articoli di d. Angelo


 

GIORNO DI S. CARLO: ore 15,30 ore 21

Cronaca di una giornata piovosa, nell'aria immalinconita di una città: persino le facce sembrano ingrigite dalla pioggia, che va spegnendo i colori dolcissimi dell'autunno.
Aspetto sotto il gocciolare degli alberi, in piazza Carlo Erba, l'arrivo del 23. Guardo con trepidazione la ciocca lunga di capelli di una ragazza: il cappuccio, unico riparo alla pioggia, non la salva dal gocciolare insistente degli alberi.
Arriva sferrugliando il 23, semivuoto a quest'ora. Anche la ragazza ha trovato posto a sedere: gli occhi le si perdono lontani. Anche i miei errano lontano a immaginare il Duomo, oggi sede prestigiosa per l'ultimo Sinodo diocesano.
Se chiedessi del Sinodo alla ragazza che mi siede davanti, i suoi occhi sarebbero ancor più lontani e smarriti.
Nessuno di questo tram - né di chissà quanti altri - saprebbe dirmi del Sinodo.
Forse questo tram è immagine anche dell'estraneità, un'estraneità che fa pensare.

SUPERO LA BARRIERA

Ore 15,15: supero la barriera che controlla con rigore il passaggio dei sinodali. In consegna ad ognuno l'ultima bozza delle costituzioni del Sinodo: 26 capitoli, 323 pagine; mi accorgo che pesano anche materialmente. Si riaccende nella memoria la domanda dello scriba, quello non lontano del Regno di Dio: "Qual è il primo dei comandamenti?"
Dal transetto destro del Duomo, mentre attendo, osservo i candelieri dell'altare, sei per la precisione: dopo anni di semplicità, son tornati a far mostra di sé sulla mensa nuova dell'altare maggiore. Non sarà un ritorno alla pesantezza? Illumineranno se stessi o illumineranno il mistero?
Ore 15.30: la relazione introduttiva paragona i sinodali ai costruttori della Cattedrale. Dio mio, gli scalpellini avevano genio e forza. Posso sbagliarmi, ma i nostri documenti tradiscono più forza che genio: codificare l'esistente e serrare le file è molto più facile che aprire piste nuove.

CON APPRENSIONE

Un colpo secco di campana mi riconduce alla realtà. Ora ha inizio la celebrazione dell'Eucaristia: sfilano i chierici, sfilano i concelebranti, sfilano i Vescovi. Il rito è solenne, come si addice alla memoria di S. Carlo, vescovo di questa chiesa. Le volute d'incenso si sprecano, mi rimane un dubbio: che gli occhi dei presenti - e non solo i miei - alla fin fine siano catturati più dalle mitre, dalle vesti liturgiche, dalle processioni lentissime che non dal mistero che stiamo celebrando: la Parola e il Pane, roveto ardente di ogni celebrazione e il pericolo che siamo sommersi da un eccesso di coreografia.
Non sarà - mi chiedo - che Vescovi e preti dovrebbero più spesso indugiare in queste comuni panche dei fedeli, posto privilegiato, per accorgerci di ciò che accende e di ciò che vela il mistero?
Giunge, quasi conferma ai pensieri del cuore, alla fine della Messa, una voce possente, stentorea, dall'alto, quasi incute timore: "Il signor Cardinale, per indulto pontificio, concede ai presenti…".
Penso con apprensione a tanti uomini e a tante donne del mio tempo, alla loro sofferta sensibilità: dal tono enfatico e declamatorio di questa proclamazione non si sentiranno catapultati nelle corti pontificie? L'aria che respiri e quella del Rinascimento.
Non i fasti delle corti, ma l'aria tesa del Cenacolo nel giorno della Pentecoste è l'icona che il Vescovo ha dato a questa chiesa: per quanto mi riesce di immaginare quel giorno Maria e gli apostoli portavano abiti comuni.

IL TRAM DEL RITORNO

Sono le 19. Il 23 attende in Piazza Fontana. Sul tram invano cercheresti la ragazza dalla lunga coda di capelli intrisi di pioggia. Davanti a me stanno due suore. Riposa sulla loro gonna grigia e nera, accoccolato, il pesante libro del Sinodo.
Hanno un'aria molto professionale: loro sì - mi par di capirlo - soppeseranno proposizioni e proposizioni del grande libro.
Scendono. Ci si saluta, come se ci si conoscesse da sempre: anche un libro - penso - diventa segno di riconoscimento.
E se bastasse - mi chiedo - l'essere uomo e donna per riconoscersi fratelli e sorelle?

