RITORNO
ALLA CASA
Stiamo
ritornando a casa, dopo una lunga e torrida estate.
Qualcuno purtroppo non si è mai allontanato.
Qualcuno per poco: brandelli di ore e niente più.
Ma forse può succedere di ritornare a una casa, anche
se non ci si è mai allontanati: ritornare con il
cuore, dopo che ne sei rimasto fuori a lungo, per troppo
tempo, con il pensiero: era come se non ci fossi.
Un ritorno alla casa può essere vissuto esteriormente,
come semplice traslocazione geografica: da un luogo a un
altro; una casa vale l'altra.
Oppure può essere vissuto evocando tutto ciò
di cui la casa è simbolo, tutto ciò di cui
il ritornare è attesa.
IMPOVERIMENTI
C'è
il rischio dell'appiattimento. E non sarà forse qui,
cioè nella perdita di ogni simbolicità, la
ragione - quella vera- dell'impoverimento della vita, del
grigiore che l'assale, proporzionale quasi, paradossalmente,
al suo esteriore arricchimento?
Non sarà che abbiamo spogliato la vita di ogni simbolicità,
di ogni evocazione? Il ritorno a casa impoverito a nudo
e scontato trasferimento.
CASA DELLA MEMORIA
Una
casa è molto più che le mura. E vivere una
casa è molto più che vivere metri quadrati
di superficie. E dunque avere occhi e memoria per l'invisibile
della casa. E non essere smemorati.
La smemoratezza sembra essere l'esito implacabile, il vicolo
chiuso, l'imprigionamento cui trascina la corsa cieca delle
cose, il cosiddetto "ben essere" immaginato e
rincorso stoltamente come "ben avere".
Esito è la smemoratezza di Dio e, insieme, la smemoratezza
di tutto ciò che fa l'invisibile delle cose.
"Quando avrai mangiato e ti sarai saziato , quando
avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai
visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi
il tuo oro e abbondare il tuo argento, il tuo cuore non
si inorgoglisca in modo da dimenticare " (Dt. 8,12-13).
C'è una sazietà che ci fa purtroppo smemorati
di Dio: la stessa che ci fa contemporaneamente smemorati
delle cose, dell'invisibile delle cose.
LE SOLE VERE PUPILLE
Come
non augurarci- ricordo una lirica di Montale - di avere
pupille che ci permettano di sfuggire "gli scorni di
chi crede/ che la realtà sia quella che si vede"?
"Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già
perché con quattr'occhi forse si vede di più,
con te le ho scese perché sapevo che di noi due le
sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue".
La casa per chi ha pupille è più che le mura:
è l'emozione dei volti, l'intensità degli
sguardi, il profumo dei gesti.
Casa sono le nostre stanchezze e i nostri trasalimenti riflessi
nelle pupille dell'altro, le radici comuni, le reciproche
appartenenze.
A quest'ombra e non ad altre tu sei cresciuto, nell'intreccio
di queste storie e non di altre ti sei costruito. Respirando
quest'aria - e chi mai mette nel conto l'impalpabile aria?
-. Condividendo il pane di questa sacra quotidianità.
Casa come riposo vero del cuore: perché a volte la
stanchezza è dentro e l'attesa è di essere
rigenerati nel profondo, nella fiducia del cuore.
Non ti sembri strana più di tanto questa mia povera
apologia della casa. Da un lato mi è stata suggerita
da alcuni giorni di ferie - non importa se brevi - dell'ultima
estate, dall'altra dalla vicinanza ad eventi che hanno duramente
toccato alcune famiglie della nostra comunità
I
SENTIERI E LA CASA
Alla
fine di questa estate sento di dover ringraziare Dio che
mi ha dato la gioia di passare alcuni giorni nell'assorto
silenzio delle montagne, abitando case di amici.
Forse essi non sanno quante volte in quei giorni di agosto
mi è capitato di associare l'aria fresca e pulita
delle montagne all'aria tenera e liberante della loro casa.
Ho respirato doppiamente la fortuna di un'aria buona.
