IL
FARISEO E IL PUBBLICANO
ovvero una parabola del nostro tempo
Un
fariseo e un pubblicano senza nome, e poi un pubblicano,
questo con un nome consegnato alla storia, Zaccheo: sono
gli ultimi volti dei brani del Vangelo di Luca, letto quest'anno
nelle nostre chiese. Gli ultimi fotogrammi, quelli che solitamente
prolungano l'immagine nel tempo e si fissano nella memoria
del cuore.
Pagine antiche, ma non superate. Anzi a impressionare sta
il fatto che, se verificate e confrontate con una certa
prassi e un certo costume ecclesiale, sembrano paradossalmente
pagine non ancora lette o ignorate..
NE
VA DELL'EVANGELO
Più
volte mi sono sorpreso a pensare che proprio su queste pagine
alla fine si gioca - lo si sappia o no - la sorte del Vangelo.
Oggi va di moda parlare nei nostri ambienti di nuova evangelizzazione:
si organizzano convegni, si stendono documenti, si fanno
proclamazioni.
Forse si pone meno attenzione al fatto che, anche su questo
fronte, spesso decisivi sono il clima, lo stile, l'aria
che incontri. Se l'aria che si respira nelle nostre comunità
persiste ad essere l'aria del fariseo della parabola, non
c'è documento che tenga: il cammino dell'evangelo
è perdente in partenza.
E dunque per una comunità come la nostra, che dell'Evangelo
vorrebbe essere niente più che una umile trasparenza,
le ultime pagine del Vangelo di Luca, lette quest'anno,
andrebbero insonnemente ripercorse.
PREGHIERE
SBAGLIATE
Tutti
e due, fariseo e pubblicano, salgono al tempio a pregare.
Nella chiesa ci succede di ascoltare spesso - ed è
più che legittimo e importante - l'invito a pregare;
non ci sembra di udire con altrettanta insistenza l'invito
a guardarci dal fermento dell'ipocrisia, che può
vanificare e corrompere ogni espressione di esteriore preghiera.
Voci di preghiera ancora risuonano nei nostri ambienti;
ma decisivo non è il suono più o meno ortodosso
delle parole. Anche il fariseo dice "O Dio, ti ringrazio
".
Ma, sotto sotto, ti accorgi che celebra e ringrazia solo
se stesso.
Decisiva non è neppure la lunghezza della preghiera:
molto più lunga quella del fariseo; breve, quanto
un soffio, quella del pubblicano: "O Dio, abbi pietà
di me peccatore!". La prima è la preghiere di
chi si sente giusto; l'altra la preghiera di chi si sente
povero.
C'è dunque un atteggiamento che svuota ogni comunicazione
con Dio e con gli uomini, l'atteggiamento - dice Gesù
- di "coloro che presumono di essere giusti e disprezzano
gli altri ".
"Certo, pregate" - sembra dire Gesù - "ma
la vostra che preghiera è?".
Che preghiera è la nostra - quella che dà
inizio a tante riunioni - se poi l'aria che si respira è
quella di coloro che si sentono giusti?
E
SE IL FARISEO FOSSE DI CASA?
Il
fariseismo della parabola, lungi dall'essere morto, è
sempre in agguato dentro di noi. A tal punto che può
attraversare anche le più "sacre" riunioni
Giorni fa, in uno di questi incontri fuori parrocchia, mi
è capitato di assistere con disagio e tristezza allo
spettacolo di cristiani cosiddetti "doc", che
si sentivano in diritto di interloquire e di giudicare i
cosiddetti cristiani della domenica. Si ripeteva tristemente
il rito del fariseo: "Io non sono come gli altri!".
Ma come ti permetti? Che ne sai tu? Che ne sai della vita
della gente, di quello che uno vive e soffre durante la
settimana? Dei suoi drammi, delle sue fatiche, dei suoi
problemi?
E. al di là di tutto, se l'essere cristiani della
domenica fosse anche solo rimanere sulla soglia e dalla
soglia mormorare: "Dio, abbi pietà di me!",
ce ne sarebbe già abbastanza - dice il Vangelo -
per uscire di chiesa giustificati, come il pubblicano.
DALLA
SOGLIA
La
presunzione allontana da Dio e dagli uomini. Che cosa invece
avvicina?
Avvicina l'atteggiamento del pubblicano. Non ci è
facile definirlo. Lo potremmo forse descrivere, indugiando
brevemente sui suoi gesti: "fermatosi a distanza, non
osava alzare gli occhi al cielo, si batteva petto
".
