LA
PIAZZA E IL SOGNO CHE ACCADE
Mi
ritrovo a scrivere in questa pioggia irriducibile che va
spegnendo i colori una volta intensi e seducenti dell'autunno.
Le giornate un tempo terse di settembre sono sogno lontano:
ce lo diciamo con tristezza ora che il mese sta per morire.
Anche il tempo scolorisce i ricordi. Come la pioggia. E
le memorie ne escono dilavate.
Sarà così - mi chiedo - anche per il 7°
Incontro internazionale "Uomini e religioni",
che la nostra città ha ospitato in questo scorcio
imbronciato di fine settembre?
Forse no. O forse non del tutto, se alcune immagini che
ci hanno fatto sognare le custodiremo gelosamente nel più
profondo dei nostri occhi.
Io non so - non so più - se il centro della nostra
città, la galleria e le vie che quasi a dedalo vi
si dipanano, possano ancora essere evocate sotto l'immagine
del "salotto della città".
Da troppo tempo non le frequento e non saprei dire se è
ancora costume la sera o nei giorni di festa convenire,
passeggiare, se ancora sono luogo di un parlarsi, che, pur
se può apparire leggero, non è vano.
INNAFFIERO'
IL MIO GIARDINO
Il
salotto forse resiste, ma in questi giorni ha lasciato posto,
secondo le parole del nostro Arcivescovo, a un giardino,
un piccolo giardino.
Chi di noi è stato tra la folla nella giornata conclusiva
o chi di noi si è perduto a fissare le immagini in
diretta dagli schermi televisivi, difficilmente cancellerà
dalla memoria lo splendore di quel giardino.
"Milano è lieta" - diceva il Cardinale
- "di essere stata per questi giorni il piccolo giardino
che ha raccolto le vostre testimonianze di fraternità.
E spera di essere l'inizio di un grande fiume che ci porti
tutti a vivere nella realtà il sogno di un oceano
di pace".
l'Arcivescovo si serviva di un'immagine, quella del Siracide,
al capitolo 24, versetto 29:
Ho
detto: "Innaffierò il mio giardino
e irrigherò la mia aiuola.
Ed ecco il mio canale è diventato fiume
e il mio fiume è diventato un mare".
"Il
giardino di cui abbiamo goduto in questi giorni è
la compagnia fraterna di uomini e donne di religione che
si sono parlati e hanno pregato. E' il giardino di tutti
coloro che credono nella forza della preghiera e nella forza
del colloquio fraterno, che credono cioè nel dialogo
con Dio e nel dialogo con l'uomo, che credono che il proprio
incontro di preghiera con Dio non solo non esclude, ma favorisce
il dialogo con ogni uomo e donna di ogni religione e di
ogni credo e con ogni donna e uomo di buona volontà".
RACCONTARE
L'IRRACCONTABILE
E noi a fissare con occhi dilatati dal sogno. Noi a scrutare
con tenerezza struggente i volti dei rappresentanti delle
religioni del mondo che si avvicinavano, ora con passo incerto,
ora con passo fermo, tutti con un'emozione visibile, ad
accendere sulla piazza una fiamma al grande braciere della
pace.
La giornata era inaspettatamente limpida, quasi a conferma
che la gloria di Dio aveva preso dimora sulla terra, nella
grande piazza degli uomini.
Qualcuno di noi potrebbe ora forse raccontare. Raccontare
- oserei dire - il non raccontabile. Raccontare il silenzio
che invase la piazza, a segnalare quasi fisicamente il tempo
dell'unica, indivisibile, invocazione a Dio: nessun abbraccio
fu più forte e commovente di quell'assoluto trasparente
silenzio.
Qualcuno potrebbe raccontare particolari inediti, fotogrammi
sorpresi dal cuore nello scorrere di quelle giornate. Io,
pur se la scelta esclude tanta parte dell'orizzonte, fisserò
l'emozione di tre volti.
NEL
"SUO" PAESE
Il
volto del nostro Cardinale, che si incantava a fissare,
sereno e disteso, il giardino. Gli occhi erano finalmente
nella pace. Quello era il suo paese; e lui, ritornato, quasi
per miracolo, alla sua terra.
