LA
PROFEZIA E GLI UMILI PERCORSI
LETTERA APERTA A PADRE DAVID MARIA TUROLDO
Caro
Padre David,
è capitato qualche settimana fa: una sera qualunque,
una cena qualunque, in casa di amici. Quegli amici che affettuosamente,
quando parlano di te, ti chiamano con il nome di "profeta"!
"Come sta il "profeta"? ". "Hai
visto il "profeta"?".
È capitato che quella sera, mentre tu con il consueto
impeto ci parlavi, mi lasciassi portare lontano, forse troppo,
dai molti pensieri.
La cena -tu lo sai- per tanti di noi è un pretesto
per sedere accanto a te e ascoltarti.
Il volto, il tuo, -osservavo- rimane ora scavato: la malattia
l'ha come smagrito. Ma il fuoco, che ha ripreso ad ardervi,
è il tuo, è quello di sempre; e la passione
è la tua, quella di sempre.
E noi strappati alla opacità grezza e spenta delle
cose. Come rapiti dietro le tue accensioni, che percorrevano
scenari di grande respiro, europei e mondiali, là
dove bisognerebbe essere presenti, non con lo sguardo troppo
miope che spesso ci segnala, ma con un brivido in più
di profezia.
Ci parlavi appassionandoti di un documento cui stai lavorando.
Ma a un tratto, fissandomi, quasi ti fossi sorpreso a non
pensarmi più lì, a quella cena, ma nella dimensione
più feriale della parrocchia in cui vivo, avvertisti
come uno stacco e mi chiedesti come si potesse ancora oggi
resistere in una parrocchia.
QUASI
UNA SFIDA
Quella domanda -una delle tue innumerevoli provocazioni-
mi rimase tutta la sera nel cuore; anche quando nella notte
finimmo poi a Fontanella, sul colle dell'Abbazia di S. Egidio.
Le ombre anziché velarne le mura che sanno di mistero,
ne dilatavano la suggestione all'infinito.
Nel cuore della notte, sul colle sperduto, in un cenacolo
di amici. E nell'antica Abbazia, una luce accesa, quasi
un fuoco a cui vegliare, fuoco con cui resistere all'indifferenza
montante.
E tu a leggere un documento frutto di passione, così
dissimile da altri documenti frutto di gelide elaborazioni,
così affine invece all'immagine della profezia, al
brivido della profezia.
E anche là, nel silenzio immenso del convento, mentre
il tuo viso scavato si illuminava la malattia non l'ha domato-
e la voce andava sempre più accalorandosi, mi martellava
nel cuore, quasi una sfida, la domanda, la tua, che sapeva
di provocazione.
Ed ora sono qui a ringraziarti della profezia, del fuoco
acceso nella notte. Ma sono qui a scriverti anche perché
a te, e agli amici di quella sera, io devo -così
mi sembra- una risposta.
LA
DIGA E I SEGRETI PERCORSI
Perché dunque resistere in una parrocchia?
Anni fa, quando avevo l'avventura di passare l'estate nell'Alta
Valtellina, oltre le torri di Fraele, là dove vieni
rapito per valli di ininterrotto stupore, spesso mi succedeva
di incantarmi davanti allo spettacolo mozzafiato di gigantesche
dighe, bacini immensi d'acque di immensa potenza: a specchiarvisi
erano le catene dei monti. Mi perdevo a contemplarle, come
ora mi perdo a contemplare il tuo volto e l'impeto della
profezia che lo illumina.
Senza quei bacini immensi sui monti, senza il brivido della
profezia, le nostre valli sarebbero immerse per sempre nelle
nebbie e nella notte.
A volte però lassù pativo un'altra emozione.
Mi perdevo a immaginare -agli occhi non era dato intravvedere-
le segrete canalizzazioni delle acque nelle pareti dell'immensa
diga; e poi, più a valle, oltre le turbine, il ramificarsi
delle acque, quasi una ragnatela di canali che fanno verdissima
la valle.
I prati -mi dicevo- vivono certo dei bacini, ma vivono anche
dei canali, anche quelli più sconosciuti, senza nome,
che portano lontano, nei luoghi più impensati, il
miracolo delle chiare e fresche acque.
E così nel cuore, allo stupore per l'immane bacino,
s'accompagnava e cresceva l'emozione per gli umili e segreti
percorsi. E a quelli andavo legando l'immagine della parrocchia,
ovvero gli umili percorsi del cuore di cui mi vado sempre
più innamorando.
Lavorare appassionatamente -tu mi capisci- al dipanarsi
e ramificarsi della profezia del Vangelo. Perché
la profezia e il sogno non siano profezia e sogno di pochi,
ma trasalimento di moti, se possibile di tutti.
UNA
FINESTRA, MILLE FINESTRE
A
volte -te lo confesso- il cuore va all'immenso bacino, all'Abbazia,
la tua, e a quella finestra illuminata nella notte, illuminata
dalla profezia del Vangelo. Ma non per evasione: è
solo un'escursione in alta quota, sulle cime alte, a confermarsi
nella bellezza del sogno, quello di lavorare perché
ogni casa abbia una finestra illuminata nella notte, illuminata
dalla profezia del Vangelo.
Le nostre finestre, padre David, quelle della mia città,
una città da cui profeti di segno opposto al tuo,
profeti di sventura, vanno sempre più prendendo le
distanze, come un giorno da Ninive prese le distanze Giona,
il profeta sdegnato; una città, la nostra, che solo
a uno sguardo staccato e superficiale può apparire
senza cuore: ne vado conoscendo, giorno dopo giorno, sempre
più i volti e dietro ad essi una storia.
Quante e quali storie, padre David, che potrebbero essere
radunate a comporre diari sorprendenti della grazia, solo
che a un prete rimanesse il tempo per annotare. E quasi
non passa giorno.
Quasi non passa giorno che tu non veda illuminarsi, ora
una, ora un'altra delle situazioni che fanno la nostra vita,
quella vera: la nascita e la morte, la debolezza e il coraggio,
la malattia e la salute, l'amore e la fatica, la fede e
la ricerca, lo smarrirsi e il ritrovarsi, il ramificarsi
della profezia nel segreto che solo Dio conosce, il miracolo
di quell'acqua, che viene -tu lo sai- da lontano.
Forse dovrei tenere diari segreti, dove annotare quotidiani
trasalimenti. O forse no. Sono custoditi per sempre nella
memoria indelebile di Dio.
E come sfuggire -te lo chiedo- a una sorta di innamoramento
per questa realtà quotidiana -la parrocchia- che
ti ricorda l'umile grembiule di una madre? Per te aveva
una lucentezza maggiore di qualsiasi abito di raffinati
stilisti.
Questi e forse altri i pensieri nella notte, sulla strada
da Fontanella a Milano. Le ore nell'Abbazia si erano fatte
piccole e duravi fatica a resistere al sonno.
A costo di apparirti un impenitente sognatore, ti dirò
che, quando Gianni mi lasciò in via Pinturicchio,
mi successe di patire la stessa emozione.
Infilai le chiavi nella toppa: le case erano senza luci.
Ma quando mi girai a riguardarle, una sull'altra, quasi
una selva oscura nella notte, per un attimo mi parve di
vedere tante finestre illuminate, e dietro ogni finestra
un volto. A illuminarle era la profezia, la stessa, e non
altra.
Ti dovevo -era giusto- una risposta. Ed ora che la lettera
si chiude, ho come la sensazione di aver scritto per te
e per gli amici di quella sera, ma anche per questa parrocchia,
per le finestre -quante! - accese nella notte della grande
città.
Ti abbraccio forte.
don
Angelo
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