"LA
CITTÀ DI DIO TU VEDA FIORIRE..."
Ancora
li sfiora un brivido di vento leggero, simile a quello che,
ai tempi di Elia sfiorò il monte, l'Oreb. E fu il
passaggio di Dio.
Oggi stranamente, in questa afosissima estate, a essere
sfiorati da brezza leggera di vento sono gli alberi di Piazza
Bernini.
Mi succede in questi tempi di indugiare a contemplarli,
soprattutto al mattino quando apro le finestre o la porta
della Chiesa. Sembrano dire: "abbiamo vegliato fedeli,
anche nelle afose notti di agosto".
Loro non vanno in ferie: resistono inermi a ritagliare nella
città spazi che sanno quasi di miracolo. Quasi una
sfida impari al dilagare arrogante di asfalti e cementi.
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* *
Corre
voce che gli alberi di Piazza Bernini siano votati ad una
morte precoce.
Le ragioni dell'ecologia, nulla possono contro le ragioni
impietose dell'automobile.
Mors tua vita mea. La città del duemila, così
pomposamente declamata dagli uomini della politica, ha decretato
la morte degli alberi e la nascita di un parcheggio sotterraneo.
Strana razza -razza padrona?- questa dei politici! e persino
esilaranti, se in gioco non fossero i nostri destini, le
loro dichiarazioni.
È di turno l'intervista di un consigliere comunale
che va confessando ai giornali che persino gli alberi gli
si sono fatti odiosi, tanto ne hanno parlato a proposito
e a sproposito i "verdi".
Quando è decaduta l'arte di governare, se le sorti
della città sono ora affidate agli umori, alle emozioni,
ai risentimenti e non invece alla lungimiranza dello spirito
e all'intelligenza delle cose.
E poi tutti naturalmente a declamare la città del
futuro; tutto a riempirsi la bocca di una città a
"misura d'uomo".
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* *
La
città è a misura d'uomo -sembra di capire-
se offre spazi al nostro correre convulso e impaziente.
Che senso avrebbe disegnare o custodire spazi in cui fermarsi
e parlare?
Una città è a misura d'uomo, se fuori dell'"appartamento
prigione" subito ti è consentito di rinchiuderti,
quasi senza soluzione di continuità, nelle lamiere
di un'automobile.
Cancelliamo dunque ogni strazio dove ancora ci si possa
fermare e incontrare.
Riduciamo la città -piazze e strade- a nastri di
scorrimento, luoghi di paura.
E l'impero dell'automobile diventi il simbolo di questa
nuova civiltà, dove non c'è più posto
per l'uomo.
Disegniamo piazze e strade dove il sole batta implacabile.
Aggiungiamo -se è possibile- qualche rampa e qualche
sfiatatoio. Così non ci lasceremo mai più
sedurre dalla tentazione di indugiare a dialogare, confortati
dalle ombre di qualche albero amico.
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* *
Forse
sto esagerando. Ma la domanda è: la città
per quale uomo?
Disegniamo
quartieri accecati di sole, assediati da rumori e da inquinamento
o, a costo di essere spacciati per sognatori impenitenti,
resistiamo a pensare che alberi e fiori e prati e stornire
del vento tra le fronde e lo stupore per l'avvicendarsi
delle stagioni... educano, più di quanto qualcuno
osi immaginare, il cuore dell'uomo?
Quale città? quale uomo?
Qualcuno ha scritto: se possiedi due denari usane uno per
comprarti un tozzo di pane e usa l'altro per regalarti un
fiore.
Sarà poesia. Forse lo sarà. Ma siamo poi così
sicuri che una città senza poesia e senza stupori,
senza il gusto dell'indugiare all'incontro e alla contemplazione,
sia ancora una città o non sia per disavventura un
deserto del cuore?
Costruiamo dunque deserti, per rimanere in attesa che un
decennio il sociologo di turno venga a rimproverare la stoltezza
delle nostre scelte?
Resta il problema -e nessuno intende rimuoverlo- dei parcheggi
nella città.
Ma è poi vero che le soluzioni a portata di mano
sono sempre le più indovinate?
O non sarà che alla nostra generazione sia chiesto
un supplemento di intelligenza e di fantasia, a salvezza
e salvaguardia della città del futuro?
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* *
Che
ne sarà degli alberi e dei nostri sogni? Temo purtroppo
di risvegliarmi un mattino e di vederli travolti dall'avvento
delle ruspe.
Per questo di tratto in tratto mi sorprendo a contemplare
la macchia verde degli alberi di Piazza Bernini e l'ombra
che si disegna mobile e discontinua sul prato, quasi nel
tentativo disperato di fissare indelebilmente nella memoria
un'immagine che prima o poi ci sarà strappata.
È mattino. La città si sta ancora pigramente
svegliano. Eppure qualcuno è già seduto all'ombra
sulla panchina: sfoglia un giornale, fresco di stampa, e
ne discute di tanto in tanto con gli siede accanto.
Scampoli improbabili di un piccolo mondo antico: allora
usava nei paesi sedere la sera sui gradini o cippi di pietra,
subito fuori la soglia e la strada -incredibile!- era ancora
il luogo del convenire. Le cose e pura il tempo li illuminava
una misura che ora perdendosi, quasi un respiro di umanità.
"La città di Dio" -è scritto nel
Salmo- "tu veda fiorire, di giorno in giorno per tutta
la vita" (Sal. 127): è una speranza che non
si arrende; è una preghiera.
don
Angelo
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