DA
UNA CASA QUARTO PIANO SOTTOTETTO
Vorrei
scrivere al Papa e ai Vescovi. Ma non ho il titolo per farlo:
sono un prete qualunque, un semplice prete. Anche il "don",
con cui a volte mi si chiama, spesso mi pesa per quel tanto
di spagnolismo che vi rimane intriso.
Avrei voluto scrivere al Papa e ai Vescovi l'altra domenica,
dopo che un ragazzo, più che ventenne, entrò
in sagrestia, mi guardò fisso negli occhi - i suoi
quasi gli luccicavano - e mi disse: "Vengo a dirle
tutta la mia tristezza". Sui giornali erano apparsi
i primi stralci di un'enciclica.
COME
RACCONTARE?
Avrei
voluto scrivere al Papa e ai Vescovi ieri sera, di ritorno
da un incontro. Ho iniziato, ma subito mi sono interrotto,
come paralizzato dalla sensazione di non saper dire.
E come avrei potuto raccontare - al Papa e ai Vescovi -
di quella casa da cui venivo, quarto piano, sotto i tetti,
e i travoni a vista da parete a parete, e noi radunati là
dove il soffitto va spiovendo , in cerchio. Da una parte
Titti, Andrea, Gianluca, Filippo, dall'altra Marta. Elena,
Lucia e, accucciati, per terra sul grande tappeto Beppe,
Luca e Bea.
E gli occhi - i miei - si perdevano a fissare or l'uno or
l'altro, mentre mettevano in comune riflessioni e reazioni
sull'enciclica e sull'ultimo direttorio di pastorale familiare.
Giovani anche loro, ma non più ragazzi: per lo più
hanno una famiglia sulle spalle.
PAROLE
SCAVATE
E
non era un discettare accademico. Dentro le parole, a volte
scavate nella sofferenza, ti era facile leggere sentieri
di vita, incontri, volti, domande di senso, percezioni di
non senso, aneliti a capire: capire se stessi, gli altri,
la società, la chiesa. E quale chiesa? Una chiesa
sotto la Parola o sopra la Parola? E noi, dentro o fuori
la chiesa?
E gli interrogativi trattenevano il respiro; trattenevano
non solo il cuore, ma persino l'aria.
E io a sognare e ad augurarmi che il Papa e i Vescovi salissero
un giorno - quale grazia! - alle case del quarto piano,
sotto i tetti e sedessero magari sulla stuoia, dalla quale
gli sguardi si incrociano alla pari. E il sogno, l'augurio
non aveva - così mi sembrava - nulla, proprio nulla
di irriverente: non sedeva forse così anche Gesù
tra i discepoli? Lui il solo cui è dovuto il titolo
di Maestro.
SOLO
DOPO AVER ASCOLTATO
"Una
chiesa" - diceva un giorno il nostro Arcivescovo, raccontando
i suoi sogni per il futuro - "che parla dopo aver ascoltato,
solo dopo aver ascoltato
".
Mi succede a volte di pensare che non si è forse
mai nella storia tanto parlato, come chiesa, quanto oggi:
parliamo, scriviamo, un documento scaccia l'altro, li rincorriamo
solo per titoli, né basterebbero le ventiquattro
ore della giornata a consumarli.
Consumiamo altrettanto tempo ad ascoltare? E dove oggi i
luoghi dell'ascolto delle vicende umane, quelle che segnano
le case? Dove i luoghi dell'ascolto della vita vera? Dove
i luoghi in cui si parla con il cuore?
Non vorrei sembrare paradossale o irriverente, ma a volte
mi sorprendo a chiedermi se basterà la frequentazione
di luoghi rigidamente ecclesiastici, di assemblee più
o meno mute, più o meno osannanti e plaudenti, di
riunioni per addetti ai lavori
a farci partecipi dello
spaccato, a volte drammatico, della vita concreta della
gente. O non si dovrà ritornare a visitare le case,
a sedere sulle stuoie , a misurare con l'evangelo e insieme
con il cuore l'inquieto cammino di un uomo e di una donna,
la sofferenza del fallimento, la pazienza di ricostruire,
una pace ritrovata, un bisogno di essere perdonati - e se
perdonati da Dio, perché non dagli uomini? - e di
stare nella pace?
LA
CULTURA DELL'ASSEDIO
Quanti
anatemi, di questi tempi, nei confronti di opinionisti rei
di aver distorto la verità dei nostri pronunciamenti.
E mai a chiederci se i cosiddetti "fogli di casa"
non abbiano alla fin fine adottato gli stessi metodi, citando
alcune pagine e mettendo il silenziatore su altre. .Mai
a chiederci che cosa sarebbe potuto crescere nei terreni
ampiamente e pesantemente bombardati dalle reciproche polemiche!
La strategia dell'assedio non è sempre - quasi mai!
- quella che ci fa più attrezzati a capire e a farci
capire : la nostra esperienza quotidiana ci fa sempre più
convinti che sbagliare il tono o l'approccio spesso può
significare ostruire pesantemente l'accesso all'evangelo.
IMMAGINARE
Questi
- lo si voglia ammettere o no - sono stati, per molti, giorni
di sofferenza e di grave solitudine. E chissà che
non se ne debba fare tesoro per attingere, nonostante tutto,
una sapienza e un insegnamento.
E non sarà questo l'insegnamento? Ci è mancata
in qualche misura la frequentazione delle case. Delle case
e del cuore. Forse non abbiamo immaginato, o non abbiamo
immaginato abbastanza, quante e quali ferite rimanessero,
non ancora rimarginate, nel cuore.
Quante e quali vicende, quanti e quali percorsi, così
difficilmente assimilabili e riconducibili ad una sola norma.
Quante storie personali in cui i tribunali degli uomini
hanno così poco da dire e definire, storie che solo
un Dio che legge nel segreto può capire.
E quanto bisogno di essere perdonati, tutti, dal primo fino
all'ultimo, e ammessi, per grazia, solo per grazia, e dunque
indegnamente al banchetto: "Signore. non sono degno
di partecipare alla tua Cena, ma dì una sola parola
e io sarò salvo". E tutti a dire le medesime
parole, tutti dal primo all'ultimo, indegni. Sempre.
C'è un pericolo - e non è poi così
remoto -:che consumiamo la vita a passare di riunione in
riunione. Forse è bene che usciamo dalle nostre sale
di riunione dove per lo più parliamo per definizioni
e argomentazioni. E ricominciamo a visitare le case e le
strade, ma al di fuori di ogni ufficialità, come
uno qualunque. Visitare. E ascoltare, se possibile.
Tempo di grazia dunque questo che mi attende: tra poco inizierò
ad andarmene, povero e ingenuo prete, per le case, per quella
visita che una tradizione sapiente riserva ai giorni che
precedono il Natale. Visitare le case. E il cuore, se possibile.
Visitare. E ascoltare, se possibile..
Ora che il tempo si è fatto vicino, consumo i giorni
a pregare perché questo avvenga.
don
Angelo
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