Per i sentieri di montagna puoi avventurarti, partendo da
un istituto, da una casa del clero, da un albergo oppure
partendo da una casa e facendo ritorno a una casa. Credimi,
è diverso: ci sono conventi e canoniche che non hanno
nulla da spartire con la tenerezza di una casa. Quante cose
- in una casa - viste insieme, amate insieme! E quante rincorse
e sognate insieme!
CASA DELLA SOSTA E DELLA PARTENZA
Casa
senza ore, come senza ore è la tenerezza. Casa dove
l'imprevedibilità di un dialogo con un figlio o una
figlia
ti può ripagare di giorni e giorni in cui ti ha ferito
la sensazione di essere quasi inutile, ora che i figli si
sono fatti grandi.
Casa dove ognuno può arrivare e riprendere il discorso,
quasi fosse stato appena interrotto. E raccontare di sé
e sentirsi ascoltato.
Casa della sosta, ma anche della partenza: dove i figli
più non stazionano perennemente: hai insegnato loro
a volare - emigrano precocemente - ed ora conoscono altri
cieli e altre terre. Eppure qui fanno ritorno, quasi importasse
loro un ultimo riferimento, un ineludibile confronto.
Casa dove il diventare una sola carne è la terra
verso cui camminare, l'approdo ultimo e mai conquistato,
forse solo sfiorato. Dove amare l'altro non sarà
mai negargli la possibilità di essere sé stesso,
ma salvaguardare gelosamente gli spazi della sua libertà
, come fossero i tuoi.
E NON E' CRONACA MINORE
Succede
a volte e non senza emozione - succede in modo particolare
nei momenti di sofferto distacco - che il cuore ami rivisitare
questa cronaca delle nostre case, che ingenuamente noi osiamo
definire "minore".
Cronaca, fatta non di proclami ma di presenze. Cronaca che
avrebbe tanto da insegnare in un mondo come il nostro dove
è invalsa la moda di proclamare. E tutti a pontificare
e a esternare, nel mondo politico come nel mondo culturale,
nella società civile come negli ambiti ecclesiali.
Fino a far concludere a qualcuno che il corso è mutato
e non è più la Parola a farsi carne, bensì
la carne che si fa vuota parola.
Forse resistono le case a svelare il vuoto e l'improponibilità
delle proclamazioni verbali di principio, così perfette
e così gelide, così lontane. Resistono a raccontare
una cronaca minore, che svela a chi ha vere pupille profondità
inimmaginabili.
Ricordo la voce di Alessandra, sul punto di lacerarsi per
l'emozione, al funerale di suo padre, eppur teneramente
forte.
Sembrava raccontare una cronaca "minore". Invece
raccontava l'invisibile:
"Ero piccina e ricordo la mia mano piccola nella tua,
mi sentivo sicura nella tua mano così grande, e ogni
tanto mi davi due strette, erano proprio due, con cui dicevi
che c'eri e mi volevi bene. Mi sentivo protetta in quel
modo.
Ricordo quell'entusiasmo al ritorno dai tuoi viaggi, ci
abbracciavi, felici di ritrovarci di nuovo e ci raccontavi
tutto.
Penso in questi giorni a quanti aspetti tuoi ci hai fatto
conoscere.
Hai saputo giocare con noi, e con il tuo Giuseppe, ti ho
visto giocare anche l'ultimo giorno, e mi piaceva guardarvi
in disparte; quanti scherzi ci facevi: era un tuo modo simpatico
di comunicare, sapevi anche farti prendere in giro ed era
anche un altro modo con cui ti avvicinavi a noi.
Ti ho visto piangere di commozione per la nascita di Giuseppe.
Avevi un grande cuore!
Sentivo che a piccoli passi ti avvicinavi a noi, e lo facevi
piano perché eri discreto, perché scrutandoci
da lontano cercavi di capirci e ci rispettavi.
Papà, aiutaci a ripartire con coraggio, come i tuoi
aerei, che quando decollano fanno fatica ma poi nessuno
li ferma più, come le locomotive a vapore che amavi
tanto, i loro ingranaggi girano piano piano all'inizio,
ma se il capo macchinista le condurrà affronteranno
bene anche il viaggio della vita"
don
Angelo
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