APPUNTI
DI DIARIO DA UN MONASTERO
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Lunedì, 4 novembre
Erano vent'anni -poco più o poco meno, la memoria
si è fatta labile- che non vi facevo ritorno.
Qui in un cascinale, tra le colline del Biellese, era nata
sulla fine del 1965 una comunità monastica, che odorava
di profezia evangelica, come sempre, quasi sempre, sospetta
alle origini. Sospetto il monastero e sospettato chi lo
frequentava.
Di quella mia prima dimora ricordo il pane profumato dell'accoglienza,
la lampada sempre accesa della Parola, il mistero che, notte
e giorno, abitava le volte a botte di una chiesina, ricavata
da un rustico antico, e la bellezza. La bellezza soglia
di Dio.
Negli anni rivìdi il Priore, Enzo Bianchi, ma non
il monastero. Lo ascoltai nelle sue incursioni nella città
degli uomini, nei suoi scritti, nel racconto di amici comuni.
Ma il monastero no: viveva per me l'età dei ricordi.
Gli amici, di ritorno dall'averlo visitato, mi parlavano
con occhi meravigliati del monastero che si era moltiplicato,
un po' come il pane del miracolo: monaci si erano aggiunti
a monaci, monache a monache, casa a casa, nello splendore
del verde.
"Sai" -mi dicevano- "Come è cambiato!".
E forse non sapevano di destarmi in cuore oltre la gioia,
anche un timore: che fosse cambiato il sapore del pane,
la luce della lampada, il brivido delle ombre del mistero.
Oggi vedo il monastero, disteso nella radura, dall'alto
del colle. Mi avvicino. È cambiato il portale, ma
le parole -le parole del portale- sono quelle di sempre,
quelle delle origini: "Suonate, entrate, qualcuno vi
accoglie".
Ma che nessuno porti con sè l'illusione che la terra
che qui si apre sia terra di turismi religiosi. Quella che
ti si affaccia è terra di vigilanti.
L'alto pilastro che protegge il portale d'ingresso, vegliato
da un gallo, con la sua scritta latina toglie ogni dubbio:
"Vigilate quia nescitis quando Dominus veniat: sero
an media nocte an galli cantu an mane" ( Mc.13,35).
"Vegliate, perché non sapete quando il Signore
verrà: se nella sera o nel mezzo della notte o al
canto del gallo o al mattino".
E ancora: "Iam gallus canat, somnolentos increpat,
iudicium Dei nunciat". Il gallo appassionato canti!
Sveglia i sonnolenti, annuncia il giudizio di Dio.
Vengo da una terra, dove facile è la condizione di
sonnolenti: paradossalmente, più frenetica è
la terra, più soggetti all'assopimento la coscienza
e il cuore. Corri, ma non sai che cosa accade o che cosa
un giorno accadrà: io sonnolento tra i sonnolenti.
Alla vigilia di questo avvento -"non sai quando il
Signore verrà"- ho bisogno che il gallo canti.
Al di là della soglia.
Ho ritrovato, varcandola, la terra dei vigilanti, il profumo
del pane, la lampada accesa, il mistero delle ombre nella
chiesa antica.
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Martedì, 5 novembre
La radura è inghiottita dalle nebbie: devi avvicinarti,
fin quasi a baciarlo, per vedere un volto. Che sia il tuo,
Signore?
Forse è questo il segno in uno scolorirsi impalpabile
di cose: devi avvicinarti fin quasi a baciare.
E paradossalmente forse è questa nebbia -che mi porto
negli occhi e nel cuore- a farmi impenitente ricercatore.
Se mi bastassero le definizioni delle chiese o le fabulazioni
presuntuose dei dotti non sarei qui ancora oggi a cercare
il volto di Gesù.
Galleggia
impalpabile nella nebbia
qua e là, naufrago,
un abete o una betulla.
Velo impercettibile o quasi
agli occhi dilatati
la lunga striscia di case,
il monastero,
ora sembra vanire nel nulla.
Passi impalpabili
soffocati dal biancore
di assenze.
E andando nella nebbia che avvolge
capire con dolce meraviglia
che il "confuso" accende
la ricerca,
l' "inafferrabile" seduce
il desiderio,
il velo ha sete
di rivelazione.
Vivere lo sbucare lento
di cose e verità
non è
senza stupore.
Volti
e cose più non hanno contorni.
Nel monastero ora invaso dalle nebbie, lampade fioche qua
e là segnalano un'icona: ora l'icona di Maria, ora
le icone di monaci santi. Anche loro assorti: il mistero
-sembrano dire con la loro luce fioca- abita oltre.
