FOGLI
SPARSI DI UNA ESTATE
CURVATI
DOLCEMENTE SULLA TERRA
Qualcuno
forse ricorda.
Erano votati a morire. E non gà di morte naturale
né di vecchiaia, ma solo per una violenza, annunciata
come dura necessità del "bene comune".
È passato un anno e ancora resistono: sono gli alberi
di piazza Bernini.
Li guardo, così come si guarda un amico, il cui destino
si diceva segnato, segnato per sempre.
Passa il tempo. E ogni giorno sa di miracolo.
Non chiedono nulla - o forse al cielo chiedo acqua e sale?
-: sono l'immagine della gratuità.
Forse anche per questo, in un mondo dove sembra contare
solo ciò che rende economicamente, è giocoforza
che contino ben poco.
Offrono ombra; e gli uomini della mia generazione ancora
non sono arrivati a tanto, di commerciare anche l'ombra.
Ma fino a quando?
Per gli uomini di questa mia generazione conta invece la
terra. La terra sì conta: la puoi scavare, occupare,
commerciare.
Che cosa può mai sognare un albero?
Forse sogna, nell'afa dell'estate, l'acqua del cielo che
risusciti il verde intenso dei suoi rami e ne inumidisca
le radici segrete o forse solo l'azzurro del cielo in cui
perdutamente specchiarsi.
Sarà per questo o per altro, non lo so. So che una
mattina di queste, quando mi trovai in alto, sulla pensilina
che introduce alla nostra chiesa per liberare un canale
che gli acquazzoni d'agosto avevano otturato, rimasi a contemplare
da vicino uno dei teneri rami che vi si era dolcemente appoggiato:
era sorretto o proteggeva?
E il cuore - te lo confesso - non si sarebbe, mai e poi
mai, perdonato di averlo reciso.
Era il segno di una tenerezza infinita, quasi il cielo si
fosse curvato dolcemente sulla terra.
UN
SEGRETO NEL CUORE
Ti
portavi un segreto da anni. La vita conosce dedizioni appassionate,
ma anche sconfinamenti improvvisi.
Né ogni sconfinamento può essere letto, sempre,
come indelicatezza, assenza di trasparenza o accecamento
del cuore. A volte è solo smarrimento.
Ti portavi un segreto nel cuore. E pativi, struggendoti,
la distanza dalla pace.
Quante volte ho visto - e come li avrei voluto accarezzare
- i tuoi occhi inumidirsi e intenerirsi di pianto, al pensiero
dell'incolmabile distanza.
Ma Dio conosce la fatica dei nostri cammini: lui solo sa
quanto fiato ti rimanga, a volte poco. E va istintivamente
graduando il suo passo al passo della nostra stanchezza.
Non c'è durezza nei suoi occhi. C'è attesa:
l'attesa al pozzo delle nostre multiformi e inviolabili
seti.
Sperimentavi la dolce attesa di un Dio che un giorno sedeva
al pozzo di Sicar.
L'attesa non è andata delusa. La distanza si è
colmata. Mi incanto a contemplare i tuoi occhi, ora umidi
di gioia. Vi respira una luce infinita.
"Ti custodisca il Signore come pupilla degli occhi":
è scritto nel Salmo (Sal 17, 8).
UNA
STANCHEZZA DA ONORARE
A
volte forse ti prende stupore per questo mio silenzio o
per il mio contemplare nell'assenza delle parole.
Ho in sospetto le parole "sicure" dei preti: quelli
per i quali i conti tornano sempre; per loro c'è
una soluzione a portata di mano per tutto e per tutti. Rimuovono
la vita, pur di non rimuovere le loro "sicurezze".
Più invecchi - più mi vado appesantendo di
anni - e più mi accade di misurare sui volti i segni
dell'umana stanchezza, una stanchezza da onorare.
La stanchezza del cristiano comune "quello che tutti
i giorni, sul tram o il treno che lo porta al lavoro, non
trova magari il tempo per dire le lodi, ma che porta, dentro
la Chiesa, lo spessore della vita quotidiana e dei suoi
conflitti" (Franco Monaco).
Ti segna la fatica quotidiana, quella di comporre ogni giorno
il tuo ruolo di madre e quello professionale che pure è
servizio dovuto ed esigente.
Ti segna la stanchezza di giornata che sembrano l'immagine
infinita della prova di fede. Ho sperato per te il riposo,
ed ecco, a scuoterti fino alle radici del cuore la violenza
e la durezza di altre prove. Fino a quando, Signore?
"Fino a quando vi scaglierete contro un uomo,
per abbatterlo tutti insieme,
come muro cadente,
come recinto che crolla?" (Sal 62, 4).
Che
ti segni il viso un'ombra di stanchezza e la tua bellezza
non ne esca sciupata, fa parte degli eventi che adoro come
un mistero.
ED
ECCO IL VANGELO
Per
una settimana vado interrogando le Scritture, quelle che
la domenica, non senza tremore, commenterò nell'assemblea
radunata.
In questi giorni ho a lungo indugiato sulla esegesi del
brano di Luca, dove Cristo a modello pone un eterodosso,
un samaritano.
L'unico che vede e si ferma. Tutti vedono l'uomo steso per
terra; ma chi si ferma? Gli uomini del tempio - il sacerdote
e il levita - vedono e passano oltre.
Per una settimana vai interrogando le Scritture, la parabola
del buon Samaritano. E poi, per grazia, in modo inatteso,
te la vedi rivivere davanti agli occhi.
Una sera di queste, una ragazza della nostra parrocchia
- diciotto anni - passava per una strada del nostro quartiere.
C'erano qua e là, in attesa, delle prostitute. E
la ragazza passava in bicicletta.
Tutt'a un tratto frenò e tornò indietro. C'era,
tra le altre, una ragazza di colore, poteva avere la sua
stessa età, o anche meno. Andò a parlare con
lei. Andò ad offrirle una possibilità.
E perché la possibilità offerta non fosse
astratta ma concreta, l'indomani fede pressione suoi amici,
perché si rimandasse la partenza per le ferie: si
doveva trovare una soluzione. La vidi arrivare con il fiato
in gola.
Noi forse la chiamiamo "beata ingenuità".
A me invece è parso di vedere rivivere la parabola
del samaritano. È scritto: "Passando accanto,
lo vide e ne ebbe compassione".
Noi passiamo oltre. Anche noi preti.
C'è chi le cose le dice, magari le predica - io sono
tra quelli -; e c'è qualcuno - Dio sia benedetto
- che, mosso dal suo Spirito, le cose le fa: si ferma e
non passa oltre. Come il samaritano. E ha diciotto anni.
C'è da benedire il Signore.
don
Angelo
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