Fermarsi a distanza. E dunque sentire, nella vita, l'infinita
distanza. Davanti a Dio, certo, ma anche davanti agli uomini.
Fermarsi a distanza non è sinonimo di distacco, di
gelo del cuore. Tu puoi abbracciare perdutamente e, nello
stesso tempo, fermarti a distanza, cioè non invadere,
non occupare, non pretendere.
E' detto anche: "non osava alzare gli occhi".
E dunque guardare non dall'alto in basso, ma dal basso in
alto: non l'arroganza, ma l'attesa; non la proclamazione
di un diritto, ma l'invocazione di un dono.
E ancora: "si batteva il petto". Ecco, riconoscerci
in questo gesto - battersi il petto - che tutti ci accomuna.
LA
PICCOLA PORTA
Giorni
fa, passando per una delle nostre strade, vidi una persona
entrare in una casa: il portone era grande, enorme; ma il
portoncino d'entrata così basso che per entrarci
dovevi piegarti.
Ricordo di aver notato lo stesso basso portoncino nel portale
di alcune chiese molto antiche. Quasi a dire che tu entri
- in una casa o in un mistero, in una persona o in una situazione
- a quest'unica condizione: se ti chini.
E se ti chini - a quest'unica condizione - esci giustificato
da una chiesa.
IL
VERBO DELLA SALVEZZA
Dopo
il fariseo e il pubblicano senza nome, un pubblicano col
nome: Zaccheo.
Quello di Zaccheo è uno dei racconti da custodire
, quasi icona preziosa del Vangelo, nel cuore.
Ricordo la strada di Gerico, ricordo l'albero e qualcuno
che ce lo indicava chiamandolo sicomoro. Ricordo di aver
cercato per quelle strade e su quell'albero Zaccheo.
Ebbene c'è una parola, un verbo, che apre e chiude
l'episodio di Zaccheo nel Vangelo di Luca. E' il verbo "cercare".
Il verbo "cercare" è il verbo di Zaccheo
e il verbo di Gesù. E' il verbo della salvezza.
Di Zaccheo è detto: "Cercava di vedere chi fosse
Gesù". Di Gesù è detto: "Il
Figlio dell'Uomo è venuto a cercare ciò che
era perduto".
Sulla strada di Gerico che è la strada della vita,
possono incrociarsi queste due ricerche: quella di Dio e
quella dell'uomo. Un Dio inquieto e un uomo inquieto!
La salvezza è in questo verbo, in questa inquietudine
nel cercare.
Nel suo diario, forse evocando un pensiero di S. Agostino,
uno scrittore francese, Julien Green scrive - è paradossale
ma è vero - "Nel credere o nel non credere,
finché si è inquieti, si può stare
tranquilli".Finché si è inquieti!
Forse anche per questo Zaccheo, pur essendo ricco, si salva:
è della razza inquieta di chi cerca: l'albero su
cui si è arrampicato, per vedere oltre la muraglia
umana della folla, sembra esserne un simbolo indimenticabile.
LE
NOSTRE BARRIERE
Il
volto inquieto di Zaccheo, il volto fiducioso di Gesù.
Il volto di coloro che gli stanno intorno! C'è chi
si emoziona per i percorsi del cuore e c'è chi proprio
non capisce, non ha occhi per vedere, ha solo occhi per
giudicare: "E' andato ad alloggiare da un peccatore!".
Era uno scandalo: venivano sconvolte mentalità e
prassi inveterate.
E Gesù questo scandalo non lo evita; anche se il
prezzo da pagare sarà altissimo.
Pagherà con la sua morte.
Se la chiesa fosse fedele al suo Maestro, per questo dovrebbe
ancora oggi scandalizzare: non per la sua chiusura, ma per
il suo sedersi con i peccatori, per la sua apertura.
Con la presunzione e il giudizio invece si diventa muraglia.
E così, anziché fare da tramite al mistero,
si fa da barriera.
NONOSTANTE
Una
cosa, al di là di tutto, ci consola e ci rasserena:
nonostante le nostre muraglie, le nostre chiusure e i nostri
pregiudizi, c'è sempre sorprendentemente un albero
che permette a un uomo di salire e di vedere al di là.
Alberi della nostra città, delle nostre strade: occasioni
insospettate e inimmaginabili, attraverso le quali Dio permette
agli uomini e alle donne del nostro tempo di incontrarlo,
pur se hanno inciampato nelle nostre meschinità e
nelle nostre durezze.
Così, anche oggi, per le strade o per gli alberi
o per le case - che cosa c'è di più laico
della strada, dell'albero, della casa? - passa la salvezza.
don
Angelo
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