LA CASA E LA SALA

Ore 20.45. Stesso giorno, un'ora, o poco più, dopo. Non il Duomo, ma la nostra casa di via Pinturicchio. Tra poco arriveranno coppie e no di fidanzati.
C'è una liturgia della casa, meno fastosa: apri il cancello, liberi la porta, accendi le luci, disponi le sedie: che siano in cerchio! perché tutti si specchino in tutti e i volti siano una ricchezza per tutti. E, ancora una volta, mi piace immaginare che il giorno di Pentecoste i discepoli fossero in cerchio e che la stanza avesse più l'aria della casa che non quella di un'aula scolastica.
Sono quasi le 21. Odi nel corridoio i primi passi. Conosci i nomi, ad uno ad uno. E dietro ogni nome, una storia diversa.
Da un momento all'altro . immagino - vedrò comparire, alla porta, Arin, un ragazzo greco di religione ortodossa , stasera solo, perché la sua ragazza farà la notte in comunità. E vedrò Afrodite, una ragazza albanese: a lei cantano di gioia persino gli occhi! Pensavo di vederla arrivare sola, ma il suo ragazzo è riuscito ancora una volta a farsi sostituire nell'assistenza notturna a un anziano.

PERCHE' SPOSARSI IN CHIESA?

Quali i motivi che spingono i ragazzi e le ragazze d'oggi a chiedere il matrimonio in chiesa?
Può essere che alcuni oggi scelgano di sposarsi in chiesa per salvare una tradizione o per quel tanto di folklore che è rimasto impigliato alla cerimonia religiosa. Ma sono sempre meno numerosi e, di certo, non abitano fra noi questa sera.
Il clima dell'incontro è di tale sincerità e fiducia che ognuno racconta la sua storia, e nelle storie, così diverse le une dalle altre, le motivazioni - diverse le une dalle altre - che conducono a sposare in chiesa. Ed io mi incanto ad ascoltare.
C'è chi cerca. : "Fino a poco tempo fa" - dice una ragazza - : "di fronte all'eventualità di sposarmi in chiesa , avrei pensato di no. Eppure oggi mi pare di capire che non farò una cosa ipocrita. Mi sono avvicinata, pensando che questa sia un'opportunità che mi è data. E non mi sembra - ne sono convinta - una forzatura".

LA COSA BELLA

"La cosa bella" - aggiunge una ragazza - "è che questo desiderio di sposarci che ci accomuna ci abbia portato a confrontarci con queste scelte di fondo, a chiederci come ti poni davanti alla persona che ami e davanti a Dio".
C'è chi parla di matrimonio come di un amore in cui si riflette l'amore di Dio. E c'è chi proprio non riesce - ti commuove la sua onestà - proprio non riesce a "vedere" Dio.
C'è chi parla degli sposi come di una chiesa in piccolo: c'è chi della chiesa ha conosciuto solo il volto chiuso dell'istituzione; c'è chi si sente all'inizio di un cammino, con il suo desiderio di essere accolta senza forzature e di diventare nel tempo a poco a poco, comunità.
C'è chi parla della sua fede esplicita in Dio; c'è chi parla del suo radicamento nelle dimensioni più profonde dell'amore umano; c'è chi coglie un parallelismo sorprendente tra l'esperienza delle fede e l'esperienza dell'amore umano, entrambe segnate da un sentimento di inadeguatezza e nello stesso tempo dalla percezione che qualcosa di molto più grande ti stia accadendo: va oltre le premesse, lo chiami Dio o forse solo il fascino del mistero.

UN PARLARE PROFONDO

Parlano le coppie di fidanzati, parlano le coppie di sposati, parla il prete. E' un parlare profondo e intenso.
E' vero, veniamo da percorsi diversi, ci troviamo in parete su passaggi diversi, ma ci accomuna il desiderio sincero di "vedere", di capire, di camminare.
Qualcuno osa dire che chiesa non è solo la gerarchia: siamo anche noi, riuniti insieme, questa sera.
Nel cuore, al termine di questa giornata, mi viene spontaneo aggiungere che cattedrale non è solo il Duomo, ma anche ciascuno di noi, cattedrale senza incensi.
O forse sì. Mi piace pensare che l'incenso, anche quello del Duomo con le sue volute, tese a sfumare la visione, voglia predicare non l'arroganza del sapere, ma, piuttosto, il fascino, l'inquietudine, l'inattingibilità del mistero.
Abbiamo fatto notte. Qualcuno si attarda ancora a parlare. Chiudiamo il cancello. Rientro e l'aria della casa ancora odora del profumo. Dell'incenso o dell'unguento, quello prezioso, della casa di Betania?

don Angelo


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