
un capitolo di un suo libricino, piccolo ma prezioso "Il
cammino dell'uomo".
Inizia il capitolo con un racconto chassidico, che narra
la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel di Cracovia:
"Dopo anni e anni di dura miseria, che però
non avevano scosso la sua fiducia in Dio, questi ricevette
in sogno l'ordine di andare a Praga per cercare un tesoro
sotto il ponte che conduce al palazzo reale.
Quando il sogno si ripetè per la terza volta Eisik
si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga.
Ma il ponte era sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle
ed egli non ebbe il coraggio di scavare nel luogo indicato.
Tuttavia tornava al ponte tutte le mattine, girandovi attorno
fino a sera.
Alla fine il capitano delle guardie, che aveva notato il
suo andirivieni, gli si avvicinò e gli chiese amichevolmente
se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno.
Eisik gli raccontò il sogno che lo aveva spinto fin
lì dal suo lontano paese.
Il capitano scoppiò a ridere: "E tu, poveraccio,
per dar retta a un sogno sei venuto fin qui a piedi? Ah,
ah, ah! Stai fresco a fidarti dei sogni! Allora anch'io
avrei dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno
e andare fino a Cracovia, in casa di un ebreo, un certo
Eisik, figlio di Jekel, per cercare un tesoro sotto la stufa!
Eisik, figlio di Jekel, ma scherzi? Mi vedo proprio a entrare
e mettere a soqquadro tutte le case in una città
in cui metà degli ebrei si chiamano Eisik e l'altra
metà Jekel!". E rise nuovamente.
Eisik lo salutò. Tornò a casa sua e dissotterrò
il tesoro, con il quale costruì la sinagoga intitolata
"Scuola di Reb Eisik, figlio di Reb Jekel"".
"Il luogo in cui si trova questo tesoro" -commenta
Martin Buber- "è il luogo in cui ci si trova...
Nell'ambiente che avverto come il mio ambiente naturale,
nella situazione che mi è toccata in sorte, in quello
che mi capita giorno dopo giorno, in quello che la vita
quotidiana mi richiede... è qui nel luogo preciso
in cui ci troviamo che si tratta di far risplendere la luce
della vita divina nascosta".
"La luce della vita divina nascosta" o, se volete,
i segni di Dio nella normalità, in una luminosa normalità.
Aprirò le finestre ogni mattina, la finestra della
vita -mi sono detto in questi giorni in cui tutti, chi più
chi meno, stiamo riprendendo- e a sera mi chiederò
se avrò letto i segni del passaggio di Dio o se sarò
stato nel numero di quelli che i segni li vanno testardamente
a cercare altrove.
don
Angelo
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