Intravedo un chiarore. Luce calda, rifugio al cuore, dopo
tanto attraversare di nebbie, è questa icona del
crocifisso, inondata di splendore. Passo ore a guardarla
nella chiesa buia e quasi non me ne accorgo.
"Ha portato i nostri peccati" -dirà tra
poco Enzo in Bethel- "ora finalmente siamo in pace
con noi stessi, con Dio, con gli altri".
Alle sue spalle un crocifisso di legno, a misura d'uomo.
Lo guardo.
A braccia larghe
appena abbassate
sembri planare dolcemente
su di me
Gesù crocifisso
fino ad abbracciarmi
ultimo fra i peccatori.
Rozzo scultore o poeta
chi nel vivo legno
incavò
grandi mani -le tue-
quasi fuori misura?
"Nessuno" -hai detto-
"può rapirvi dalle mie mani".
Il "fuori misura"
dell'amore.
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Mercoledì, 6 novembre
La coltre di nebbia che, questa mattina, mi faceva cercare
inquieto il sentiero verso la chiesa, tastando il terreno
come un cieco, ora si è d'un tratto lacerata.
I sentieri che ti sembravano cancellati nel nulla ora li
vedi disegnati come piste invitanti nel verde.
Ci sarà un sentiero per conoscere Gesù? E
nella sua luce, conoscere chi sono, donde vengo, dove vado.
Enzo apre il Vangelo di Marco: il Libro parla di Rabbi e
discepoli.
Nella tua ricerca non presumere di farne a meno. Anche tu
hai bisogno di un Rabbi. Accogli anche tu l'invito a farti
discepolo.
E essere discepoli è più che sentire uno che
parla: è condividerne la vita. I rabbini affermano
che Eliseo aveva imparato da Elia più versandogli
l'acqua sulle mani che ascoltandolo.
Quanta acqua ho versato io a Gesù sulle mani? E non
sarà anche per questo che conosciamo così
poco Gesù? Leggiamo libri su di lui più che
versargli acqua sulle mani. Un Gesù che abita nella
mente più che nel cuore.
E non dovremo dunque rifarci discepoli, aprendo il Vangelo?
Ed entrare dove lui entra, uscire quando lui esce, camminare
per dove lui cammina, sostare dove lui sosta, imparare ad
amare come lui ha amato.
L'insegnamento è antico: "domandati: che cosa
farebbe Gesù ora al mio posto?". Ma come potrò
immaginare che cosa oggi farebbe Gesù se non ho fatto
esperienza di lui?
Apri le Scritture. Scriveva Ignazio, grande Padre della
chiesa, nella lettera ai Filippesi (8,2): "Per me i
miei archivi sono Gesù Cristo. I miei archivi inviolabili
sono la sua croce, la sua morte, la sua risurrezione, la
sua fede".
I miei archivi... cioè là dove io vado a cercare
la volontà di Dio. La mia vera biblioteca in cui
trovo Dio.
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Giovedì,
7 novembre
Dentro la fatica di ogni giorno. Dentro la fatica di vivere.
Anche Gesù ha provato, in tutta la sua intensità,
la fatica di vivere e di morire. E ha resistito nella fede.
Passo accanto a un orto: osservo una monaca, leggo la fatica
sul volto chino, la fatica con cui affonda la vanga nella
zolla, con il gesto di chi sta mettendo a dimora un tesoro.
Eppure gli occhi sono abitati dalla luce.
Volti bellissimi, volti di monaci e monache, occhi accesi,
abitati da una Presenza.
E non sarà anche per questo -per il loro fissare
l'Invisibile- che le coltivazioni sono come righi musicali
disegnati sui campi?
Armonie dei campi, armonie delle case, armonie dei sentieri,
gli archi disegnati nei muri, le tegole allineate, la campanella
al portale, l'icona vegliata, la panchina al sole, il dolce
gorgogliare della fontana, gli occhi abitati, le parole
sapienti, i canti innamorati, i silenzi.
Fuori Bethel, una lapide. Un gufo, una scritta:
su una vecchia quercia
c'era un vecchio gufo
più sapeva e più taceva
più taceva e più sapeva.
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Venerdì, 8 novembre
Lascio il monastero in una giornata di sole. I colori dell'autunno
ti prendono il cuore.
Lascio il monastero e, uscendo, lo sguardo mi corre in alto,
al gallo che svetta sul pilastro all'ingresso.
Ora la scritta dice: "Gallo canente spes redit".
Al cantare del gallo ritorna la speranza.
Se ci destiamo dal sonno ritorna la speranza.
don
Angelo
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