UN'ESTATE
PER DIMENTICARE?
Scrivo
nelle contraddizioni dell'estate.
La città d'estate, questa città apparentemente
irreale.
Da un lato ti restituisce una dimensione quasi umana: ritrovi
emozioni da tempo cancellate. Così come mi era capitato
lo scorso anno.
E
nel silenzio ora papabile
di una città stranita
odi trasalendo
rumori e voci e suoni
a lungo negati
dall'orgia
quotidiana del frastuono.
Rintocchi
improbabili
di sperduta campana
che sembra chiamare
da altre terre.
Ed
ora il fruscio
Cadenzato sull'asfalto
della lunga scopa
del netturbino.
Segno inatteso
di smarrite presenze.
Ti
perdi
a seguirne l'eco
sempre più fioca
fino all'ultimo suo
struggimento.
Ed è mattino d'agosto.
D'altro
lato, una città, per certi versi, ancora più
disumana. Dove ti può capitare di rincorrere per
ore una farmacia, alla ricerca disperata di una bombola
d'ossigeno. Salvo poi trovarne una dopo ore, in piazza Duomo,
dove peraltro, giustamente, ai mezzi privati è vietato
l'accesso.
***
Città
d'estate, città del silenzio.
Un silenzio da amare: il silenzio che ti restituisce finalmente
a te stesso e, insieme, al faccia a faccia con Dio, il Dio
che, secondo la Bibbia, non abita il terremoto o il tuono,
ma un silenzio sottile, un silenzio trattenuto.
Il silenzio dell'estate, un silenzio su cui, d'altro canto,
vigilare. Perché capita che del silenzio si approfitti,
per coprire le operazioni più disgustose. E il tempo
favorevole sembra essere appunto l'estate.
Nel deserto della città tanti fatti passano inosservati.
E se anche li osservi, con chi hai la possibilità
di parlarne? Qualcuno poi sa che, col passare del tempo,
i fatti perdono la loro carica dirompente, impallidendo
inesorabilmente.
Sulla soglia dell'estate, anche quest'anno sono avvenuti
episodi che non devono essere passati sotto silenzio.
Per alcuni di essi i giochi sono già fatti e il parlarne
può essere solo occasione per invitarci a tenere
sempre agguerrito e disincantato lo spirito critico, davanti
a non pochi discorsi, che sotto toni trionfanti, nascondono
vuoti paurosi.
L'"ONORE"
DELLA NAZIONE
Tra
gli avvenimenti conclusi, che trascendono la misura dell'episodio
sino a segnalare un costume, sta il dispendio di tempo,
di energie, di mezzi economici, profusi per i mondiali di
calcio.
E pochi, troppo pochi, a interrogarsi: che cosa ne era dell'uomo?
Che cosa conta oggi l'uomo, a fronte degli interessi smisurati
che ruotano intorno a certi fenomeni?
C'è qualcuno, -me lo auguro- capace ancora di indignarsi
davanti ai politici, che, trionfanti, vengono a raccontare
alla platea televisiva che l'Italia, paese organizzatore,
si è fatta onore?
Ma dove mettiamo l'onore? O per quale onore buttiamo i soldi?
Forse quello di un gioco, cui abbiamo venduto tutta la nostra
immaginazione e fantasia?
E non ce ne rimane, per avventura, una briciola per impedire
che la nostra nazione venga ricordata per immagini che non
le fanno onore?
Per esempio le code interminabili di anziani, in fila, per
ore, nel solleone della città -e la coda era a perdita
d'occhio sin dalle prime ore del mattino- per ritirare un
ticket.
O l'immagine di una nazione che non ha pensato che forse
gli ospedali vanno anche dotati di chi assista con professionalità
i malati?
O la nazione, dove ti può capitare -e ditemi se questo
è rispetto della dignità dell'uomo! - di essere
fermato dalla polizia stradale e ricacciato con la tua auto,
in modi bruschi e concitati, al limite estremo della carreggiata.
E non perché tu abbia violato chissà quale
articolo del codice, ma solo perché bisogna fare
spazio al passaggio di un pullman con scorta di giocatori
e accompagnatori del Mundial.
E tu, giustamente, amico, riprendendo il viaggio, a parlare
al tuo piccolo figlio di quanto tutto ciò offenda
la dignità dell'uomo, perché, crescendo, sappia
che cosa ci fa veramente grandi e degni di rispetto nella
vita. Perché nessuno è più uomo di
un altro. E dunque grandi e degni di rispetto siamo tutti.
CEDERE
ALLA PREPOTENZA?
Ma
di quale rispetto possiamo ancora parlare?