Finalmente - mi dicevo - nel "suo" paese! A volte
- bisogna dirlo - lo costringiamo con le nostre meschinità
in un paese non suo. Lo percepiamo straniero nelle nostre
beghe da cortile, nelle nostre problematiche di corto respiro,
nell'ovvietà disarmante di troppe nostre riunioni.
Pur se lo nasconde, gli leggi fatica e disagio negli occhi.
ora invece lo spettacolo ai suoi occhi ha il respiro del
mondo.
Ciò che accade nelle piazza è puntuale conferma
di un suo ripetuto insegnamento, per il quale la vera potenza
delle religioni non sta negli apparati esteriori, non sta
nella ricerca di posizioni di potere nella società,
non sta nell'appoggio di un braccio secolare, ma sta paradossalmente
nella "debolezza".
Che cosa c'è di più debole, agli occhi degli
uomini, dell'esile suono di una invocazione o della voce
disarmata della coscienza? Gli uomini e le donne dalla piazza
rilanciano limpidissimo questo messaggio, che segnala il
luogo della vera forza.
"Non ritengo" - dirà l'Arcivescovo ai giornalisti
- "che le religioni possano riprendere un potere teocratico,
appropriandosi di compiti civili. Le religioni devono passare
per le coscienze. Se qualche religione lo tenterà,
resterà bruciata. La nostra via è passare
per le coscienze, motivare la libertà, nel senso
di responsabilità e servizio, e motivarla soprattutto
con riferimento a valori ultimi di questa e dell'altra vita".
GLI
OCCHI ARDENTI
Dagli
occhi sereni del Cardinale agli occhi ardenti del Rabbino.
Renè Samuel Sirat, Presidente del Consiglio Permanente
della Conferenza dei Rabbini Europei, professore alla Sorbona,
fu ospite una di quelle sere nella nostra comunità,
ospite per una cena e per un incontro. Negli occhi ardeva
la fede antica dei padri. A tal punto che la cena divenne
spazio di insegnamento e luogo di benedizione-
E l'insegnamento aveva la concretezza, i ritmi, la spontaneità
della cena.
Noi preferiamo le cattedre e i pulpiti. Gesù da buon
ebreo privilegiava la strada, la cena, il lago, la barca,
la casa. Così il Rabbino.
Noi spesso definiamo e le definizioni scontano il gelo dell'astrattezza.
L'ebreo racconta e il racconto prende il calore di una tavola.
La parola viene così affidata, passa di padre in
figlio, consegnata di generazione in generazione.
E noi, ricondotti quella sera, quasi senza avvedercene,
all'atteggiamento del bambino ebreo, che nell'haggadah di
Pasqua, si fa protagonista con la domanda: "Che è
questo?". Il Rabbino Sirat raccontava.
Ardevano, nello spiegare, gli occhi del Rabbino Sirat, quasi
li accendesse un riverbero del roveto ardente.
Gli occhi del Rabbino arsero, anche sul finire della cena,
nell'atto di benedire. La cena attraversata sommessamente
dalle memorie dei padri non poteva non fiorire in un inno
di benedizioni a quel Dio, che ancora oggi accompagna con
la sua fedeltà il suo popolo.
Ardevano gli occhi del Rabbino. In noi l'emozione intensa
di sentirci riconsegnati alla fede dei padri, alla fede
d'Israele, nostra radice santa.
ULTIMA
IMMAGINE
Ultima
immagine da una piazza - ma non ultima nel cuore - immagine
che difficilmente scolorirà nella memoria, quasi
irreale tanto chi la incarnava era paradossalmente un uomo
consumato, fu il passaggio tra la fola del vescovo brasiliano
Helder Camara.
Più che un corpo, era una tonaca che svolazzava.
Più che camminare, ti sembrava galleggiare, quasi
veleggiasse sulla piazza. Uno scricciolo ormai!
Ma quale fuoco, e quale gioia, quale audacia in quel piccolo
scricciolo.
La folla tendeva le mani, accarezzava lo scricciolo, testimone
di una fede che sfida i giganti, il pastore che ci ha insegnato
da sempre che i sogni, se uno è solo a sognarli,
rimangono tali, ma se a sognarli siamo in molti, cominciano
sorprendentemente ad accedere.
don
Angelo
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