Mi sarei aspettato -tu dici: il solito ingenuo! - che in
questi mesi insorgesse l'Italia, o mezza Italia, e i cattolici
in testa. Dico: i cattolici, per quel brandello di profezia
e di Vangelo, di cui dovrebbero essere gelosi custodi.
Che insorgessimo tutti, sul problema dell'emittenza televisiva,
a difesa dell'uomo, della sua intelligenza, della cultura,
della libertà di informazione.
Metti caso che fossimo insorti tutti o quasi tutti coloro
cui stanno a cuore l'uomo e la sua dignità che non
ha prezzo, sarebbe servito -mi chiedi- a qualcosa?
E
io ti chiedo come lo chiami un paese, dove si cede al monopolio
pubblico o privato, a posizioni di predominio e di arroganza,
su cui si sarebbe dovuto vigilare e non si è vigilato?
Un paese libero o dominato? E l'oppressione è solo
quella dei carri armati?
Difendiamo (sarà poi vero?) gli alberi della città.
Ci indigniamo (ma sarà vero?) per le lattine seminate
sui monti o per l'idiozia dei turisti che scrivono i loro
nomi sui monumenti delle nostre città. Desideriamo
mettere un argine alla invasione di saccopelisti che ne
attendono il decoro. Insegniamo ai figli a non interrompere
mai, per rispetto, un discorso, fin tanto che uno sta parlando.
Ma sopportiamo altre intrusioni, altre invasioni, altre
interruzioni, altri scempi: due pesi e due misure.
"Tutto eluso" -scrive Adriano Sansa su "Famiglia
Cristiana"- "in forza di una prepotenza che da
un lato accende la rissa e dall'altro fa i suoi giochi nel
silenzio, ma sempre danneggiando lo Stato, la cui decenza
è di continuo violata" (n. 33/90, pag. 31).
IMBOSCATI?
Accenno
a un terzo episodio, che, per via della lunga estate, corre
il rischio di passare sotto silenzio.
Con un colpo di mano si è riusciti a bloccare la
nuova legge sull'obiezione di coscienza, che avrebbe dovuto
fare chiarezza, precisando diritti e doveri degli obiettori.
Legge per la quale il servizio civile si articolerebbe in
due momenti: il primo, tre mesi di preparazione; il secondo,
lungo quanto il servizio militare, di attività operativa.
Ed ecco la firma di 93 deputati che rimanda a nuove discussione
la legge che, dopo anni, era sulla dirittura di arrivo.
Nelle dichiarazioni del promotore di questo ulteriore rinvio
sono adombrate accuse, più o meno velate, a istituzioni,
in particolare del mondo cattolico, che gestirebbero a loro
uso e consumo queste opportunità, favorendo, tra
l'altro, l'imboscamento degli obiettori.
Che questo ed altri fenomeni possano insinuarsi, come zizzania
tra il buon grano, nessuno lo esclude. D'altro canto la
nuova legge anche a queste deviazioni intendeva porre rimedio.
Feriscono invece le accuse gratuite, i sottintesi che dicono
e non dicono, il discredito gettato con le mezze parole.
Pensavo con insofferenza e rammarico ai 93 firmatari, una
di queste sere afose d'agosto.
Ero stato invitato alla Grangia di Monluè, alla periferia
di Milano, in una di quelle comunità, dove trovano
accoglienza per alcuni mesi, in attesa di un loro inserimento,
stranieri di ogni nazione.
E mi veniva spontaneo mettere a confronto le accuse di lassismo
e di imboscamento con quanto ai miei occhi era dato vedere:
il contrasto era stridente.
La cascina era irriconoscibile: ora è uno spazio
lindo e accogliente, dove abitare è nel segno del
rispetto della dignità di ogni creatura.
Quella sera l'attesa della cena si prolungava. Ancora non
avevano fatto ritorno alcuni stranieri e un obiettore con
loro: tutto il giorno a imbiancare i locali, che uno dei
terzomondiali di lì a poco avrebbe abitato.
Quando li vidi affacciarsi nella grande sala, il volto segnato
dalla fatica, gli abiti inzaccherati di calce e vernice,
gli occhi stanchi, ma non spenti
pensai ai 93 firmatari
e a questo cattivo costume di giudicare sempre da lontano.
Per un attimo mi scoprii a sognare che i 93 firmatari fossero
tra noi. Ma sarebbe poi servito a qualcosa? D'improvviso
mi attraversarono la mente le parole della Bibbia: anno
occhi, ma non vedono".
E allora sognai che fossero con noi, a fissare l'immagine
di quei ragazzi, un fotografo e un giornalista.
Era solo un sogno di mezza estate.
L'immagine però era rimasta nei miei occhi. E ve
ne sto parlando come ad amici.
don
Angelo
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